venerdì 29 agosto 2014

ENRICO GALOPPINI: Il “pericolo” si annida davvero in moschea?



Premesso che chiunque anche solo incoraggi, per non dire pianifichi, sul nostro territorio nazionale, azioni che vadano a ledere l’incolumità di persone e cose dev’essere prontamente messo in condizione di non nuocere da parte degli organi preposti alla pubblica sicurezza, c’è da chiedersi cosa frulli per la testa di quei politici che avanzano proposte come quella che segue:

BOLOGNA, 27 AGO - Nelle moschee emiliano-romagnole si preghi in italiano. E' la proposta di Forza Italia che, attraverso i consiglieri regionali Gian Guido Bazzoni e Luigi Giuseppe Villani, ha interrogato sul tema la Giunta. I consiglieri domandano alla Giunta "se non ritiene di dover attuare iniziative che agevolino la prevenzione ed il controllo verso i fenomeni di estremismo islamico nel territorio regionale" e "come valuta l'iniziativa di porre l'obbligo di proferire in lingua italiana preghiere e discorsi all'interno delle moschee o comunque dei luoghi dove i credenti musulmani si riuniscono". Inoltre, "se ritiene di farsi portavoce in Conferenza Stato Regioni della richiesta al Ministero dell'Interno di aumentare i controlli verso il fanatismo islamico, specie sui territori regionali dove risulta abbiano maggiore diffusione". I consiglieri ricordano poi che in provincia di Ravenna, in passato, "si sono verificati svariati fatti riguardanti l'estremismo islamico che avrebbero dovuto preoccupare le istituzioni locali riguardo la scarsa attenzione verso questo pericoloso fenomeno". (ANSA). Y9C-GIO 27-AGO-14 16:44 NNNN

Questo tipo di “preoccupazioni” non sono certo una novità, inscrivendosi nel clima di paura verso l’Islam innescato a partire dal fatidico 11 settembre 2001. Il grave pericolo pubblico, oltre che esterno, dev’essere percepito in tutta la sua mefistofelica perfidia  anche all’interno, altrimenti hai voglia a coinvolgere gli italiani nello “scontro di civiltà”…
Nemmeno è una novità prendere atto che ogni roboante caso di “terrorismo islamico” in Italia sin qui agitato s’è poi limitato agli scoppiettii mediatici, com’è documentato oltremisura dal volume dell’avv. Corbucci Il terrorismo islamico. Falsità e mistificazione. Ma si può pretendere che un parlamentare o un consigliere regionale si prendano la briga di consultare un’opera di quasi duemila pagine?
Ma adesso, “il caso” lo si costruisce preventivamente, insinuando il dubbio su chissà quali mostruosità verranno proferite alle nostre ignare spalle, ogni venerdì, da quei predicatori barbuti malintenzionati e fuori controllo.
D’altra parte, l’immigrazione di massa, buona parte della quale è costituita da individui di fede islamica, ce l’hanno imposta con ogni mezzo gli stessi (di destra, di centro e di sinistra) che ora gridano “al lupo al lupo”. Quindi, se non volevano perdere il sonno al pensiero di chissà quali trame vengono ordite nelle “moschee” (perlopiù locali inadeguati adattati allo scopo) non avevano altro da fare che non accodarsi alla versione unica che non prevede alcun dissenso verso l’inevitabile esito della “società multietnica”.
Ma se vogliamo introdurre qualche elemento “specialistico” (che ovviamente non verrà minimamente considerato dai nostri “rappresentanti istituzionali”) c’è da dire che è una follia pura e semplice affermare che la preghiera in moschea debba essere recitata in Italiano. Questo perché, da quando esiste la religione dell’Islam, la preghiera, dal Marocco all’Indonesia, si recita in Arabo, dato che l’Arabo è la lingua della rivelazione coranica (già solo la traduzione in altre lingue del Corano pone seri problemi d’ordine “teologico”, o meglio “operativo” nel senso che questo termine riveste nell’ambito della ricerca spirituale a fini “realizzativi”).
So benissimo si scrivere cose arcinote a chi mi segue abitualmente ed ha dimestichezza con un approccio “tradizionale”, ma spero ancora ingenuamente che qualchedun altro, nelle “stanze dei bottoni”, possa aprire gli occhi su alcune fesserie senza capo né coda rimbalzate dalle agenzie.
D’altronde, a meno che alla fine s’intenda dichiarare anche il Corano un “manuale terroristico” (e poi,  a seguire, anche tutti gli altri testi sacri che certamente non tessono le lodi della “modernità” e dei “nostri valori occidentali”!), si può ancora scusare la confusione tra la preghiera vera e propria ed il sermone del venerdì (khutba) che la precede (di regola dovrebbe seguirla, ma in Italia, per ragioni legate agli orari di lavoro della maggioranza dei fedeli musulmani, il sermone precede la preghiera).
Oltretutto, bisognerebbe anche sapere che il sermone è da considerare parte integrante della preghiera del venerdì, tant’è vero che la normale preghiera del mezzodì (zhuhr) consta di quattro unità di preghiera (rak‘ât), mentre quella del venerdì di due, il sermone assumendo il valore delle due ‘mancanti’.
Ma qui mi rendo conto di scrivere cose incomprensibili per quelli che spero di far ravvedere un minimo.
Dunque, stabilito che per le sûre coraniche da recitare nella preghiera vera e propria non si può prescindere dall’Arabo, da sempre ed in ogni luogo (non sono ammirati i “tradizionalisti cattolici”?), si potrebbe fare qualcosa al riguardo della khutba, giusto per par intendere definitivamente che nel 99,99% dei casi – giusto per concedere il beneficio del dubbio - non c’è nulla nascondere.
Figuriamoci infatti se in un luogo che di questi tempi calamita ogni sorta di agente delatore ci si possa lasciar andare ad affermazioni che configurano un pericolo per l’intera comunità. Sarebbe semplicemente da pazzi irresponsabili, ed infatti quelle volte che (forse) è successo, il predicatore in questione è finito immediatamente “attenzionato”.
Se poi l’esito di certo “incendiari sermoni” dovesse essere l’arruolamento nella cosiddetta “guerra santa” contro gli stessi obiettivi strategici della Nato, non si capisce davvero dove starebbe il problema! Ben vengano questi personaggi: non è vero cari amici del “partito americano”?
Ma non si speri di vivere in un’epoca governata dalla logica, perché, anzi, si divertono a strapazzarci con ogni sorta di sollecitazione in un senso o nell’altro, onde disorientarci e non farci capire praticamente più nulla.
Ed uno che non ci capisce più nulla alla fine s’affiderà a chi gli fornirà una spiegazione chiara, lineare e alla portata delle sue limitate capacità.
Perché non ci vorrebbe molto ad avanzare proposte sensate come questa: sermone nella lingua della maggioranza dei frequentatori della tal moschea (mica sono tutti arabofoni) e relativa traduzione in Italiano.
Sempre che, beninteso, essa vada a beneficio di fedeli italofoni, altrimenti non è detto che l’Italiano benefici, per esempio, una minoranza di senegalesi in una moschea a maggioranza marocchina.
Altrimenti il sospetto è che il sermone in Italiano serva solo a facilitare il lavoro di spie che, alla faccia della “spending review”, potrebbero essere utilizzate con maggior costrutto altrove.
E poi, chi dovrebbe fornire, in ogni moschea, un abile interprete simultaneo? Non si farebbe prima, se davvero siamo in pericolo, a stabilire l’obbligo della consegna di una registrazione del sermone alle autorità competenti? Così si darebbe un po’ di lavoro a tanti laureati in Lingue disoccupati cronici.
Stabilito poi il principio della pericolosità di tutto ciò che viene dichiarato in luogo pubblico, di culto e non, in lingue diverse dall’Italiano, non sarebbe il caso di procurarsi il testo di alcuni conciliaboli che si tengono all’interno di alcune ambasciate di paesi “alleati”?

A maggior ragione dopo la scoperta che praticamente tutti i telefoni dei “nostri” capi di Stato e Primi ministri sono sotto il loro controllo. Il che, se permettete, mi pare un tantino più preoccupante dei sermoni nelle moschee.

lunedì 25 agosto 2014

ANTONELLO CRESTI: Ecologia profonda, un pensiero per disinnescare la crisi



Uno dei più lampanti episodi di “falsa coscienza” presenti nella nostra società è senza dubbio quello dato dalla illusione che il problema ecologico sia oggi più percepito e più conosciuto rispetto ad alcuni decenni fa:


domenica 10 agosto 2014

ENRICO GALOPPINI: La propaganda "gender" in parata sull’Ansa



Il 2 agosto 2014 il sito dell’Ansa ha pubblicato una rassegna fotografica intitolata Da Zurigo a San Pietroburgo, in parata per le strade, la cui immagine d’apertura era assai eloquente al riguardo del tipo di “parate” contemplatevi…
Sottotitolo: Ad Amburgo manifestazione contro ogni discriminazione. Gay Pride ad Amsterdam.
A questo punto mi son detto: vuoi vedere che alla fine ce l’han fatta ad imporre “la sfilata dell’orgoglio gay” anche in Russia?
La cosa m’aveva lasciato per la verità alquanto sbigottito e sgomentato, sia perché non avevo captato segnali in tal senso, sia perché a settembre, a Mosca, si terrà una conferenza dal titolo “Large Family and the Future of the Humanity” che - ça va sans dire – ribadirà la lapalissiana definizione di famiglia naturale e normale, in opposizione a qualsiasi tentativo d’introdurre gli Ogm anche in questo fondamentale e delicatissimo ambito che va tutelato da ogni tipo di devianza, costi quel che costi.
A sovrintendere all’evento, che si terrà nella capitale russa dal 10 al 12 settembre, sarà un’organizzazione che beneficia dell’imprimatur della dirigenza di una Nazione che, attraverso il suo presidente Putin, ha preso in mano le redini di quella che senza mezzi termini è una battaglia di civiltà e per questo viene attaccata e vilipesa senza pietà da quelle sentine a cielo aperto che sono i “media” occidentali.
Così, senza nascondermi la preoccupazione di fare una scoperta terribile, mi sono messo a scorrere le foto, non prima però d’aver letto il testo che le accompagnava e che, dopo aver menzionato in serie i vari appuntamenti all’insegna della lotta “contro ogni forma di esclusione e discriminazione”, terminava con queste parole: “A San Pietroburgo invece ex paracadutisti russi ricordano la nascita del corpo militare avvenuto 84 anni fa”.
“E che c’azzecca?”, avrebbe esclamato Antonio Di Pietro?
Infatti non c’azzecca nulla, ma serve a mescolare, in un unico calderone, appuntamenti osceni come il Gay Pride di Amsterdam e demenzial-voyeuristico come la Street Parade di Zurigo con eventi e manifestazioni che in comune con essi hanno il solo pretestuoso particolare di svolgersi “per le strade”.
I redattori dell’Ansa potevano infatti menzionare un qualsiasi altro raduno o processione che si tengono in questo periodo, ma non l’hanno fatto.
Il perché è presto detto. Si è voluto associare sottilmente tutta la panoplia di maschere leopardate, abiti sadomaso e carri arcobaleno che ogni città “europea” che voglia dirsi tale deve periodicamente sorbirsi ad un appuntamento “reducistico” di tipo militare che per l’appunto non c’azzecca nulla ma aveva il ‘pregio’ di tenersi nella seconda città più importante di tutte le Russie e che da anni è l’obiettivo di chi intende esportare anche colà l’ideologia di genere e “Gay-friendly”.
In poche parole, subliminalmente è stata fatta un’associazione tra la Russia e tutto questo schifo.
Ma gli autori di questa subdola operazione di propaganda – ai quali farebbe senz’altro bene la lettura del saggio di E. Perucchietti e G. Marletta, Unisex. La creazione dell’uomo “senza identità” (Arianna Editrice, 2014) - hanno voluto esagerare. La quarta foto, infatti, ritrae due ex parà russi, uno dei quali completamente rasato e con la mano di un commilitone sulla spalla, che potrebbe dare adito a qualche fraintendimento…
La foto successiva, poi, conferma la prima impressione: un simulacro grottesco di un militare russo che, appuntata sul petto, tiene un’immagine dell’odiato “zar” ritoccata in maniera da trasformarlo in un pagliaccio “omosex”.
La triste e sconfortante galleria porno… ehm, fotografica offerta dalla principale agenzia giornalistica italiana prosegue con le solite trite e ritrite carnevalate, tra emuli dei Village People e autentici fenomeni da Circo Barnum, culminando con un augurio espresso da una coppia di donne (?), l’una con lo straccetto della “pace” in mano, l’altra inalberando un cartello con su scritto: “One day, we’ll march in Iran”.
Per ora, finché durerà la sopportazione delle persone sane di mente, s’accontentino di sciamare le nostre città, ché anche la loro “Onda Verde”, preludio di quella arcobaleno, per adesso s’è infranta contro il provvidenziale frangiflutti della Repubblica Islamica.

Che cosa non si fa per introdurre l’“ideologia di genere”… Ma è proprio il caso di dire che questa volta l’Ansa è proprio andata a… parare male!

LEONARDO VITTORIO ARENA: La filosofia di Robert Wyatt



Un drumming che eludeva le asperità dei tempi dispari non portando il tempo, smentendo il compito primario di ogni batterista “rispettabile”… Questa voce che, durante i ’60, nelle prime band di Robert, prima dei Soft, inclinava ai contorcimenti di un Van Morrison, preso a modello delle cover nei locali da ballo, voce acerba, che Robert non ama riascoltare nei nastri. Una voce con cui non si identifica, e che è sempre cambiata, dal momento in cui ha scritto lui stesso le canzoni; il lavoro di Robert nelle cover resta ancora oggi appassionante e sentito, come nella sua struggente versione di What A Wonderful World, dove predomina questa voce malinconica, e anche gaia a tratti, dove il miscuglio tra i due sentimenti è talmente forte da non poterli distinguere. Come ricorda Nietzsche nella Gaia scienza, dove c’è un grande piacere c’è un grande dolore, e viceversa, non potendo mai darsi la loro assoluta separazione. Una voce che, anche nelle occasionali stonature live, nelle prime esecuzioni dei Soft Machine, è sempre convincente e incisiva. "Mi piace sapere come suonano le note, come sono le parole di una canzone e il modo più efficace per accostarvisi. È determinante che io non aspiri a una performance di tipo attoriale (in an actor kind of way)" [...]

tratto da: 

La filosofia di Robert Wyatt. Dadaismo e voce. (Mimesis Edizioni)