mercoledì 26 febbraio 2014

ANDREA VIRGA: I neofascisti e la crisi ucraina



Senza ambiguità, i due principali movimenti di matrice neofascista in Italia, hanno sposato la causa dei nazionalisti ucraini. Forza Nuova era da anni in buoni rapporti con i nazionalisti di Svoboda, come testimoniano i numerosi incontri tra dirigenti dei due partiti, sia in Italia sia in Ucraina. Sul loro sito, hanno dato voce ad Andriy Voloshyn[1], rappresentante di Svoboda. Inoltre, il 21 febbraio, Roberto Fiore ha espresso sulla sua pagina facebook[2]vicinanza al loro alleato ucraino e giustificato l’abbattimento del governo di Yanukovych, accusato di essere corrotto e criminale.
CasaPound Italiaaveva anch’essacontatti con nazionalisti ucraini, come prova il caso di DmytroYakovets, militante di Leopoli morto in un incidente il 5 febbraio 2013, mentre affiggeva uno striscione di solidarietà per CPI.Già a dicembre, sul giornale online “Il Primato Nazionale”, de facto vicino al movimento (per tematiche e autori), era comparsa l’intervista ad un nazionalista ucraino di Tryzub, il movimento alla base diPravySektor[3]. Dopo l’accordo del 21 febbraio, un comunicato sulla pagina facebook di CPI[4]esprimeva soddisfazione per la presunta riconquista della sovranità. Anche l’intellettuale Gabriele Adinolfi ha continuamente argomentato a favore del sostegno ai nazionalisti ucraini e della loro «terza via»[5]. Non risultano pronunciamenti da parte della Fiamma Tricolore, però, anch’essa ha avuto in passato rapporti con Svoboda.
Entrambi hanno messo in guardia, è vero, contro il rischio di strumentalizzazione delle rivolte da parte delle forze europeiste e atlantiste a scapito della Russia e della stessa Ucraina. Allo stesso modo, non si può negare che Yanukovych fosse un oligarca corrotto, che nel corso degli anni aveva perso ampia parte del consenso di cui godeva, a causa della sua politica ondivaga e clientelare. Tuttavia, le loro posizioni restano inaccettabili, ed è perciòil caso di confutare gli argomenti addotti a loro sostegno. Alla loro base, c’è stata l’ingenuità di ascoltare la sola campana dei nazionalisti ucraini, a cui si è voluto dare maggiore credito, in quanto “camerati” e in quanto autoctoni, senza vagliare criticamente la loro propaganda antirussa. Per quanto sia comprensibile la loro opposizione alla dominazione sovietica, molte delle loro accuse sono storicamente false. La scarsa conoscenza del contesto storico-culturale da parte degli Italiani ha fatto il resto.

Il mito dell’oppressione russa

Innanzitutto, gli Ucraini, come popolo, hanno una genesi molto simile ai loro vicini Russi e Bielorussi. La culla della civiltà russa fu proprio Kiev, primo Stato fondato dalle tribù slave orientali con il concorso dei vichinghi svedesi, a cui seguirono varie altre città stato, come Mosca e Novgorod. Lo sviluppo di una differente lingua e cultura fu dovuto in particolar modo a secoli di dominazione polacca, la quale “occidentalizzò” gli Ucraini, ma essi rimangono in ampia parte affini ai loro vicini Russi, per lingua, religione (russo ortodossa), ceppo etnico, storia. Inoltre, non si può non tenere conto della presenza di milioni di Ucraini in Russia (specialmente nelle regioni dell’alto Don e del Kuban) e viceversa la forte presenza russa nell’Ucraina meridionale e orientale, che fanno sì che sia difficile tracciare un confine netto tra le due nazioni.
In secondo luogo, le politiche di russificazione furono iniziate dagli Zar, ben prima dell’URSS, ma procedettero a fasi alterne. Nella prima metà del XIX secolo, ad esempio, i patrioti ucraini fuggiti dalla Galizia austriaca trovavano rifugio in suolo russo. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fino all’inizio degli anni ’30, addirittura, era invalso un processo di ucrainizzazione, a favore della cultura e dell’identità nazionale ucraina, a partire dalla costituzione di una Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, cofondatrice dell’Unione e seconda per importanza solo alla RSFS Russa. Dopo Stalin, salirono al potere un ucraino, Nikita Chruscev, e un russo-ucraino, Leonid Brezhnev.
Anche la dekulakizzazione e la terribile carestia (Holodomor) causata dalla collettivizzazione forzata dell’agricoltura non possonopropriamente essere considerate un genocidio mirato a distruggere gli Ucraini, dato che colpirono tutta la parte meridionale dell’URSS, uccidendo anche Russi, Kazaki ed altri. Lo stesso numero dei mortiviene spesso gonfiato addirittura oltre i 10 milioni, quando più probabilmente, considerando le sole vittime ucraine in Ucraina si scende ad un terzo di questa cifra.
Viceversa,unmito da sfatare è quello di una pacifica occupazione dell’Ucraina da parte delle forze dell’Asse. Se è vero che inizialmente i Tedeschi furono visti come liberatori, tuttavia, questi non si fecero scrupolo di reprimere con la violenza ogni forma di resistenza, coinvolgendo la popolazione civile, e di sfruttare le risorse locali per il proprio sforzo bellico. Addirittura, il sistema sovietico di fattorie collettive fu mantenuto per rendere più efficiente la produzione agricola. Gli stessi nazionalisti ucraini dell’Esercito Insurgente Ucraino finirono per combattere anche contro i Tedeschi, nonostante vi fossero stati anche rapporti di collaborazione.Il costo dell’invasione tedesca ammontò a 6 milioni di civili e 1,7 milioni di militari ucraini morti.Non ho visto il minimo accenno a questa tragedia. Certo è che se si vuole far del negazionismo a buon mercato, cosa che nell’area non manca, pur di esaltare l’eroica crociata antibolscevica, è un altro discorso.
In sintesi, non è falso che vi siano state politiche di assimilazione da parte dei governanti russi, ma non possono essere addebitate alla sola URSS e la loro entità effettiva risulta alquanto esagerata da parte dei nazionalisti ucraini. Parlando di dati e cifre, secondo il censimento del 1926, 80% della popolazione dello Stato era di etnia ucraina, mentre nel 1939 questa percentuale era scesa al 76,5% e nel 1989 al 72,7%: un calo di proporzioni certo non drammatiche. Inoltre, nel corso degli anni, gruppi etnici misti, come i Cosacchi del Kuban, cessarono di identificarsi come Ucraini per considerarsi invece Russi, data anche la vicinanza tra queste due nazioni.

Il mito dell’autodeterminazione

Il secondo grave errore di valutazione riguarda l’attuale rapporto tra Federazione Russa e Ucraina. Si è parlato con incredibile leggerezza di «imperialismo russo», considerandolo equivalente a quello statunitense che attanaglia l’Europa. Addirittura, CPI, nella sua nota, afferma: «auspichiamo che gli ucraini lottino per avere uno stato sovrano, con una banca nazionale pubblica e una propria moneta, che faccia accordi commerciali con chicchessia ma nell'esclusivo interesse dell'Ucraina». Sarebbe bastato informarsi rapidamente, per rendersi conto che la Banca Nazionale di Ucraina è già pubblica[6],ed emette una propria moneta, la Grivnia.
Anche relativamente ai rapporti con la Russia, va detto che questi sono stati piuttosto alterni: solo le presidenze di Leonid Kuchma (1994 – 2005) e di Viktor Yanukovych (dal 2010) hanno mostrato una chiara vicinanza politica a Mosca. Entrambi, però, pur provenendo dalle regioni russofone, hanno cercato una conciliazione con il resto del Paese. Non a caso, nel 1999, il principale sfidante di Kuchma è stato il comunista filo-russo Petro Symonenko. Anche loro, infatti, hanno portato avanti politiche di apertura verso il libero mercato e gli investimenti stranieri, specialmente europei. Queste tendenze occidentaliste sono state più forti durante la presidenza di Leonid Kravchuk (1991 – 1994) e Viktor Yushchenko (2005 – 2010), i quali hanno assunto posizioni a volte antagoniste nei confronti della Russia, come il sostegno alla Georgia durante il conflitto del 2008 e la vicinanza alla NATO e alla UE, oltre alle dispute territoriali nel Mare di Azov e in Crimea. Insomma, è tutto fuorché uno Stato vassallo, come sostenuto da certi sciovinisti locali.
Che esista una forte interdipendenza economica tra Ucraina e Russia è un dato di fatto, eredità di secoli d’integrazione di queste regioni nello spazio russo, il quale ha lasciato una serie di questioni aperte al momento dell’indipendenza ucraina: prima di tutto, la presenza di armi nucleari e basi militari sovietiche, a partiredalla sede della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli. In secondo luogo, le industrie turistiche, cantieristiche, siderurgiche ed estrattive dell’Ucraina meridionale e orientale erano inserite nel sistema produttivo sovietico. Ad oggi comunque, il principale partner commerciale dell’Ucraina è l’Unione Europea, con il 26,6% delle esportazioni e il 31,2% delle importazioni[7], insieme con la Federazione Russa (rispettivamente 23,3% e 19,2%). Anche negli investimenti stranieri, la Russia è in compagnia di Stati Uniti, Germania e Olanda (la Shell). Anche la dipendenza dell’Ucraina, per oltre tre quarti, dal gas e dal petrolio russo è un’arma a doppio taglio, dato che questo Paese controlla parte degli oleodotti che collegano Russia ed Europa (da cui la necessità dei progetti North Stream e South Stream).
Perciò, non si vede proprio come si possa sostenere che la Russia eserciti un dominio imperialista sull’Ucraina o limiti in qualche modo la sua sovranità. È vero che c’è una base militare a Sebastopoli, città abitata in grande maggioranza da Russi, regolarmente affittata per vent’anni dal 1997 al 2017, tuttavia non è forse lo stesso per la Siria, dove vi sono installazioni navali russe a Tartus? Eppure, nessuno si è sognato di dire che la sovranità siriana sia oppressa dalla presenza militare russa. Tanto meno, ciò può essere paragonato all’occupazione militare dell’Europa occidentale (in particolare Germania e Italia), seguita all’invasione statunitense. D’altra parte, Bielorussia e Kazakistan, membri a tutti gli effetti dell’Unione Eurasiatica, e stretti alleati della Russia, conservano gelosamente la propria sovranità, rimanendo più indipendenti di quanto non siano i vari Paesi europei nei confronti della UE.
Infine, la presenza russa in Ucraina è stata erroneamente attribuita alle politiche sovietiche, ma anche questo non risponde al vero. Le regioni dell’Ucraina meridionale e orientali furono popolate da coloni russi già nel XVIII secolo, dopo che la sconfitta dei Tartari e dei Turchi che controllavano l’area. Circa un secolo dopo, lo sviluppo industriale attirò numerosi immigrati provenienti dalle regioni ucraine più interne. Tuttavia, ancora durante la guerra civile russa, nemmeno i nazionalisti ucraini rivendicarono la Crimea e la costa del Mar Nero, territori che erano peraltro occupati dalle Armate Bianche zariste, mentre le forze nazionaliste ucraine controllavano i territori occidentali e settentrionali, divisi poi tra Polonia e URSS.Questi territori furono comunque annessi alla R.S.S. Ucraina dopo la Guerra Civile, seguiti dalla Crimea nel 1954, ad opera dell’ucraino Chruscev, e in parte ucrainizzati.
Quindi, oggi, in Ucraina vi è una popolazione mista tra Ucraini ucrainofoni, Ucraini russofoni e Russi veri e propri. Questi ultimi, secondo l’ultimo censimento (2001), ammontavano al 17,2% della popolazione, mentre i russofoni totali erano il 30% della popolazione, per un totale di oltre 5 milioni di Ucraini che parlano principalmente russo. Russi e russofoni sono maggioritari solo in Crimea e nelle province di Donetsk e Luhansk, ma superano il 10% in tutte le province orientali e meridionali, e costituiscono un quarto della popolazione di Kiev.Questo mostra che candidati “filorussi” alla Presidenza come Kuchma, Yanukovych, e persino il comunista Symonenko, hanno goduto di un consenso decisamente più ampio rispetto alla semplice minoranza etnolinguistica, pur avendo la loro base elettorale in queste regioni.
Anche la presunta antipatia degli Ucraini nel loro insieme verso i Russi è minore di quanto non si affermi. Secondo un sondaggio, il 96% degli Ucraini avrebbe una buona opinione dei Russi[8]. Si tratterebbe quindi di una minoranza della popolazione, per quanto forte e agguerrita, a voler «autodeterminarsi» rompendo i legami con la Russia, non certo della popolazione ucraina nel suo insieme. Senza contare che l’assimilazione forzata o la cacciata dei Russi autoctoni, sarebbe moralmente deprecabile e difficilmente praticabile.

Il mito della Terza Via

Il grande totem dietro cui i neofascisti italiani si sono trincerati per giustificare la loro posizione è quello della terza posizione. Il problema è che questo modello aveva senso in un mondo bipolare. Tra il 1917 e il 1989, la presenza di un fronte comunista internazionale, guidato dalla superpotenza sovietica, opposto alle democrazie liberali e capitaliste dell’Occidente, poteva giustificare la costruzione di una terza via nazional-rivoluzionaria ed europeista.In realtà, già la scelta hitleriana di tradire l’alleanza con l’URSS per combattere su due fronti, si era rivelata materialmente insostenibile, e quindi catastrofica.
Nel dopoguerra, la presenza di due blocchi,per alcuni versi equivalenti,costituiva l’occasione per il sostegno meditato sia alle varie esperienze terziste (es. la Jugoslavia di Tito o l’India di Nehru), sia ai tentativi di autonomia all’interno dei blocchi (es. la Francia di De Gaulle o la Romania di Ceausescu), ma anche alle battaglie che indebolivano le due superpotenze, come la resistenza di Cuba o del Vietnam oppure dell’Afghanistan e dell’Ungheria. Nonostante la vittoria finale dell’Occidente, grazie anche alla sua capacità di dividere i suoi nemici (ragion per cui non è facile agire come una terza forza), questa prassi aveva liberato spazi di autonomia e sovranità nazionale rispetto agli imperialismi occidentali o sovietico.
Oggi, però, viviamo in un mondo unipolare dominato dall’egemonia politica, militare ed economica dell’Occidente liberalcapitalista, guidato dagli Stati Uniti. Le forze multipolari che avanzano, con i BRICS in testa, non sono ancora in grado di fronteggiare apertamente il nemico. Non lo è la Cina, ancora confinata nelle proprie acque territoriali, né la Russia, la cui potenza militare è un’ombra rispetto all’URSS. Non esiste quindi nessuna “seconda posizione”, da contrastare. La pretesa di una terza posizione, quindi, finisce per favorire il più forte.
Nel caso ucraino, vediamo chiaramente, che lo sforzo militante dei nazionalisti, i meglio organizzati e i più aggressivi nelle piazze, finora ha portato alla scarcerazione della Timoshenko, un’oligarca corrotta tanto quanto Yanukovych, e al predominio del suo partito e di quello del cittadino tedesco Klitschko.Bisognerebbe peraltro esaminare quanto le proteste siano rivolte contro il precedente governo, insostenibile anche agli occhi di Mosca, e quanto invece siano mosse da un’autentica avversione anti-russa, che è più probabilmente retaggio di una minoranza ideologizzata.
Le cose non vanno certo meglio per il principale partito nazionalista (l’unico presente in Parlamento), Svoboda. Nelloro programma,si dicono apertamente disposti a negoziare l’ingresso nella NATO e achiedere sostegno agli USA e al Regno Unito per difendere l’Ucraina e costituire un arsenale nucleare, nonché a militarizzare e rafforzare il Paese in chiave antirussa, concedendo addirittura basi militari alla NATO[9]. Inoltre, vorrebbero rafforzare i legami economici con la UE, incuranti dei disastri causati dalle politiche finanziarie europee in Paesi come la Grecia. Questi presunti nazionalisti sostengono senza mezzi termini l’assoggettamento della loro nazione!
Mentre FN si dichiara vicina a Svoboda, CPI simpatizza per movimenti più estremisti come SpilnaPrava (“Causa Comune”) ePravySektor (“Settore Destro”), i quali sono effettivamente fautori di una terza posizione equidistante tra Occidente e Russia, e intendono «utilizzare la strategia evoliana del “cavalcare la tigre”, cercando di utilizzare l’ondata di proteste e dirigerle verso posizioni rivoluzionarie nazionaliste». Tuttavia, essi stessi ammettono che «il “Right Sector” è però praticamente senza risorse economiche, perché non è sostenuto da nessun oligarca». L’affermazione più grave è però quella secondo cui «riteniamo comunque l’attuale opposizione liberale come un male minore e la consideriamo come un alleato temporaneo». In questo modo, si prestano ad essere loro stessi sfruttati come bassa manovalanza dalle forze liberali.
Ragioniamo però per assurdo e ipotizziamo che, nonostante tutto, i nazionalisti riescano a prendere il potere. Come sposterebbero la bilancia commerciale del Paese, già adesso in equilibrio tra Europa e Russia? Come tratterebbero la cospicua minoranza russofona, specie alla luce dei numerosi proclami riguardo alla destituzione del russo dallo status di lingua ufficiale? Se dovessero, come è probabile, peggiorare i rapporti con la Russia, come reagirebbero, se non intensificando i rapporti con l’Occidente, entrando quindi a far parte della sfera europea? Queste sono domande che ci si dovrebbe porre prima di manifestare il proprio sostegno, non dopo, una volta che il danno è fatto!
In conclusione, la causa nazionalista ucraina non pare certo nelle condizioni, visto il contesto politico e internazionale, di trasformare l’Ucraina in una potenza autonoma. Rinnegare la naturale alleanza alla pari con la Russia, non può che gettare il Paese nelle grinfie della più forte alleanza atlantica. Da vent’anni, la NATO avanza verso oriente, installando basi militari volte a minacciare e strangolare la Federazione Russa. Non si farà quindi sfuggire nessuna occasione per soggiogare l’Ucraina, a maggior ragione, se questa pretende di combattere da sola.L’«indipendenza ucraìna nella collaborazione ferma con la Russia di Putin» di cui parla Adinolfi non potrà certo essere realizzata da chi esprime posizioni antirusse!
D’altra parte, per la Russia, la caduta dell’Ucraina costituirebbe una grave sconfitta, con ripercussioni anche sugli altri teatri di resistenza contro l’imperialismo statunitense. Senza la base navale di Sebastopoli risulterebbe indebolita proprio la stessa Flotta del Mar Nero, deputata alle operazioni nel Mediterraneo, a sostegno della Repubblica Araba di Siria. Allo stesso modo, la presenza di basi atlantiche o uno stato di guerra civile in Ucraina indebolirebbero la potenza russa, già costretta alla difensiva, impedendole di rinforzare adeguatamente la Siria o l’Iran o l’America Latina.Coloro che, con una serie di iniziative e manifestazioni, finora hanno sempre sostenuto Assad e il suo popolo, dovrebbero tenerlo bene a mente.

Conclusione

In fin dei conti, ciò che colpisce è come molti neofascisti abbiano ragionato in termini non già politici, bensì tribali. Lo stesso errore compiuto da ampia parte della sinistra radicale a proposito delle fantomatiche masse proletarie arabe viene ora commesso dalla loro controparte. Adinolfi parla apertamente di «abbandonare le categorie del tifo e anche quelle dell’astrazione teorica per raggiungere un’empatia reale con chi ci è idealmente ed antropologicamente affine». Si tratta, sic et simpliciter, della rinuncia all’analisi razionale in nome di legami istintivi e personali, della negazione del realismo politico in favore dell’utopia romantica!Non basta riconoscersi in un comune universo di simboli o condividere ideali astratti per combattere fianco a fianco: sono le scelte concrete quelle che contano. E non è certo abbattendo le statue di Lenin o minacciando i negozianti ebrei, che si conduce una politica autenticamente nazional-rivoluzionaria e anticapitalista!
Bisognerebbe avere il coraggio di rompere anche con i presunti nazionalisti se si dimostrano essere strumenti del nemico. Invece, si presume che, solo perché sono “idealmente e antropologicamente affini” (senza tener conto delle differenze etnoculturali!) e indigeni del luogo, le loro narrazioni e le loro esperienze siano da prendere come oro colato. Questa è una grave ingenuità, che non può essere giustificata dalla pretesa attualista di anteporre la prassi alla teoria, pena il cadere in errori marchiani come questo. Naturalmente, il mio discorso presuppone che si tratti di una serie di equivoci e di malintesi, comprensibili se solo si tiene conto di quello che è il livello generale del neofascismo italiano.Se fossi più cinico o prevenuto, ammetterei senza mezzi termini che quest’area non è altro che la bassa manovalanza dell’atlantismo e della borghesia.

3 commenti:

  1. Questa è senza mezzi termini l'analisi più interessante che ho letto ultimamente sui fatti di Kiev, sopratutto riguardo l'endorsement dei neo-fascisti Italiani che mi ha deluso parecchio. Credevo fossero più acuti in politica estera invece si dimostrano molto immaturi. Il futuro della "destra europea" oggi è nelle mani di gruppi come Stato e Potenza, filosofi come Mutti, De Benoist e Dugin. Quest'ultimo l'ideologo della cosìdetta "Quarta Teoria Politica". CPI e FN hanno solo da imparare da loro!

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  2. come definisci un'affinità antropologiche?
    come fai a diagnosticare che qualcuno sia indigeno di un luogo e qualcun altro no? questo articolo, personalmente discutibile anche nell'italiano, è una toppa più grande del buco o, parafrasandoti, "il solito errore".

    uno studente di storia

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    1. «antropologicamente affine» è una citazione dalle parole di Adinolfi, quindi non è un termine mio. Si riferisce alla comune percezione di "camerati" condivisa dai neofascisti italiani e dai nazionalisti ucraini.

      Riguardo alla definizione d'«indigeno», ti rimando ad un buon dizionario ( http://www.treccani.it/vocabolario/indigeno/ ).

      Infine, circa il «personalmente discutibile anche nell'italiano», ti salva l'avverbio utilizzato che limita tutto alla tua personale impressione. In tredici anni di scuola e otto di studi universitari (incluso il dottorato in corso), le mie competenze linguistiche con la mia lingua madre sono sempre state ritenute più che buone. Persino la controrelatrice in sede di laurea, si è sentita in dovere di rilevare questo punto.

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