IDEE IN/OLTRE
Libero spazio di anomalie culturali, fuori dalle convenzioni. Ideato da: Antonello Cresti e Luca Negri. ideeinoltre@gmail.com https://www.facebook.com/groups/ideeinoltre/
venerdì 21 ottobre 2016
domenica 11 settembre 2016
crac: Antonello Cresti :: Ho trovato l'Inghilterra!
crac: Antonello Cresti :: Ho trovato l'Inghilterra!: Con una nota introduttiva di Claudio Risé e un'appendice su Brexit. Dopo una infanzia ed una adolescenza passate a sognare, corteggia...
mercoledì 18 marzo 2015
ROBERTO FRANCO: I fascismi europei tra le due guerre
Marco
Fraquelli “Altri duci – i fascismi europei tra le due guerre”, Mursia
“Lo stato
ungarista dovrà poggiare su tre pilastri: il contadinato, il ceto operaio,
l’intellettualità; l’esercito avrà il compito di edificare la Grande Patria e difenderla contro i
pericoli esterni ed interni. L’economia verrà programmata dal Consiglio
Generale delle Corporazioni, la produzione agricola (…) affidata a contadini
riuniti in cooperative, la banca sarò nazionalizzata”. Così Ferenc Szálasi. leader del movimento parafascista
delle Camicie verdi, nel definire il suo “Ungaro-socialismo”, che contrapponeva
violentemente al regime conservatore-reazionario di Miklós Horthy rappresentante de facto dell’aristocrazia fondiaria
e della grande burocrazia.
La dialettica
Camicie verdi (poi Croci frecciate) –
Reggenza di Horthy proseguirà in una spirale di violenza e repressione, finché,
nel ’44, Horthy non verrà arrestato dai suoi stessi alleati tedeschi, che già
avevano occupato il paese, quando, il 15 ottobre, legge il suo programma di
resa.
Ecco allora
che, nel clima apocalittico dell’imminente disfatta, viene il turno di Szálasi di assumere il potere – almeno nominalmente, poiché, come
nel caso della Repubblica sociale italiana, le redini del potere vero sono saldamente tenute nelle
mani dei nazisti.
Destino
simile a quello Croci frecciate tocca alla Guardia di ferro, movimento
cristiano, fascista e antisemita dalla forte impronta mistica, che subirà dure
misure di repressione in Romania, altro paese alleato del Reich (alcune, pare,
ispirate dallo stesso Hitler), che conosceranno il culmine nell’imprigionamento
e nell’oscura morte del suo leader, il
Capitanu Corneliu Zelea Codreanu.
E anche se ne
’40-’41, il leader romeno maresciallo Antonescu, cercherà di associare al
potere i reduci della Guardia di Ferro,
l’esperimento fallirà anche per insuperabili divergenze di natura
socio-economica.
Da questi due
esempi si possono isolare delle costanti che interessano molti processi,
sia riguardanti la nascita di movimenti
parafascisti – o paranazisti – in tutta Europa, nel periodo che va dalla fine
della prima alla seconda guerra mondiale, sia concernenti l’involuzione
autoritaria di vari regimi conservatori in occasione dell’inarrestabile corsa
al predominio del Terzo Reich sull’Europa, a partire dall’Anschluss.
Innanzitutto,
i fascismi minori, che siano di portata minima e legati a contingenze
strettamente peculiari del paese dove vedono luce, come quelli irlandese e
svizzero, o di ben più vasta diffusione e incisività nella vicenda del paese,
come quelli dei paesi baltici, slavi e balcanici, direttamente interessati
dalla minaccia del bolscevismo, contengono degli elementi di sinistra (sia pure una “sinistra”
corporativa, “spirituale”, nazionale, su base etnica e antisemita e perfino,
nel caso delle Camicie verdi, pro-operaia) rispetto ai regimi o ai partiti
generalmente clerical-conservatori con cui si trovano ad avere a che fare.
Addirittura, nella Spagna pre-guerra civile,
il capo della Falange José Antonio Primo de Rivera unisce il suo partito a
quello dei nazionalsindacalisti di Ledesma Ramos (non senza successivi
contrasti, va detto), prima che giunga per lui l’occasione di un pronunciamento fascista che, se
colta, avrebbe potuto portarlo al potere evitando forse al Paese iberico la
guerra civile.
Un
“anticapitalismo di destra”, come lo chiama Giorgio Galli nella sua illuminante
prefazione, che fa il suo ingresso in un Europa dilaniata dalla guerra, dalla
crisi economica, dai conflitti sociali, e che non è detto discenda sempre
direttamente dall’esempio del fascismo italiano, essendo alcuni dei leader
discussi in questo volume già frequentatori di movimenti völkisch o delle idee che gravitano attorno
all’ Action
française,
che,come ha dimostrato Zeev Sternhell, anticipano e informano (in parte) lo
stesso fascismo mussoliniano.
La seconda
costante è che la Germania nazista, con l’eccezione del caso russo, che per
ovvie ragioni fa storia a sé, preferisce sempre appoggiarsi a solidi partiti
conservatori nei paesi alleati e/o occupati, piuttosto che dare il potere a
movimenti o frange filonaziste, che entreranno davvero in gioco eventualmente
solo quando, a guerra praticamente persa, la questione sarà di puro e semplice
collaborazionismo: valga su tutti il noto esempio della Francia.
Questo,
escludendo i paesi destinati a far parte, per una questione di “purezza
razziale”, direttamente del Reich, come
l’Austria, l’Olanda (dove il partito filonazista locale tenta comunque di
conservare un minimo di autonomia), il Lussemburgo
Più duttile
l’atteggiamento del fascismo italiano, che, almeno inizialmente, finanzia e
incoraggia partiti e formazioni più o meno gemelle, un po’ ovunque. Il fascismo
albanese è addirittura una diretta filiazione di quello italiano, i terribili
Ustascia croati di Ante
Pavelić sono foraggiati e allevati da Mussolini (e
dalla Chiesa Cattolica) nell’ottica strategica della disintegrazione del Regno
Jugoslavo.
E i CAUR (in
particolare in Svizzera), unico tentativo serio di un’”internazionalizzazione”
del fascismo, saranno sostenuti molto più dagli italiani che dai tedeschi.
Ma la perdita
di prestigio del fascismo italiano, fa sì
che, per quanto dogmaticamente razzista, la dottrina nazionalsocialista
cominci a fare via via molto più presa su popoli anche differenti tra loro.
Marco
Fraquelli, da anni attento studioso di aspetti più o meno marginali, ma sempre
in qualche modo decisivi, del fascismo storico e del neofascismo
- ricordo il suo saggio “A destra di Porto Alegre” (Rubbettino, 2005)
sull’antiglobalismo “di destra”, nonché l’interessantissimo “Omosessuali di
destra”(Rubbettino 2007), traccia un ritratto il più esaustivo possibile di un
fenomeno complesso, quello dei fascismi minori tra le due guerre, con infinite
varianti locali, poco trattato dalla storiografia, almeno quella italiana,
nonostante la sua importanza, forse anche per meglio comprendere i rivolgimenti
dell’Europa attuale.
..-
martedì 3 febbraio 2015
DAVIDE GONZAGA: due testi essenziali sul nazionalsocialismo
Introduzione di: Antonello Cresti
Ce
ne siamo già occupati qualche tempo fa con un nostro editoriale sul settimanale
“Altri”, ma poiché nulla muta occore ritornare su uno dei grandi paradossi del
mercato editoriale italiano e dei suoi ricettori.
Librerie,
edicole vengono letteralmente invase di volumi squallidi, ripetitivi,
raffazzonati su nazionalsocialismo, fascismi e totalitarismi vari.
Evidentemente qualcuno li pubblica, evidentemente qualcuno li legge. Non ho
idea di quanto in questa schiera di lettori vi sia di totalmente decondizionato
e quanto vi sia di morboso, ma ad esempio il fascino che rivestono le
pubblicazioni di strategia militare e militaria mi farebbe pensare che di
morbosità nell’aria ne gira eccome.
Ebbene
questa massa di carta stampata, molto spesso di infima qualità,o induge all’infinito
sui soliti temi, oppure cita a ripetizione fonti che puntualmente non sono
presenti sul mercato editoriale?
Cosa
dovrebbe dire uno storico? Cosa dovrebbe dire chi approccia l’argomento in
maniera seria, senza comportarsi come un guardone in un parcheggio notturno?
Ebbene,
con buona pace di Einaudi, Rizzoli ed altri giganti, per quanto riguarda il
nazionalsocialismo e il suo milieu culturale di contorno, a pubblicare le fonti
ci sta pensando una piccola casa editrice. Piccola e dalle idee controverse
come Thule Italia. Avrei preferito che questo lavoro lo facessero i giganti di
cui sopra o qualche bella casa editrice accademica, per ovvi motivi. Ma mi
confronto con la realtà e non posso che riconoscere che Thule sta facendo in
molti casi un lavoro egregio, rigoroso e di notevole importanza storiografica.
E’ il caso ad esempio dell’ultima uscita “Adolf
Hitler, il mio amico di gioventù”, un memoriale di August Kubizek che fu in
contatto con Hitler negli anni della adolescenza, fino al 1908. Un testo come
questo – se si ha un minimo interesse all’argomento – spazza in un colpo solo
via tanta letteratura psicanalitica sul dittatore tedesco poiché tutto è già
presente in queste pagine, ingenue quanto si vuole, ma che documentano in
maniera diretta una serie di eventi, tendenze che uno storico non può ignorare
bellamente.
Interessante
in particolare quando Kubizek si permette addirittura di correggere l’Hitler di
“Mein Kampf”, tematizzando e datando in maniera differente certe passioni
ideologiche come quella dell’antisemitismo, a parere dell’autore già presente
negli anni su cui si concentra il racconto.
Una
lettura godibile, con un che di favolistico (e anche qui non vedo perché si
dovrebbe preferire la massa sterminata di opere letterarie dedicate alla figura
di Hitler, nella maggior parte dei casi patetiche), ma non necessariamente
ascrivibile al filone della apologia, che sarebbe storiograficamente meno
interessante.
Sentore di sulfureo nei temi che l'autore, con il consueto piglio
espositivo preciso e affilato, offre al lettore.
Ma niente paura.
Rimbotti ci accompagna senza ammiccare.
Scioglie nodi interpretativi non offre dottrine prefabbricate.
Preferisce l'affilata presa di posizione alla posa superficiale e
accomodante.
Preferisce scontentare che offrire tiepidi approdi per pavidi lettori
sbadiglianti.
Si parta dal titolo:"
Lebensraum. Impero Nazionalsocialista e Rivoluzione Conservatrice"
(Ritter – 2014).
Si continui con la collocazione: il volume porta a termine il lavoro di
analisi intrapreso con "La profezia del Regno: dalla Rivoluzione
Conservatrice al Nazionalsocialismo" (Ritter – 2011)".
I volumi, leggibili separatamente, costituiscono un unicum coeso e
coerente.
Rimbotti, grazie ad un lavoro certosino su fonti ricche ed eterogenee,
offre una serie di linee guida interpretative sul Nazionalsocialismo e le sue
coordinate filosofiche e culturali.
In particolare l'accento è posto sul rapporto tra Rivoluzione
Conservatrice e Nazionalsocialismo.
Questo è quanto.
Ma sarebbe come dire che "Delitto e castigo" è un romanzo teso
a dimostrare l'influsso negativo dell'afa pietroburghese nella mente di uno
studente squattrinato.
C'è ben altro.
Rivoluzione Conservatrice.
Nazionalsocialismo.
Per troppo tempo, sostiene l'autore, è stato comodo pensare che tra i
due fenomeni esistessero pochi e sporadici rapporti, visto che l'una era
impegnata in una incessante attività culturale, mentre l'altro, rozzo e
volgare, prendeva il potere allontanando da sè gli intellettuali, spocchiosi e
impotenti.
Attraverso un lavoro di scavo a tratti vertiginoso l'autore dimostra
esattamente il contrario, poichè in più di una circostanza idee, progetti e
anche personalità di spicco della Rivoluzione Conservatrice hanno operato con
soddisfazione reciproca nell'ambito del potere hitleriano.
Operazione, quella dell'autore, a sua volta eccessivamente intellettuale
e di scarso interesse interpretativo?
Tutt'altro.
Entriamo e gustiamo queste pagine.
Ad accoglierci, in prima batutta, è la figura di Karl Haushofer.
Pensatore influente recentemente rivalutato in quanto tra i primi ad
occuparsi di geopolitica ha affrontato tematiche essenziali circa il futuro
ordine mondiale hitleriano attraverso i concetti di Lebensraum e Grossraum.
Haushofer era un intellettuale, e anche se non risulta abbia mai preso
la tessera della Nsdap, era un acceso sostenitore della sua politica estera
ricevendo in cambio importanti riconoscimenti istituzionali: nel 1934, per
esempio, diventa Presidente dell'Accademia Tedesca.
Era un caso sporadico?
Tutt'altro.
Gli anni passano e il concetto di spazio vitale, intrecciandosi con le
prime vittorie militari del Reich, assume un ruolo sempre più determinante
nella gestione dei rapporti con le popolazioni slave specie dopo l'avvio della
Operazione Barbarossa.
Il confronto si fa acceso, scorrono nelle pagine di Rimbotti decine di
personalità, di studiosi, oggi spesso ingiustamente dimenticati, che segnano
con le loro riflessioni le temperie culturali e ideologiche di quel tempo su
quel tema.
In più di una circostanza si fa riferimento anche al caso Ucraino, che
già allora marcava una certa differenza nei rapporti che il Reich stabiliva a
Est rispetto al caso più generale rappresentato dalla Russia.
La realtà che emerge è sfaccettata, articolata, complessa più di quanto
si è soliti pensare e di quanto ci è stato raccontato circa le occupazioni
militari dell'Est europeo da parte dell'esercito tedesco.
Nessun intento giustificatorio in queste pagine, ma la forte convinzione
che se non si colgono, per esempio, le riemersioni di certe suggestioni
dell'antico tribalismo germanico non si coglie appieno quanto accaduto in quei
territori in quegli anni.
Sotto traccia, in queste pagine, come un basso ostinato e martellante
troviamo il concetto di Reich, il quale a sua volta rimanada all'originale
approccio hitleriano teso a distinguere Imperium romano e Pax greca.
Inevitabile, allora, non incontrare la maestosa, seppur
"ingombrante" figura di Martin Heidegger.
Si. Proprio lui.
Il profeta dell'esistenzialismo "pret a porter" del gruppo Espresso-Repubblica, il guru
"in abstentia" dei festival chic con Micromega accartocciato nella
fodera della giacchetta di tweed.
Nelle pagine di Rimbotti, finalmente, Heidegger acquista quel ruolo,
quella posizione che gli è dovuta nella storia.
Il filosofo di "Essere e Tempo", interprete di un'idea di
orientamento nordicista e anti romana, è il portatore di un'immagine di Volk
tedesco antimondialista e antiplutocratico.
Rimbotti è molto chiaro quando scrive a pagina 133:" Heidegger fu
una delle colonne idelogiche della concezione nazionalsocialista legata allo
spazio, all'idea di Impero e di espansionismo".
Rimbotti altro non fa che scoperchiare ciò che in questi anni si è
cercato di celare.
Se nel 1987 Victor Farias nel suo "Heidegger e il nazismo"
(Bollati Boringhieri - 1987) cercava di sistemare coerentemente il pensiero di
Heidegger nel contesto del suo tempo e dei suoi rapporti con il potere
hitleriano (razzismo compreso), il seguito è stato un susseguirsi di distinguo
che le vestali del politicamente corretto hanno cercato di cucire addosso al
filosofo di "Segnavia".
Certo può forse disturbare che Martin Heidegger, uno dei più grandi
pensatori del Ventesimo Secolo, sia stato nazista.
Ma tant'è.
La sua idea di Reich è la stessa di Hitler e del gruppo dirigente
nazista.
Poche storie.
Questo non significa che non ci furono, in Germania in quegli anni,
aspre e diverse prese di posizione.
Basta seguire il filo conduttore delle pagine di "Lebensraum"
per scoprire e riscoprire pensatori come
lo storico delle religioni Georges Dumèzil, lo studioso di mitologia
greco-romana Karl Kerèny, lo studioso del sacro Rudolf Otto e molti altri per
rendersene conto.
Una pletora di studiosi, di organizzazioni culturali che a vario genere
e in diverse circostanze hanno incrociato la Rivoluzione Conservatrice prima e
il nazismo poi e sono stati citati con rigore da Armin Mohler nel suo
indispensabile studio repertorio "La rivoluzione conservatrice in Germania
1919-1932" (Akropolis-La Roccia di Erec – 1990).
Oltre ad costoro, poi, non vanno sottaciute le figure di Ernst Junger,
di Carl Schmitt e Osvald Spengler.
Con un abile gioco di rimandi con il volume precedente l'autore ne
intreccia suggestioni ed esperienze in grado di aprire squarci e percorsi
interpretativi inediti.
Il Socialismo prussiano di Spengler, la figura teutonica dell'operaio
Jungeriano, la dicotomia amico-nemico nella figura del politico di Schmitt sono
altrettanti epifenomeni di una temperie culturale che Rimbotti si incarica di
restituire con tutti i quesiti aperti.
E poi ancora mitologie nibelungiche, niccianesimo geopolitico,
comunitarismo ruralista, millenarismo post luterano.
Ma non è tutto.
La seconda parte del volume dal titolo "Nazionalbolscevismo,
nazionalsocialismo e rivoluzione mondiale" appare fin dal titolo di una
modernità sconvolgente.
Il punto di partenza, in questo caso, affonda ai tempi della politica
estera prussiana e ai rapporti tra le popolazioni germaniche e le popolazioni
slave.
Sfilano, in queste pagine, pensatori come Rozanov, scrittori-filosofi
come Merezkovskij, poeti come Esenin che assumono il ruolo di traghetattori ideali
nelle difficile questione del "Drang nach Osten".
Letteralmente "Drang nach Osten" significa guardare a Est.
Non si tratta, ovviamente, di suggestioni esotizzanti e contingenti
perchè le grandi pianure russe oltre a offrire grano andavano a intercettare
sedimenti spirituali che la formula di Mosca quale Terza Roma riusciva solo in
parte a spiegare.
Guardare a Est per alcuni signficava emancipazione dall'Occidente
decadente, per altri il tentativo di trovare nuove sintesi tra socialismo
nazionale e bolscevismo depurato dal marxismo.
Sono questi gli anni nei quali si fanno strade pittoresche sintesi
terminologiche quali nazionalbolscevismo oppure correnti ideogiche fortemente
minoritarie come la sinistra nazionalsocialista.
Sono gli anni in cui emerge la figura controversa, fascinosa ma poco più
che naif, di Ernst Niekisch, che con il suo intransigente e durissimo idealismo
tentava un avvicinamento tra il socialismo nazionale tedesco e il bolscevismo
russo depurato dal marxismo.
La storia, poi, si incaricherà di sconfessare queste velleitarie sintesi
tra opposti nel crogiuolo del conflitto mondiale.
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sabato 17 gennaio 2015
GUIDO DALLA CASA: ECOLOGIA PROFONDA E PENSIERO SCIENTIFICO
Agli inizi della scienza moderna, circa
tre secoli fa, la fisica nacque sostanzialmente come meccanica. Alla base della
scienza sta il dogma che il mondo materiale è oggettivamente esistente, in modo
del tutto indipendente dal mondo mentale-spirituale: “quella” scienza si basa
sull’accettazione incondizionata del dualismo cartesiano. Quindi è nata
assumendo come premessa ovvia una
particolare visione del mondo, che avrebbe dovuto essere considerata al massimo
come un’ipotesi di lavoro.
La formulazione della teoria atomica ha
rafforzato la visione meccanicistica del mondo: c’erano 92 “palline” e con
quelle era costituita tutta la realtà. A cavallo dei secoli 19° e 20° salta
fuori la radioattività: gli atomi non sono indivisibili, sono fatti a loro
volta di protoni ed elettroni (in seguito, anche neutroni). Le “palline” sono
più piccole, ma non è cambiato niente: si tratta sempre di particelle
“elementari”, mattoni fondamentali che costituiscono l’universale.
Con la relatività speciale (1905), spazio e tempo perdono la loro
esistenza indipendente ed assoluta, materia ed energia diventano
intercambiabili. Con la relatività
generale (1916) anche la gravitazione entra nel gioco e viene sostituita
con la “geometria dello spaziotempo”.
La rivoluzione sembra notevole, ma siamo ancora ben legati alla visione
cartesiana. Materia ed energia sono state unificate, ma il dualismo principale
resta netto: c’è un mondo energetico-materiale oggettivo, che viene esplorato da una mente umana separata. Le entità non-quantificabili e
non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.
Forse il pensiero corrente ha accettato
l’unificazione energia-materia, ma non è andato oltre. Sempre di entità fisiche si tratta. La mente è un’altra cosa: essa indaga dall’esterno il mondo fisico oggettivo ed è sempre soltanto umana. Siamo arrivati così ai primi
decenni del ventesimo secolo, alle soglie di un cambiamento ancora più
radicale, tuttora in corso.
Come noto, nel 1927 Werner Heisenberg
formulò il “principio di indeterminazione”, che inizialmente
riguardava la posizione e la quantità di moto (semplificando: la
velocità) di una particella. Le due grandezze non sono determinabili
esattamente entrambe: in altre parole
se vogliamo definirne una, l’altra è indeterminata. Il principio si applica
anche ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che sia nulla l’indeterminazione del tempo,
la “particella” presenta una massa-energia completamente indeterminata, il che
significa che non è niente di definibile
in alcun modo. Solo l’osservazione, cioè un aspetto mentale, può definire il fenomeno. Come noto, Erwin
Schroedinger arrivò agli stessi risultati di Heisenberg e riuscì a formulare
l’equazione che porta il suo nome: si tratta di un’equazione differenziale che
descrive l’andamento nel tempo della probabilità
di trovare una “particella” in una determinata posizione. E’ qualcosa di molto
evanescente e sfumato, ma comunque siamo ancora in grado di descrivere un
andamento nel tempo.
Nella seconda metà del Novecento lo
studio della dinamica dei sistemi portò a formulare l’idea di sistema complesso: un sistema con un
certo grado di complessità ha una evoluzione non prevedibile neanche in termini probabilistici. Nel sistema complesso si manifestano
fenomeni mentali.
Se preferite, non è un sistema di energia-materia che si evolve,
ma un ente ternario Mente-Energia-Materia. In tal mondo
riconosciamo una psiche immanente in ogni processo. Il sistema sceglie uno dei
suoi futuri possibili.
Questo
porta a concezioni non-antropocentriche, ad un sottofondo di pensiero animista-panteista. Ci
troviamo in un mondo naturale fatto di entità anche mentali, senza alcun
confine preciso. Il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci fa ritrovare in un mondo
che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.
L’etica deve riguardare tutta la Natura.
Uno dei compiti principali delle religioni dovrebbe essere quello di
dare visioni del mondo e prescrizioni etiche che indicano come mantenere la
Terra in buona salute: dovrebbero diffondere l’empatia e l’amore verso gli
esseri senzienti. E’ quindi evidente che, per avere un
profondo senso del sacro, non è necessaria l’idea di un Dio personale ed esterno al mondo, che si
occupa solo degli umani, come nelle tradizioni nate nel Medio Oriente.
L’evoluzione
del pensiero che abbiamo seguìto ha come sequenza: Relatività–Fisica quantistica –
Indeterminazione – Dinamica dei sistemi complessi – Mente degli esseri
senzienti.
La
concezione che tutta la Natura è anche Mente, che richiama le idee
animiste-panteiste di molte culture umane, è incompatibile con l’attuale
civiltà industriale, in cui si richiede la manipolazione di materia “inerte”. I guai del mondo sono causati dall’attuale visione antropocentrica.
L’unica soluzione reale è abbandonarla: dobbiamo sviluppare una visione ecocentrica, che è appunto quella
dell’Ecologia Profonda.
Guido Dalla
Casa (Movimento
Italiano per l’Ecologia Profonda)
Per approfondire:
domenica 7 dicembre 2014
FRANCESCO SCHIANCHI: “Ripensiamo l’utopia del Parco Lambro”
INTERVISTA A CURA DI: ANTONELLO CRESTI
Anche l’Italia ha avuto la sua piccola Woodstock: per tre anni, dal 1974 al 1976, presso il Parco Lambro di Milano si tenne un festival, definito “del proletariato giovanile”, che mise in scena, anche in maniera ingenua e contraddittoria, le mille anime dei movimenti extraparlamentari dell’epoca. Ma anche tentò una esperienza comunitaria dalle dimensioni ancora sconosciute al nostro paese e, soprattutto, fotografò in maniera eccellente lo stato creativo della scena musicale dell’epoca, con una serie di esibizioni passate alla storia. Su queste vicende è da poco uscito un volume Libro Lambro (ed. Aereostella, pp. 186, euro 18,00) nel quale si confrontano Francesco Schianchi, tra gli organizzatori del festival e Franz Di Cioccio, membro della PFM e protagonista musicale di quella esperienza, con una prefazione di Moni Ovadia. Il significato dell’operazione, come ci ha detto Schianchi, è “rendere contemporanee le pulsioni di un passato quanto mai presente…”
Antonello Cresti: Partiamo dalla fine: quale può essere l’insegnamento di una esperienza come quella del Parco Lambro?
Francesco Schianchi: Molteplici sono gli insegnamenti provenienti da questa straordinaria stagione di eventi, di esperienze di utopie.
In ordine sparso: le persone esprimevano un profondo desiderio di “riprendersi la vita”, non tanto le cose. Purtroppo anche la sinistra extraparlamentare non ha capito questa “profondità” e ha continuato a offrire proposte superficiali. La politica “ufficiale” ,in sintesi, utilizzava la sociologia e non l’antropologia: una grave mancanza che ha costantemente immiserito e banalizzato la sua missione…Ieri come oggi. Questa esperienza inoltre ci consegna una riflessione importante: se si vuole essere in sintonia con il proprio tempo è necessario essere contemporanei, ossia affrontare la vita autentica delle persone che rappresentava allora come oggi il reale “centro di gravità permanente” in grado di modificare” lo stato delle cose presenti.
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mercoledì 3 dicembre 2014
Andrea Chimenti: 20 anni di emozioni dal vivo a Prato
Il 6 dicembre
arriva all'Ex Chiesa di San Giovanni a Prato Andrea Chimenti con un live che ripercorre
oltre venti anni del suo percorso solista.
Chimenti è tra i 300 protagonisti di "Solchi Sperimentali", libro di Antonello Cresti.
BIOGRAFIA:
Dopo l’avventura
coi Moda, Andrea Chimenti ha intrapreso la carriera solista esordendo con
“La maschera del corvo nero e altre storie” (1992). Il Consorzio Produttori
Indipendenti, ovvero il duo Maroccolo-Magnelli ha prodotto il suo secondo album
“L’albero pazzo“, del 1996. Si
tratta di un piccolo capolavoro, rilettura originale e matura della nostra
migliore canzone d’autore, con inserti classicheggianti e suoni pop di respiro
più moderno; un disco ancora oggi stupefacente per bellezza delle canzoni,
raffinatezza dei testi e della interpretazione vocale, qualità degli
arrangiamenti.
Si arriva così al punto più alto del lavoro artistico
di Andrea Chimenti, lo spettacolo “Il porto sepolto“, dove il nostro si cimenta
nell’interpretazione musicale dei più bei versi scritti dal poeta Giuseppe
Ungaretti. Un estratto da questo spettacolo, suonato e composto insieme
a Massimo Fantoni e Matteo Buzzanca, viene
pubblicato su cd nel 2002. Da allora la lunga gestazione che ha portato alla
pubblicazione della nuova e attesa raccolta di canzoni di Chimenti, intitolata
“Vietato morire“, anticipata
dall’uscita di un cd dal vivo (“Concerto 1998“) con canzoni registrate durante
la tournée de “L’albero pazzo”, disco di cui è uscita una ristampa nel 2007.
Nel 2010 è il turno di “Tempesta di Fiori“, nuovo lavoro discografico in
studio.
IL CONCERTO DI SABATO: Sono lontani i tempi nei
quali i Moda erano una delle band di punta dal nuovo rock italiano, dividendo
la scena con Litfiba, CCCP, Diaframma. Oggi Chimenti (che dei
Moda era l'indiscusso leader) fa del buon songwriting preferendo (almeno
su disco) sussurrare anziché incendiare, e ciò non significa che non sia in
grado di provocare rivoluzioni estatiche nei nostri cuori. Andrea Chimenti è uno di
quegli artisti italiani considerati intoccabili. Assieme a nomi quali Giorgio Canali, Marco Parente e Paolo Benvegnù rientra nella ristretta
cerchia di musicisti alternativi che raramente hanno sbagliato un colpo e che
hanno sempre mantenuto una profonda coerenza di fondo in qualsiasi progetto
abbiano portato a termine.
Il concerto all'Ex Chiesa di San Giovanni vedrà
Chimenti in una veste intima e poetica, solo piano e voce con qualche brano
accompagnato dalla chitarra acustica. Oltre ai brani degli ultimi lavori
discografici, verranno proposte molte canzoni del “Porto Sepolto” con liriche
di Giuseppe Ungaretti. Il “Porto sepolto” sarà tra l'altro ristampato nei primi
mesi del 2015.
Pochi cantautori riescono a comunicare la “poesia in
musica” come Chimenti, il concerto di sabato sarà l'occasione per conoscere o
ritrovare questo artista in una veste intima.
6 DICEMBRE 2014 ORE 21,30
EX CHIESA DI SAN GIOVANNI
POSTO UNICO €5 (Più diritti di
prevendita)
PREVENDITE:
CIRCUITO BOX OFFICE TOSCANA
INFO:
martedì 2 dicembre 2014
ROBERTO FRANCO: L' Opus Metachronicum di Sonia Caporossi
La breve
opera di Sonia Caporossi, pur misurandosi sul terreno della citazione
letteraria e della riflessione filosofica, in dodici racconti è capace di
turbare l’animo del lettore, scaraventarlo in un viaggio che ha del cosmico e
dell’infernale; anzi, racchiude in sé il cosmico e l’infernale, come solo un
sogno può fare.
Con le loro
diversioni “metacroniche”, i lori voluti lapsus metastorici e metaletterari, le
rappresentazioni dei personaggi storici, mitologici e letterari raccolte nel
volume sono distorte con una precisione raggelante, per aprire le loro vicende
a una riscrittura che ha del narcolettico e del visionario.
E una
“sovraverità”, quella che l’autrice con chirurgica sapienza dischiude, in
quanto verità che opera su più piani contemporaneamente, riuscendo nell’intento
di trascinare il lettore in un unico vortice di poesia, ironia e orrore che
abbraccia l’intera storia umana e, non secondariamente, l’uomo stesso.
Non è
quindi una semplice “trovata” quella di un Marcel Proust che imprigiona e
sevizia il suo personaggio Albertine nell’impossibile e folle intento di
imparare ad amarla, ma la chiave per avere accesso a un Proust segreto,
sotterraneo, letto tra le righe, spezzato e ricomposto, restituito a un suo
senso più onirico. O quella di un Erostrato trasportato nel tempo, fino
all’antica Grecia, da una statua di Fidia che gli mostrerà la sua imperdonabile
colpa per cui egli è dannato in eterno; colpa ancestrale e inattuale, sacrilegio
irrimediabile che sale fino alla nostra epoca come inconscio collettivo: la
civiltà che non conosce il perdono (nel senso attuale del termine) è ancora
dentro di noi, sembra l’inquietante profezia qui sottintesa.
Come non
sono mere “trovate” quelle di un Monsieur Bovary, medico talmente assetato di
sangue, da uccidere l’altrimenti celebre consorte per cibarsi del suo, o di un
Pier Paolo Pasolini che, osservando un gatto randagio, rivive magistralmente la
propria disperazione esistenziale poco prima di essere ucciso.
Vertici poetici, esistenziali, notturni che la
Caporossi raggiunge in particolare in un Prometeo che parla all’avvoltoio che
lo sevizia come fosse un fratello, o in una Marguerite Yourcenar che scrive,
quasi da una dimensione ultraterrena, alla compagna defunta; per non parlare di
un kafkiano Stachanov rappresentato mentre, ormai cieco e sordo, scava con le
unghie un cunicolo che avrà fine solo con la propria morte, per la gloria di un
Partito l’appartenenza al quale basta per colmarlo di senso esistenziale.
La
tessitura onirica di una storia sotterranea o addirittura “controstoria”
dell’umanità, è uno dei risultati, non so quanto voluto, di questo libro
incredibile, colto, ma mai arido; essa ci lascia intuire che la vena
profondamente creativa dell’autrice ci riserverà altre sorprese.
venerdì 7 novembre 2014
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