Senza
ambiguità, i due principali movimenti di matrice neofascista in Italia, hanno
sposato la causa dei nazionalisti ucraini. Forza Nuova era da anni in buoni
rapporti con i nazionalisti di Svoboda, come testimoniano i numerosi incontri
tra dirigenti dei due partiti, sia in Italia sia in Ucraina. Sul loro sito,
hanno dato voce ad Andriy Voloshyn[1],
rappresentante di Svoboda. Inoltre, il 21 febbraio, Roberto Fiore ha espresso
sulla sua pagina facebook[2]vicinanza
al loro alleato ucraino e giustificato l’abbattimento del governo di Yanukovych,
accusato di essere corrotto e criminale.
CasaPound
Italiaaveva anch’essacontatti con nazionalisti ucraini, come prova il caso di
DmytroYakovets, militante di Leopoli morto in un incidente il 5 febbraio 2013,
mentre affiggeva uno striscione di solidarietà per CPI.Già a dicembre, sul
giornale online “Il Primato Nazionale”, de facto vicino al movimento (per
tematiche e autori), era comparsa l’intervista ad un nazionalista ucraino di
Tryzub, il movimento alla base diPravySektor[3].
Dopo l’accordo del 21 febbraio, un comunicato sulla pagina facebook di CPI[4]esprimeva
soddisfazione per la presunta riconquista della sovranità. Anche
l’intellettuale Gabriele Adinolfi ha continuamente argomentato a favore del
sostegno ai nazionalisti ucraini e della loro «terza via»[5].
Non risultano pronunciamenti da parte della Fiamma Tricolore, però, anch’essa
ha avuto in passato rapporti con Svoboda.
Entrambi
hanno messo in guardia, è vero, contro il rischio di strumentalizzazione delle
rivolte da parte delle forze europeiste e atlantiste a scapito della Russia e
della stessa Ucraina. Allo stesso modo, non si può negare che Yanukovych fosse
un oligarca corrotto, che nel corso degli anni aveva perso ampia parte del
consenso di cui godeva, a causa della sua politica ondivaga e clientelare.
Tuttavia, le loro posizioni restano inaccettabili, ed è perciòil caso di
confutare gli argomenti addotti a loro sostegno. Alla loro base, c’è stata
l’ingenuità di ascoltare la sola campana dei nazionalisti ucraini, a cui si è
voluto dare maggiore credito, in quanto “camerati” e in quanto autoctoni, senza
vagliare criticamente la loro propaganda antirussa. Per quanto sia comprensibile
la loro opposizione alla dominazione sovietica, molte delle loro accuse sono
storicamente false. La scarsa conoscenza del contesto storico-culturale da
parte degli Italiani ha fatto il resto.
Il mito dell’oppressione russa
Innanzitutto,
gli Ucraini, come popolo, hanno una genesi molto simile ai loro vicini Russi e
Bielorussi. La culla della civiltà russa fu proprio Kiev, primo Stato fondato
dalle tribù slave orientali con il concorso dei vichinghi svedesi, a cui
seguirono varie altre città stato, come Mosca e Novgorod. Lo sviluppo di una
differente lingua e cultura fu dovuto in particolar modo a secoli di
dominazione polacca, la quale “occidentalizzò” gli Ucraini, ma essi rimangono
in ampia parte affini ai loro vicini Russi, per lingua, religione (russo
ortodossa), ceppo etnico, storia. Inoltre, non si può non tenere conto della
presenza di milioni di Ucraini in Russia (specialmente nelle regioni dell’alto
Don e del Kuban) e viceversa la forte presenza russa nell’Ucraina meridionale e
orientale, che fanno sì che sia difficile tracciare un confine netto tra le due
nazioni.
In
secondo luogo, le politiche di russificazione furono iniziate dagli Zar, ben
prima dell’URSS, ma procedettero a fasi alterne. Nella prima metà del XIX
secolo, ad esempio, i patrioti ucraini fuggiti dalla Galizia austriaca
trovavano rifugio in suolo russo. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fino
all’inizio degli anni ’30, addirittura, era invalso un processo di
ucrainizzazione, a favore della cultura e dell’identità nazionale ucraina, a
partire dalla costituzione di una Repubblica Socialista Sovietica Ucraina,
cofondatrice dell’Unione e seconda per importanza solo alla RSFS Russa. Dopo
Stalin, salirono al potere un ucraino, Nikita Chruscev, e un russo-ucraino,
Leonid Brezhnev.
Anche la
dekulakizzazione e la terribile carestia (Holodomor)
causata dalla collettivizzazione forzata dell’agricoltura non possonopropriamente
essere considerate un genocidio mirato a distruggere gli Ucraini, dato che
colpirono tutta la parte meridionale dell’URSS, uccidendo anche Russi, Kazaki
ed altri. Lo stesso numero dei mortiviene spesso gonfiato addirittura oltre i
10 milioni, quando più probabilmente, considerando le sole vittime ucraine in
Ucraina si scende ad un terzo di questa cifra.
Viceversa,unmito
da sfatare è quello di una pacifica occupazione dell’Ucraina da parte delle
forze dell’Asse. Se è vero che inizialmente i Tedeschi furono visti come
liberatori, tuttavia, questi non si fecero scrupolo di reprimere con la
violenza ogni forma di resistenza, coinvolgendo la popolazione civile, e di
sfruttare le risorse locali per il proprio sforzo bellico. Addirittura, il
sistema sovietico di fattorie collettive fu mantenuto per rendere più
efficiente la produzione agricola. Gli stessi nazionalisti ucraini
dell’Esercito Insurgente Ucraino finirono per combattere anche contro i
Tedeschi, nonostante vi fossero stati anche rapporti di collaborazione.Il costo
dell’invasione tedesca ammontò a 6 milioni di civili e 1,7 milioni di militari
ucraini morti.Non ho visto il minimo accenno a questa tragedia. Certo è che se
si vuole far del negazionismo a buon mercato, cosa che nell’area non manca, pur
di esaltare l’eroica crociata antibolscevica, è un altro discorso.
In
sintesi, non è falso che vi siano state politiche di assimilazione da parte dei
governanti russi, ma non possono essere addebitate alla sola URSS e la loro
entità effettiva risulta alquanto esagerata da parte dei nazionalisti ucraini.
Parlando di dati e cifre, secondo il censimento del 1926, 80% della popolazione
dello Stato era di etnia ucraina, mentre nel 1939 questa percentuale era scesa
al 76,5% e nel 1989 al 72,7%: un calo di proporzioni certo non drammatiche.
Inoltre, nel corso degli anni, gruppi etnici misti, come i Cosacchi del Kuban,
cessarono di identificarsi come Ucraini per considerarsi invece Russi, data
anche la vicinanza tra queste due nazioni.
Il
secondo grave errore di valutazione riguarda l’attuale rapporto tra Federazione
Russa e Ucraina. Si è parlato con incredibile leggerezza di «imperialismo
russo», considerandolo equivalente a quello statunitense che attanaglia
l’Europa. Addirittura, CPI, nella sua nota, afferma: «auspichiamo
che gli ucraini lottino per avere uno stato sovrano, con una banca nazionale pubblica
e una propria moneta, che faccia accordi commerciali con chicchessia ma nell'esclusivo
interesse dell'Ucraina». Sarebbe bastato informarsi rapidamente, per rendersi
conto che la Banca Nazionale di Ucraina è già pubblica[6],ed
emette una propria moneta, la Grivnia.
Anche relativamente ai rapporti con la
Russia, va detto che questi sono stati piuttosto alterni: solo le presidenze di
Leonid Kuchma (1994 – 2005) e di Viktor Yanukovych (dal 2010) hanno mostrato
una chiara vicinanza politica a Mosca. Entrambi, però, pur provenendo dalle
regioni russofone, hanno cercato una conciliazione con il resto del Paese. Non
a caso, nel 1999, il principale sfidante di Kuchma è stato il comunista
filo-russo Petro Symonenko. Anche loro, infatti, hanno portato avanti politiche
di apertura verso il libero mercato e gli investimenti stranieri, specialmente
europei. Queste tendenze occidentaliste sono state più forti durante la
presidenza di Leonid Kravchuk (1991 – 1994) e Viktor Yushchenko (2005 – 2010),
i quali hanno assunto posizioni a volte antagoniste nei confronti della Russia,
come il sostegno alla Georgia durante il conflitto del 2008 e la vicinanza alla
NATO e alla UE, oltre alle dispute territoriali nel Mare di Azov e in Crimea.
Insomma, è tutto fuorché uno Stato vassallo, come sostenuto da certi
sciovinisti locali.
Che
esista una forte interdipendenza economica tra Ucraina e Russia è un dato di
fatto, eredità di secoli d’integrazione di queste regioni nello spazio russo,
il quale ha lasciato una serie di questioni aperte al momento dell’indipendenza
ucraina: prima di tutto, la presenza di armi nucleari e basi militari
sovietiche, a partiredalla sede della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli. In
secondo luogo, le industrie turistiche, cantieristiche, siderurgiche ed
estrattive dell’Ucraina meridionale e orientale erano inserite nel sistema
produttivo sovietico. Ad oggi comunque, il principale partner commerciale
dell’Ucraina è l’Unione Europea, con il 26,6% delle esportazioni e il 31,2%
delle importazioni[7],
insieme con la Federazione Russa (rispettivamente 23,3% e 19,2%). Anche negli
investimenti stranieri, la Russia è in compagnia di Stati Uniti, Germania e
Olanda (la Shell). Anche la dipendenza dell’Ucraina, per oltre tre quarti, dal
gas e dal petrolio russo è un’arma a doppio taglio, dato che questo Paese
controlla parte degli oleodotti che collegano Russia ed Europa (da cui la
necessità dei progetti North Stream e South Stream).
Perciò,
non si vede proprio come si possa sostenere che la Russia eserciti un dominio
imperialista sull’Ucraina o limiti in qualche modo la sua sovranità. È vero che
c’è una base militare a Sebastopoli, città abitata in grande maggioranza da
Russi, regolarmente affittata per vent’anni dal 1997 al 2017, tuttavia non è
forse lo stesso per la Siria, dove vi sono installazioni navali russe a Tartus?
Eppure, nessuno si è sognato di dire che la sovranità siriana sia oppressa
dalla presenza militare russa. Tanto meno, ciò può essere paragonato
all’occupazione militare dell’Europa occidentale (in particolare Germania e
Italia), seguita all’invasione statunitense. D’altra parte, Bielorussia e
Kazakistan, membri a tutti gli effetti dell’Unione Eurasiatica, e stretti
alleati della Russia, conservano gelosamente la propria sovranità, rimanendo
più indipendenti di quanto non siano i vari Paesi europei nei confronti della
UE.
Infine,
la presenza russa in Ucraina è stata erroneamente attribuita alle politiche
sovietiche, ma anche questo non risponde al vero. Le regioni dell’Ucraina
meridionale e orientali furono popolate da coloni russi già nel XVIII secolo,
dopo che la sconfitta dei Tartari e dei Turchi che controllavano l’area. Circa
un secolo dopo, lo sviluppo industriale attirò numerosi immigrati provenienti
dalle regioni ucraine più interne. Tuttavia, ancora durante la guerra civile
russa, nemmeno i nazionalisti ucraini rivendicarono la Crimea e la costa del
Mar Nero, territori che erano peraltro occupati dalle Armate Bianche zariste,
mentre le forze nazionaliste ucraine controllavano i territori occidentali e
settentrionali, divisi poi tra Polonia e URSS.Questi territori furono comunque
annessi alla R.S.S. Ucraina dopo la Guerra Civile, seguiti dalla Crimea nel
1954, ad opera dell’ucraino Chruscev, e in parte ucrainizzati.
Quindi,
oggi, in Ucraina vi è una popolazione mista tra Ucraini ucrainofoni, Ucraini
russofoni e Russi veri e propri. Questi ultimi, secondo l’ultimo censimento
(2001), ammontavano al 17,2% della popolazione, mentre i russofoni totali erano
il 30% della popolazione, per un totale di oltre 5 milioni di Ucraini che
parlano principalmente russo. Russi e russofoni sono maggioritari solo in
Crimea e nelle province di Donetsk e Luhansk, ma superano il 10% in tutte le
province orientali e meridionali, e costituiscono un quarto della popolazione
di Kiev.Questo mostra che candidati “filorussi” alla Presidenza come Kuchma,
Yanukovych, e persino il comunista Symonenko, hanno goduto di un consenso
decisamente più ampio rispetto alla semplice minoranza etnolinguistica, pur
avendo la loro base elettorale in queste regioni.
Anche
la presunta antipatia degli Ucraini nel loro insieme verso i Russi è minore di
quanto non si affermi. Secondo un sondaggio, il 96% degli Ucraini avrebbe una
buona opinione dei Russi[8].
Si tratterebbe quindi di una minoranza della popolazione, per quanto forte e
agguerrita, a voler «autodeterminarsi» rompendo i legami con la Russia, non
certo della popolazione ucraina nel suo insieme. Senza contare che l’assimilazione
forzata o la cacciata dei Russi autoctoni, sarebbe moralmente deprecabile e
difficilmente praticabile.
Il mito della Terza Via
Il
grande totem dietro cui i neofascisti italiani si sono trincerati per
giustificare la loro posizione è quello della terza posizione. Il problema è
che questo modello aveva senso in un mondo bipolare. Tra il 1917 e il 1989, la
presenza di un fronte comunista internazionale, guidato dalla superpotenza
sovietica, opposto alle democrazie liberali e capitaliste dell’Occidente,
poteva giustificare la costruzione di una terza via nazional-rivoluzionaria ed
europeista.In realtà, già la scelta hitleriana di tradire l’alleanza con l’URSS
per combattere su due fronti, si era rivelata materialmente insostenibile, e
quindi catastrofica.
Nel
dopoguerra, la presenza di due blocchi,per alcuni versi equivalenti,costituiva
l’occasione per il sostegno meditato sia alle varie esperienze terziste (es. la
Jugoslavia di Tito o l’India di Nehru), sia ai tentativi di autonomia
all’interno dei blocchi (es. la Francia di De Gaulle o la Romania di
Ceausescu), ma anche alle battaglie che indebolivano le due superpotenze, come
la resistenza di Cuba o del Vietnam oppure dell’Afghanistan e dell’Ungheria.
Nonostante la vittoria finale dell’Occidente, grazie anche alla sua capacità di
dividere i suoi nemici (ragion per cui non è facile agire come una terza
forza), questa prassi aveva liberato spazi di autonomia e sovranità nazionale
rispetto agli imperialismi occidentali o sovietico.
Oggi,
però, viviamo in un mondo unipolare dominato dall’egemonia politica, militare
ed economica dell’Occidente liberalcapitalista, guidato dagli Stati Uniti. Le
forze multipolari che avanzano, con i BRICS in testa, non sono ancora in grado
di fronteggiare apertamente il nemico. Non lo è la Cina, ancora confinata nelle
proprie acque territoriali, né la Russia, la cui potenza militare è un’ombra
rispetto all’URSS. Non esiste quindi nessuna “seconda posizione”, da
contrastare. La pretesa di una terza posizione, quindi, finisce per favorire il
più forte.
Nel
caso ucraino, vediamo chiaramente, che lo sforzo militante dei nazionalisti, i
meglio organizzati e i più aggressivi nelle piazze, finora ha portato alla
scarcerazione della Timoshenko, un’oligarca corrotta tanto quanto Yanukovych, e
al predominio del suo partito e di quello del cittadino tedesco Klitschko.Bisognerebbe
peraltro esaminare quanto le proteste siano rivolte contro il precedente
governo, insostenibile anche agli occhi di Mosca, e quanto invece siano mosse
da un’autentica avversione anti-russa, che è più probabilmente retaggio di una
minoranza ideologizzata.
Le cose
non vanno certo meglio per il principale partito nazionalista (l’unico presente
in Parlamento), Svoboda. Nelloro programma,si dicono apertamente disposti a
negoziare l’ingresso nella NATO e achiedere sostegno agli USA e al Regno Unito
per difendere l’Ucraina e costituire un arsenale nucleare, nonché a
militarizzare e rafforzare il Paese in chiave antirussa, concedendo addirittura
basi militari alla NATO[9].
Inoltre, vorrebbero rafforzare i legami economici con la UE, incuranti dei
disastri causati dalle politiche finanziarie europee in Paesi come la Grecia.
Questi presunti nazionalisti sostengono senza mezzi termini l’assoggettamento
della loro nazione!
Mentre
FN si dichiara vicina a Svoboda, CPI simpatizza per movimenti più estremisti
come SpilnaPrava (“Causa Comune”) ePravySektor (“Settore Destro”), i quali sono
effettivamente fautori di una terza posizione equidistante tra Occidente e
Russia, e intendono «utilizzare la strategia evoliana del
“cavalcare la tigre”, cercando di utilizzare l’ondata di proteste e dirigerle
verso posizioni rivoluzionarie nazionaliste». Tuttavia, essi stessi ammettono che «il “Right Sector” è
però praticamente senza risorse economiche, perché non è sostenuto da nessun
oligarca». L’affermazione più grave è però quella secondo cui «riteniamo
comunque l’attuale opposizione liberale come un male minore e la consideriamo
come un alleato temporaneo». In questo modo, si prestano ad essere loro stessi
sfruttati come bassa manovalanza dalle forze liberali.
Ragioniamo però per assurdo e
ipotizziamo che, nonostante tutto, i nazionalisti riescano a prendere il
potere. Come sposterebbero la bilancia commerciale del Paese, già adesso in
equilibrio tra Europa e Russia? Come tratterebbero la cospicua minoranza
russofona, specie alla luce dei numerosi proclami riguardo alla destituzione
del russo dallo status di lingua ufficiale? Se dovessero, come è probabile,
peggiorare i rapporti con la Russia, come reagirebbero, se non intensificando i
rapporti con l’Occidente, entrando quindi a far parte della sfera europea?
Queste sono domande che ci si dovrebbe porre prima di manifestare il proprio
sostegno, non dopo, una volta che il danno è fatto!
In conclusione, la causa nazionalista
ucraina non pare certo nelle condizioni, visto il contesto politico e
internazionale, di trasformare l’Ucraina in una potenza autonoma. Rinnegare la
naturale alleanza alla pari con la Russia, non può che gettare il Paese nelle
grinfie della più forte alleanza atlantica. Da vent’anni, la NATO avanza verso
oriente, installando basi militari volte a minacciare e strangolare la
Federazione Russa. Non si farà quindi sfuggire nessuna occasione per soggiogare
l’Ucraina, a maggior ragione, se questa pretende di combattere da sola.L’«indipendenza
ucraìna nella collaborazione ferma con la Russia di Putin» di cui parla
Adinolfi non potrà certo essere realizzata da chi esprime posizioni antirusse!
D’altra parte, per la Russia, la caduta
dell’Ucraina costituirebbe una grave sconfitta, con ripercussioni anche sugli
altri teatri di resistenza contro l’imperialismo statunitense. Senza la base
navale di Sebastopoli risulterebbe indebolita proprio la stessa Flotta del Mar
Nero, deputata alle operazioni nel Mediterraneo, a sostegno della Repubblica
Araba di Siria. Allo stesso modo, la presenza di basi atlantiche o uno stato di
guerra civile in Ucraina indebolirebbero la potenza russa, già costretta alla
difensiva, impedendole di rinforzare adeguatamente la Siria o l’Iran o
l’America Latina.Coloro che, con una serie di iniziative e manifestazioni,
finora hanno sempre sostenuto Assad e il suo popolo, dovrebbero tenerlo bene a
mente.
Conclusione
In fin
dei conti, ciò che colpisce è come molti neofascisti abbiano ragionato in
termini non già politici, bensì tribali. Lo stesso errore compiuto da ampia
parte della sinistra radicale a proposito delle fantomatiche masse proletarie
arabe viene ora commesso dalla loro controparte. Adinolfi parla apertamente di
«abbandonare le categorie del tifo e anche quelle
dell’astrazione teorica per raggiungere un’empatia reale con chi ci è
idealmente ed antropologicamente affine». Si tratta, sic et
simpliciter, della rinuncia all’analisi razionale in nome di legami
istintivi e personali, della negazione del realismo politico in favore dell’utopia
romantica!Non basta riconoscersi in un comune universo di simboli o condividere
ideali astratti per combattere fianco a fianco: sono le scelte concrete quelle
che contano. E non è certo abbattendo le statue di Lenin o minacciando i
negozianti ebrei, che si conduce una politica autenticamente nazional-rivoluzionaria
e anticapitalista!
Bisognerebbe
avere il coraggio di rompere anche con i presunti nazionalisti se si dimostrano
essere strumenti del nemico. Invece, si presume che, solo perché sono “idealmente
e antropologicamente affini” (senza tener conto delle differenze
etnoculturali!) e indigeni del luogo, le loro narrazioni e le loro esperienze
siano da prendere come oro colato. Questa è una grave ingenuità, che non può
essere giustificata dalla pretesa attualista di anteporre la prassi alla
teoria, pena il cadere in errori marchiani come questo. Naturalmente, il mio
discorso presuppone che si tratti di una serie di equivoci e di malintesi,
comprensibili se solo si tiene conto di quello che è il livello generale del
neofascismo italiano.Se fossi più cinico o prevenuto, ammetterei senza mezzi
termini che quest’area non è altro che la bassa manovalanza dell’atlantismo e
della borghesia.
Questa è senza mezzi termini l'analisi più interessante che ho letto ultimamente sui fatti di Kiev, sopratutto riguardo l'endorsement dei neo-fascisti Italiani che mi ha deluso parecchio. Credevo fossero più acuti in politica estera invece si dimostrano molto immaturi. Il futuro della "destra europea" oggi è nelle mani di gruppi come Stato e Potenza, filosofi come Mutti, De Benoist e Dugin. Quest'ultimo l'ideologo della cosìdetta "Quarta Teoria Politica". CPI e FN hanno solo da imparare da loro!
RispondiEliminacome definisci un'affinità antropologiche?
RispondiEliminacome fai a diagnosticare che qualcuno sia indigeno di un luogo e qualcun altro no? questo articolo, personalmente discutibile anche nell'italiano, è una toppa più grande del buco o, parafrasandoti, "il solito errore".
uno studente di storia
«antropologicamente affine» è una citazione dalle parole di Adinolfi, quindi non è un termine mio. Si riferisce alla comune percezione di "camerati" condivisa dai neofascisti italiani e dai nazionalisti ucraini.
EliminaRiguardo alla definizione d'«indigeno», ti rimando ad un buon dizionario ( http://www.treccani.it/vocabolario/indigeno/ ).
Infine, circa il «personalmente discutibile anche nell'italiano», ti salva l'avverbio utilizzato che limita tutto alla tua personale impressione. In tredici anni di scuola e otto di studi universitari (incluso il dottorato in corso), le mie competenze linguistiche con la mia lingua madre sono sempre state ritenute più che buone. Persino la controrelatrice in sede di laurea, si è sentita in dovere di rilevare questo punto.