Libero spazio di anomalie culturali, fuori dalle convenzioni. Ideato da: Antonello Cresti e Luca Negri. ideeinoltre@gmail.com https://www.facebook.com/groups/ideeinoltre/
lunedì 27 ottobre 2014
ENRICO GALOPPINI: “Campi nomadi”: la soluzione arriva dalla “democrazia”!
Scandalo,
orrore, apriti cielo! La proposta del sindaco di Borgaro Torinese (del Pd),
appoggiata da un assessore della sua giunta (di Sel), ha suscitato – come
previsto - un vespaio di polemiche.
A seguito di
reiterati e continui atti di vandalismo ai danni dei mezzi della linea di
autobus 69 e di soprusi nei confronti dei suoi passeggeri compiuti da residenti
del “campo nomadi” ubicato lungo il percorso del suddetto mezzo pubblico, il
Comune della cittadina dell’hinterland torinese ha esposto al fornitore del
servizio una richiesta a dir poco “moderata”, eppure definita “scioccante”: creare due
linee “separate” dello stesso 69; una per i rom, comprendente la
fermata all’ingresso del loro luogo di residenza, l’altra che non comprende la
predetta fermata e che perciò potrà essere utilizzata, con maggior sollievo, da
tutti gli altri abitanti della zona.
Lo “scandalo”
era assicurato anche nel solo pensarla una cosa del genere, tanto più che
proviene da due esponenti della “sinistra”, che in via di principio dovrebbero
essere “tolleranti”, “antirazzisti” eccetera.
La suprema
indignazione, tuttavia, proviene più che altro, per non dire esclusivamente,
dalla cosiddetta “informazione”, ma se s’interpellano i residenti di Borgaro
Torinese, che utilizzano quella linea di autobus e che sono sottoposti al
supplizio di dover condividere il tragitto con individui che non solo non
conoscono alcun rispetto per i beni pubblici ma infastidiscono e spesso
minacciano chi non è dei loro, si ottengono in maggioranza condivisione ed
approvazione verso quella che è, ripetiamo, la proposta d’istituire due linee “separate”
dello stesso autobus 69.
Ma
attenzione all’inghippo: si tratta per l’appunto di una proposta, non di un
provvedimento già preso ed operativo. Quindi, è tutto da vedersi cosa accadrà.
E c’è da scommettere che, dopo questa “fiammata”, con accuse strumentali di
“razzismo” e di “apartheid” per chi, in linea di principio (se non si è di
fronte a tentativi di parare, con un’operazione di cosmesi politica, gli
argomenti inattaccabili degli avversari politici), non farebbe altro che
tutelare l’incolumità e la sicurezza dei cittadini che si trova a governare,
tutto tornerà alla consueta “normalità” (si fa per dire!).
Perciò, si stia
bene attenti, questa come altre volte, a scambiare le intenzioni e le anteprime
con i fatti, ché questo è lo sport nazionale della cosiddetta politica
italiana, il cui tempo verbale preferito è il condizionale, anche quando a
parlare sono presidenti del consiglio e ministri, i quali dovrebbero disporre
degli strumenti atti ad operare senza tanti giri di parole. Tant’è vero che
quando un provvedimento va assolutamente preso (per servire i veri potenti che
li han messi sulla poltrona), lo si fa alla faccia del “dibattito democratico”
: si considerino l’euro, le “riforme” del lavoro, le “missioni di pace”, le
tasse sulla casa eccetera.
Questo è
dunque il primo punto: occhio a non scambiare le chiacchiere e le “polemiche”
coi fatti, perché la democrazia è maestra in questo, avendo sostituito il fare
col dire. Andando per di più in contraddizione coi suoi stessi assunti teorici,
poiché i fatti che non si vedono mai sono per l’appunto quelli che andrebbero a
beneficio dei più.
Ricordo opportunamente
che la democrazia, anche se sono perfettamente edotto del fatto che persino i
suoi teorici sono dei coscienti e convinti elitari, dovrebbe essere un sistema
che assicura il massimo beneficio per la massima parte delle persone.
O il minimo
danno per queste ultime, se più di questo non si riesce proprio a fare.
E allora,
anziché perdere tempo con le linee separate (ma pagherebbero il biglietto, gli
utenti del 69 “discriminato” oppure no?), le bagatelle tra “razzisti” e
“antirazzisti” e l’infinito trascinarsi di una situazione a dir poco indegna ed
intollerabile, gliela fornisco io una proposta per risolvere l’annosa questione
non solo delle linee di autobus frequentate dai cosiddetti “nomadi” (che
pullulano anche le altre, beninteso, a caccia di polli da spennare), ma della
presenza di queste specie di favelas che puntualmente sorgono al limitare di
zone densamente abitate da cittadini che hanno il sacrosanto diritto di vivere
in pace.
Se per
l’appunto la democrazia deve come minimo assicurare che l’inevitabile “male”
colpisca il minor numero di persone, si prenda in considerazione – in mancanza
di altri provvedimenti sempre possibili purché se ne abbia il “coraggio” –
l’idea di destinare degli spazi per i predetti “campi” nelle aree a minor
densità abitativa delle città italiane.
Le quali,
solitamente, sono quelle dei quartieri “residenziali”, della “buona borghesia”
e delle ville con videocitofono e sorveglianza “24 ore su 24”. Dove peraltro
abita quella genia particolare di persone che, con la puzza al naso, è la prima
a tuonare contro la “discriminazione” ed il “fascismo”, senza aver il minimo
sentore di cosa sia la vita della cosiddetta “gente normale”. Quella, insomma,
che tra le altre delizie della cosiddetta “accoglienza” ed “integrazione” deve sorbirsi
un viaggio in autobus che ha tutte le caratteristiche di un assalto alla
diligenza.
Adottando questo
semplice e nient’affatto discriminatorio provvedimento (i “nomadi” vivrebbero
in zone senz’altro più salubri poiché i riccastri, si sa, vivono, non solo
metaforicamente parlando, in alto), i professionisti del dito puntato contro
potrebbero saggiare direttamente quali vantaggi offre il vicinato di questi “ospiti”,
mentre questi ultimi avrebbero a disposizione, anziché degli appartamenti dove
tutt’al più possono rubacchiare qualche apparecchio elettronico e pochi
spiccioli, delle ville piene zeppe di ogni ben di Dio.
Ci pensino
bene i nostri aspiranti sindaci-sceriffo: eleverebbero in un batter d’occhio a
cifre plebiscitarie il loro consenso. Ma chi ha davvero il coraggio di essere
“democratico” fino in fondo?
domenica 26 ottobre 2014
Ritratto del perfetto Renziano
Chiariamo subito: Renzi non è Mussolini. Non ne ha il carisma, non ne ha il fascino. Non è nemmeno Craxi: gli manca l’autorità, la faccia tosta, la fermezza. Renzi è figlio dei suoi tempi, è figlio di Veltroni, di D’Alema, e prima ancora è figlio di Natta e Berlinguer, più che di Moro, del quale non possiede la cultura (per quanto fumosa e difficilmente verificabile) e la tendenza alla mediazione fino allo sfinimento. E’ figlio dei tempi, semplicemente. Come i suoi sponsor, in testa il famoso finanziere Serra, che personalmente ancora non ho capito che mestiere faccia, forse perché io ancora continuo a considerare giocare coi soldi una perversione e non un vero lavoro. La verità è che sappiamo tutti benissimo chi è Renzi e quello che sta facendo, e quelli che fingono di non saperlo se ne accorgeranno presto. Parlo dei suoi elettori e della stampa che lo sostiene, che Renzi tiene da conto come Stalin teneva da conto i russi: gente da mandare, come ondate di carne sacrificabilissima, a seppellire le truppe naziste sotto una valanga di sangue e intestini. Per questo non considero Renzi colpevole di nulla: si limita ad essere l’espressione dei tempi suoi, dell’invidia sociale che porta a voler distruggere i diritti altrui invece di rivendicarli per sé e per gli altri.
Renzi è solo il nostro Golem, che si limita a obbedire agli ordini che una società di schifosi gli mette in bocca.
Quelli che mi fanno davvero spavento sono i Renziani, i suoi fidi (se ne accorgerà, quanto sono fidi, alle prime difficoltà), che in molti, per pigrizia intellettuale, continuano a paragonare prima ai gerarchi, poi ai colonnelli di Fini e ai goderecci giovani craxiani come Signorile e De Michelis. Niente di più sbagliato. Se c’è invece un paragone che regge è quello con i Savianelli, le avanguardie armate di scomunica, i kmehr fucsia, del pensiero dell’incolpevole Saviano. Spesso giovani ma con un carico di paccari da levarsi da faccia tale da far pensare che abbiano vissuto almeno ottant’anni subendo le peggiori umiliazioni da parte dell’universo mondo. La sua caratteristica principale è infatti l’astio, come succedeva coi Savianelli: non mi avete mai invitato alle feste? C’era sempre qualche ragazza più carina di me? Mi prendevate a scamette perché andavo vestito comm a nu scemo? E io adesso ve la faccio pagare, adesso mi riprendo tutto con gli interessi. Come i ciccioni che dimagriscono e si sentono bellissimi anche quando continuano ad essere sovrappeso di quindici chili, sfoderano abiti improbabili, atteggiamenti da modelli che su di loro suonano ridicoli; manca loro lo sprezzo dell’estetica che faceva di quel panzone di De Michelis una figura quantomeno singolare, nel suo rifiuto puramente godereccio di aderire a un canone estetico che, semplicemente, l’avrebbe sempre visto sconfitto. Il Renziano, invece, aderisce incondizionatamente al mito fassista della Giovinezza, ma trasforma l’ardimento in una giacchetta stretta, le parole roboanti in insinuazioni da condominio. In sostanza, sostituisce l’ideale con il misero rancore verso chi, un istante prima, non si era nemmeno reso conto che il Renziano potesse avercela con lui. In questo, egli è il giovane dell’oratorio che, dall’alto della sua testolina forforosa, osserva i coetanei uscire con le ragazze e si fa l’idea che, per uscire anche lui con quelle ragazze lì, la via più breve non sia un bel mix di dentifricio e shampoo antiforfora, ma l’eliminazione dei coetanei cattivi. Al quale, però, il Renziano ambisce assomigliare più di ogni altra cosa. Mentre i craxiani erano unici e irripetibili, anche nella loro dissolutezza da basso impero, mentre i gerarchi erano arditi disprezzatori della cultura e del potere che avevano spodestato, il Renziano ambisce alla sostituzione rancorosa. Lo status quo non gli va bene, perché non è solo il potere che gli interessa. Egli è un debole perché cerca la conferma della sua forza nella sarcastica minimizzazione dell’avversario. Nella falsa forza delle sue affermazioni c’è tutta la sua debolezza intrinseca, la debolezza di chi non è capace neanche a vincere se l’avversario, il nemico non è solo sconfitto, ma umiliato. Lo sprezzo del Renziano verso la piazza non è quello di chi è uscito vincitore dalle elezioni, ma di chi sa di poterle perdere da un momento all’altro. E la disinvoltura con cui accoglie i traditori sul carro del vincitore rivela la voglia di piacere a tutti e a tutti i costi tipica dell’adolescente rifiutato per anni dalle comitive giuste.
Si riempiono la bocca del nuovo, ma vivono in un passato nel quale si sono sempre condiderati vecchi. Vogliono a tutti i costi la vittoria con la pericolosa amarezza di chi si è sempre sentito sconfitto, ingaggiando lotte a distanza con chi non aveva idea di competere con lui. Per questo, il Renziano è pericoloso: perché è portatore di un carico di livore sociale che va molto al di là del semplice desiderio del padronato di far il cazzo che gli pare. E pericoloso perché niente è più pericoloso di un adolescente che si compra le scapre di Michael Jordan convinto che, così facendo, gli assomiglierà.
Ma guardatelo quando smette di guardarsi i piedi fasciati da gomma costosissima e, per caso, incontra uno specchio e si accorge di essere il pirla di sempre però con delle scarpe da ginnastica. Notate il barlume d’odio puro che gli brilla nel fondo degli occhi.
E correte a nascondervi. Subito.
fonte: http://www.amlo.it/?p=4527
lunedì 13 ottobre 2014
Psycho Kinder, canzoni contro la modernità!
UN VUOTO INSOSTENIBILE
https://www.youtube.com/watch?v=ojStTTs_MqU
Odio e amore
Ce li stanno negando
stiamo annegando
Appesi a normative
a reati d'opinione
bugie morali, inganni
cauti servilismi
Tutto è così vano
intorno a me
tutto sa di un vuoto
insostenibile
Famiglie decomposte
che si ritrovano a natale
Frustrazioni quotidiane
da lavoro dipendente
Competizioni disperate
per esser poco più di niente
E non rimane che la nausea
a sfogliare giorni qualunque
di una vita senza direzione
venerdì 10 ottobre 2014
DIEGO FUSARO e ANTONELLO CRESTI: (VIDEO) In difesa dell'articolo 18 ed altro
Antonello Cresti e Diego Fusaro - La filosofia contro l'imbarbarimento linguistico e politico
riprese: Giada Caparrotta
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giovedì 2 ottobre 2014
ANDREA A. IANNIELLO: Le ragioni dell'impasse culturale del nostro tempo
Oggi
è comune notare l’ impasse culturale in cui si versa (e si
“sversa”...), l’ inefficacia profonda di opposizioni di mere parole,
dove si “abbaia alla Luna”, senza poi avere delle “ricette” diverse da quella
dominanti, che poi sarebbe lo scopo vero. Infatti, tu, ad una serie epocale
di fallimenti, non ti puoi opporre con la “protesta”, ma devi fornire
modelli alternativi.
Cosa
che oggi è impossibile: non se ne vedono, al massimo son permutazioni o fasi
meno “avanzate” nella direzione della dis-soluzione.
Allora
– giunti ad un tal punto terribile d’ impasse mondiale (dico mondiale,
quindi non solo gli Usa ma il mondo intero, Usa compresi, ovviamente:
ma, per favore, qualcuno informi qualcun altro che gli Anni Settanta son
passati) – a questo punto giunti, facciamo un po’ “il punto” della
situazione e cerchiamo d’individuare il “meccanismo mentale” del controllo.
Solo di qui si può concretamente partire, con un minimo d’efficacia iniziale.
Oggi
ci sta una cosa, un dissenso, vero o apparente che sia, e si prende posizione
in base a questa cosa qui che appare: è sbagliato. Prima cosa, io ti cambio il
paesaggio dell’opposizione, te lo **contro-interpreto**, e poi – poi
- prendo posizione in base a ciò che **io** reputo il paesaggio della
lotta.
NON
MI FACCIO MANIPOLARE IN BASE AD UN’OPPOSIZONE CHE E’ COSTRUITA ARTATAMENTE. Il
che mi libera nelle scelte, perché sarò disponibile a prender partito – ma tatticamente
e non mai strategicamente – in base a ciò che reputerò
importante, non perché io venga manipolato di qua e di là.
Strategia
è la visione di lungo periodo, che oggi manca[1].
La
tattica è prender posizione in base alle convenienze del momento, una tattica
può contraddire la strategia i un determinato ambito e momento. Ma non può
avvenire l’inverso, per la semplicissima ragione che appartengono a due ambiti
e piani diversi, e gerarchicamente strutturati, dove la strategia è più
importante della tattica. Solo apparentemente in modo paradossale, questo fatto
libera la tattica e la rende duttile.
Viviamo
un momento di grande superficialità. Ma perché mai il risorto
nazionalismo orientale sarebbe un’alternativa all’America, l’America cosiddetta
“potentissima”: ma se da dieci anni non ne hanno imbroccata una! E alla fine
son tornati alla “guerra al terrorismo”. Ma perché? Perché non se n’è mai
usciti fuori, salvo “virtualmente”, quel “virtualismo” così poco virtuoso
che impesta la “nostra” tanto stupida epoca.
Uno
dei pochi, pochissimi, a capire che il meccanismo di controllo era quello
dell’opposizione, la mentalità hegeliana della contraddizione, seguita da una
“sintesi”, falsa però, perché manipolata, fu Anthony C. Sutton[2].
Particolarmente importante è l’Introduzione (dell’edizione del 2002) ad America’s Secret Establishment: An
Introduction to the Order of Skull & Bones (1983, 1986, 2002)[3],
dove parla del meccanismo della falsa opposizione: “falsa” non perché non
sia una vera opposizione e non generi lotte vere, ma perché non
tocca il punto nevralgico, cosicché sia sempre possibile di fornire una
“falsa” sintesi.
Per
tirare le somme: “L’Arte della Guerra è l’inganno” (Sun Tzu). Quindi una
serie di poche frasi da stamparsi sul muro:
1.
Non credere ad un’opposizione che si vede: non è mai lì il punto;
2.
Strillare non risolve, piuttosto analizza con calma;
3.
Ragiona con la tua testa, riscopri la tua libertà di pensare secondo linee
diverse da quelle che ingolfano le maggioranze: le maggioranze sono manipolate
ma credersi “alternativo” non garantisce proprio nulla, se prendi posizione in
base a ciò che appare;
4.
Se devi prender posizione, fallo, ma tatticamente, e sempre
temporaneamente;
5.
La strategia supera le tattiche; la visione globale supera i
fatti singoli, il pesce grande si mangia il pesce piccolo, la Grande Onda[4]
ingloba le piccole ondine: non dimenticarlo mai; se l’avrai dimenticato
lo farai a tuo rischio e pericolo, abbaiare alla Luna servirà solo a scocciare
gli altri, ma non risolverà nulla.
La
guerra sta nel cuore degli uomini, ed è lì – solo lì - che si vice o, com’è
accaduto agli “alternativi”, si perde.
Mezzi sono importanti, ma solo se c’è strategia. Mezzi a iosa ma senza
strategia è l’Occidente acefalo che, come un cefalo, impesta il mondo. “Ancor
prima che insanguini la mia spada, il nemico si è arreso” (parafrasi di
Volkoff di Sun Tzu [Sunzi in una differente traslitterazione degli stessi
suoni]). E questi si son già arresi, nel momento in cui hanno accettato il
paesaggio dell’opposizione che loro veniva offerto. Si sa, Pandora è la
peggiore, le fiabe son piene di regali avvelenati. “Stai attento a ciò che
desideri”, dice il noto adagio, “perché potresti ottenerlo”; chiaramente non
nella forma che ti attendevi...
Bisogna
smetterla di essere superficiali e seguire i 5 punti.
“Nell’arte della guerra, la suprema raffinatezza è
combattere i piani del nemico”
(Volkoff/ Sunzi).
“Coloro che sono esperti nell’arte della guerra
sottomettono l’esercito nemico senza combattere” (idem). “Prendono le città
senza dare loro l’assalto e rovesciano uno Stato senza operazioni prolungate”
(id.). Si applichi questo alle “strategie” americane: guerre lunghissime[5],
spesso perdenti o perse, poi mi si dica della “grande potenza”: si son ridotti
a questo, e devono farlo ormai, non vi è più scelta, ma l’errore sta a
monte. Dell’Europa non parlo: non c’è nulla da dire.
[1] E per favore, non uscitevene con “si voterà su Internet nel 2030”
perché questo non è altro se non il “tecnottimismo” che è una delle principali
cause dell’ impasse attuale. E cioè quella direzione in cui siamo e che
ha dissolto le società, ma non tutte allo stesso modo, oh no! l’Occidente
indecente ben più di altre! Ed ecco la radice – vera – dei problemi di oggi,
altro che continuare sul “tecnottimismo”, che ci porterà alla marginalità più
assoluta e completa perché i nazionalismi orientali si son appropriati dei
mezzi tecnici inaugurati dallo “sviluppo” occidentale nel XIX secolo e nel XX.
Su questa via: “Game over”, come dicono i videogame sempre più vicini al
“reale”, cosicché il “reale” divenga “virtuale” e cioè irreale. Ogni ulteriore
spinta tecnica e sviluppo tecnologico ci portano nella direzione in cui già da
tempo siamo, quella dell’inevitabile
decadenza e dissoluzione sociale europee.
[2] http://en.wikipedia.org/wiki/Antony_C._Sutton.
[3] https://archive.org/details/AmericasSecretEstablishmentOrderOfSkullbones,
disponibile anche in altri formati, fra cui il pdf. Il riferimento è, in questa
edizione in formato pdf, leggibile alle pp. 14-16 dell’ Introduzione del
2002.
[4] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0d/Great_Wave_off_Kanagawa2.jpg/1280px-Great_Wave_off_Kanagawa2.jpg.
[5] “Ma di che rapidità stiamo parlando? Per quanto riguarda i
combattimenti individuali, bisognerebbe pensare in termini di secondi. Per
quanto riguarda le guerre tra nazioni, i termini di giorni. Se un combattimento
dura più di un minuto tra singoli individui, o più di una settimana tra due
nazioni, significa che è condotto in maniera sbagliata” (F. Lovret, L’Arte
della strategia, Edizioni Mediterranee, Roma 2009, p. 85). A questo punto,
ognuno potrà trarne le giuste inevitabili deduzioni a fronte di notizie
ormai anche di cronaca politica mondiale...
crac: Antonello Cresti :: Solchi sperimentali
crac: Antonello Cresti :: Solchi sperimentali: Ordina qui il nuovo libro di Antonello Cresti Solchi sperimentali. Una guida alle musiche altre. Solo per chi ordina da qui fino al 1...
mercoledì 1 ottobre 2014
HELENA NORBERG-HODGE: L'unica crescita auspicabile è quella della felicità
ANTONELLO CRESTI - videointervista esclusiva con la attivista ecologista HELENA NORBERG-HODGE
INGLESE con SOTTOTITOLI ITALIANI
Riprese, foto e montaggio: ANDREA RUFFI
Grazie a: GLORIA GERMANI
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