domenica 30 marzo 2014

ANTONIO REZZA: L'impegno sociale fa schifo!



INTERVISTA A CURA DI: ANTONELLO CRESTI

- Quando ha debuttato il tuo precedente spettacolo “7-14-21-28”, hai detto che saresti stato disponibile a scrivere tu un testo da affidare ai critici di professione, e si sarebbe trattato di una lunga sequenza numerica. Che cosa si dovrebbe scrivere questa volta di “Fratto_X”?
REZZA: Si, ricordo bene di aver detto questa cosa, ma nel frattempo i critici mi hanno talmente offeso non raccogliendo il mio invito da rassegnarmi a concedere libertà di stampa ed espressione, anche se questo mi repelle…

- Osservando il corpus dei vostri spettacoli si nota che gli ambienti o “habitat” che Antonio invade con la sua presenza mostrano una coerenza invidiabile negli anni, fatta risaltare forse, proprio da quegli elementi di unicità e singolarità che volta volta emergono, dando la cifra della singola performance
MASTRELLA: Il processo creativo è senza dubbio sempre differente: se per “Fotofinish” l’intento era di realizzare delle sculture aeree, una sorta di scrittura per oggetti, in “Bahamut” e “7-14-21-28” invece il lavoro è stato sui giocattoli. Per questo “Fratto_X” tutto è nato da uno studio sui fasci di luce, con una preparazione molto lunga, circa due anni. Solo una volta raggiunto un primo risultato “fruibile” si inserisce Antonio con i suoi stralci di realtà, laddove io offro invece degli stralci di visione…

- In ogni vostra performance il riferimento alla realtà è in effetti sempre presente, seppur alienato quanto si vuole. Riuscireste a individuare un tema di questo “Fratto_X”?
REZZA: Il tema è sempre quello della manipolazione, del condizionamento, della perdita di identità.
MASTRELLA: Soprattutto il condizionamento, a nostro avviso responsabile massimo della deriva di ignoranza che sta trascinando nel baratro questo paese.

- Anche se il vostro teatro ha uno scopo, ha per così dire un “messaggio”(anche se il termine è quantomeno improprio…), non potremmo però certamente parlare di impegno sociale riguardo al vostro lavoro…
REZZA: Il nostro schifo infatti semmai è proprio rivolto all’impegno civile attraverso l’Arte. Un controsenso poiché l’impegno pagato non dovrebbe sussistere. A noi non interessa il malessere di per sé, ma semmai sbattere in faccia allo spettatore il nostro malessere!
MASTRELLA: Comunque l’idea che sia possibile fare ciò che noi facciamo potrebbe anche fornire una spinta positiva. Non è vero che non esistono più cose da inventare!
REZZA: Bisogna sempre essere innovativi e dirompenti. L’Arte può vincere ancora!

- In questa ricerca di libertà priva di condizionamenti che ruolo ha la nudità, presente più o meno in ogni vostro spettacolo teatrale? E’ sempre in piedi il vostro progetto di girare un film porno, sia pur sui generis?
REZZA: Il film porno temo oramai sarà impossibile farlo. Per “Fratto_X” ci era venuto in mente di creare una serata speciale in cui tutto il pubblico avrebbe dovuto assistere allo spettacolo nudo, ma anche questo non è stato consentito… Peccato, perché davvero da parte nostra non c’è nessuna malizia e riteniamo tutto questo solo un bel gioco da fare assieme al pubblico!

-In un momento di “Fratto_X” che ho trovato particolarmente geniale, in quel vostro tipico equilibrio spericolato tra massimamente infantile ed altissimo, il fumetto di “Barbapapà” emerge come figura di raffronto col Cristo. Abbiamo forse trovato una nuova figura spirituale cui aggrapparsi in questi tempi di crisi?
REZZA: In questa crisi, che è estetica più che economica, Barbapapà può fare ben poco, come tutto il resto… E’ una idea che è venuta così, guardandosi allo specchio! Però in effetti, l’idea di mettere in contrapposizione questo fumetto che canta “Vieni con noi” con il “Venite a me” del supposto Redentore non è male e noi ci riconosciamo certamente con Barbapapà, perché accogliamo il singolo individuo, siamo selettivi, e non ci interessa solo fare numero…

-E’ l’Italia di Sanremo, delle elezioni, del Caos. Ancora una volta. C’è qualche speranza?
REZZA: Io non sono interessato a queste manifestazioni. Soprattutto riguardo a Sanremo mi sembra singolare che si parli solo della netta minoranza che segue questo programma… E’ una operazione ancora più grottesca delle elezioni; qui infatti conta la minoranza che perde! Io comunque non voto e continuo a non sperare, senza per questo farne un vanto di coerenza!

fonte. ALTRI - 12/03/2013


venerdì 28 marzo 2014

DIEGO FUSARO: Obama e Bush, stessa ignoranza e tracotanza


INTERVISTA A CURA DI: Adriano Scianca
Renzi ha ricevuto Obama: grandi saluti e parole di stima. Che sia nato un nuovo asse Roma-Washington?
Renzi e Obama hanno una visione del mondo molto simile, non mi stupisco che si siano trovati in sintonia. Obama è un Bush 2, è la stessa cosa presentata in forme nuove. È un Bush che piace, ma non è differente dal suo predecessore. Lo stesso dicasi per Renzi, il rottamatore che tutto rottama tranne ciò che davvero andrebbe buttato via. Ovvio che si piacciano, sono la stessa cosa, con questa arroganza di pensarsi come l’unico modo di pensare, di essere, di parlare”.
Di fronte al Colosseo pare che il presidente americano abbia esclamato: “È più grande di un campo da baseball”…
Che Obama si stupisca del Colosseo  è incredibile, è il simbolo di un modo di pensare ignorante e arrogante. Già paragonare monumenti e tradizioni di Italia e Usa è vergognoso. Gli americani continuano a pensare a se stessi come metro di misura dell’umanità. E poi c’è questa dimensione della quantità, del calcolo, della misura per cui, di fronte a un monumento del genere, ci si stupisce della grandezza e di nient’altro. Chissà un attento analista dell’americanismo come Gramsci cosa avrebbe detto…”
Uno degli argomenti sul tavolo, nell’incontro Renzi-Obama, era quello degli F35. Lei che idea si è fatto della vicenda?
“In molti hanno parlato di questi aerei come di strumenti superati e inefficienti. È ovvio: gli americani ci rifilano cose vecchie che dobbiamo prendere senza fiatare. Abbiamo le basi americane sul nostro suolo, non possiamo decidere noi cosa fare. E poi a che ci servono? Per bombardare la Siria, l’Iran etc?”
Dagli Usa alla Francia: Hollande cade a picco, l’avanzata del Front national sembra inarrestabile…
“La questione politica dirimente oggi è quella dell’Euro e dell’Europa. Hollande non è in grado di affrontarla e quindi va in crisi. Il Front national è invece molto chiaro su questo punto. Da qui deriva il suo successo. Non si può essere ambigui come la lista Tsipras, che vuole combattere l’austerity lasciando l’Euro, che è un po’ come togliere il nazismo e lasciare i lager. Il punto, semmai, è che non bisognerebbe, dal mio punto di vista, lasciare a movimenti come il Fn il primato su certi argomenti”.
Marine Le Pen ha chiarito che il nuovo spartiacque non è fra destra e sinistra ma fra alto e basso, fra popolo e élite…
“È un punto interessante ma io preferisco declinarlo in un altro modo. Per me lo spartiacque è fra chi accetta il fanatismo dell’economia e della finanza e chi lo rifiuta”.
Da una elezione di oggi a una di 20 anni fa: il 27 e 28 marzo 1994 Berlusconi vinceva la sua prima consultazione elettorale. Che bilancio possiamo trarne, un ventennio dopo?
“Il governo Berlusconi è stato il seguito del colpo di stato giudiziario che ha tolto di mezzo una prima repubblica corrottissima ma in cui resisteva un barlume di stato sociale. Poi sono venute le privatizzazioni e la rivoluzione liberale di cui Berlusconi è figlio. Detto questo, il Cavaliere è stato anche un grande alibi. La sinistra ha smesso di lottare contro il capitalismo per darsi alla battaglia morale contro il corrotto di turno. Insomma, il capitale è buono, è Berlusconi il cattivo. Beninteso, io non sono berlusconiano, ma ho ancora meno simpatia per gli antiberlusconiani. E poi non ci scordiamo che Berlusconi è stato tolto di mezzo dall’Europa, non dalla sinistra”.
Lei ha appena usato l’espressione “rivoluzione liberale” in chiave negativa. La cosa curiosa è che è stata la stessa parola d’ordine di Berlusconi, mentre la sinistra per anni gli ha rimproverato… di non averla fatta davvero!
“È assurdo: la sinistra rimprovera a un politico di destra di non aver fatto la rivoluzione liberale. E infatti oggi è Renzi la vera rivoluzione liberale”.
Oggi è arrivata una svolta decisiva circa la questione dei marò. Che idea si è fatto di questa vicenda?
“È una vicenda pietosa, da parte dell’Italia c’è stata una mancanza di dignità mai vista prima. Quei due soldati si sono comportati in maniera eroica prestandosi senza fiatare a tutti questi processi”.
Nella nostra ultima intervista ha definito, provocatoriamente, il Papa come l’ultimo dei marxisti. Il suo monito contro la corruzione conferma questo giudizio, ai suoi occhi estremamente positivo?
“Certo, riconfermo il giudizio. Ma ancora di più mi piacciono i suoi giudizi durissimi contro la finanza e le banche. Anche in questo caso, mi sembra che il laicismo lavori per il Re di Prussia…”.

fonte: http://www.intelligonews.it/fusaro-filosofo-obama-e-un-bush-che-piace-tenere-leuro-e-come-lasciare-i-lager-ma-le-pen/

giovedì 27 marzo 2014

FAUSTO BERTINOTTI: "Il conflitto è tra alto e basso. Ha ragione la Le Pen"



INTERVISTA A CURA DI: Angela Azzaro

«Il conflitto si è spostato. Non è più tra destra e sinistra ma tra alto e basso. Su questo ha ragione Marine Le Pen che deve il suo successo alla comprensione di questo cambiamento». Fausto Bertinotti non è affatto sorpreso del risultato francese che va letto ancora prima come la vittoria di Front National, come la sconfitta della sinistra di Hollande. Chi oggi si stupisce di questa disfatta vuol dire che è in malafede o che non ha capito davvero quello che sta accadendo in Francia come in tutta l’Europa: «Lo scontro oggi è tra le élites e il popolo».
Bertinotti, lei è stato uno dei pochi a non credere in un vero cambiamento politico dopo la vittoria di Hollande, che cosa pensa del risultato delle amministrative?
Si aspettavano una sconfitta “dolce”, è stata invece una sconfitta dura e disastrosa. Il presidente dell’Assemblea nazionale, il socialista Claude Bartolone, in un’intervista a Le Monde ha detto: «Un po’ ovunque in Francia la gioventù ci ha abbandonato, i ceti popolari ci hanno voltato le spalle, le classi medie ci hanno evitato, le banlieue e le campagne si sono interrate. Bisogna saper intendere i silenzi». È l’ammissione che la sinistra del partito socialista non rappresenta più nessuno. Se infatti scompare il tradizionale conflitto tra destra e sinistra, non lo si deve a un destino cinico e baro o al fatto che è cambiata la composizione sociale, fatto peraltro vero, ma lo si deve al fatto che questa sinistra non è più in grado di rappresentare nessuno.
Cosa cambia con il conflitto tra alto e basso?
Il tradizionale conflitto tra destra e sinistra è stato battuto. Su questo ha ragione Marine Le Pen, la cui vittoria si deve proprio alla sua capacità di ricollocarsi a partire dal popolo. Per questo non regge più neanche il richiamo per i ballottaggi ai valori repubblicani che in altre occasioni ha compattato destra e sinistra contro il Front National. Marine Le Pen, a differenza del padre che considerava la Repubblica un tradimento, ha portato il partito dentro l’alveo dello Stato, facendo percepire il Front un partito come gli altri. Anche l’elemento del razzismo è mutato, passando dall’elemento etnico al fatto economico. Il problema non è il colore della pelle ma che gli immigrati rubano il lavoro.
Una vittoria pericolosa del populismo?
Intanto bisogna chiarire che il populismo è comunque una risposta alla domanda che viene dal basso della società, cioè da parte degli esclusi, da coloro che sono stati tagliati fuori dalle élites. Anche la sinistra se non riparte dal basso, non può più essere in grado di intercettare la domanda che viene dalle classi più deboli. Di recente uno studio del Fondo monetario internazionale si è posto la domanda: “La globalizzazione ha ridotto i salari ed espulso i lavoratori dal sistema produttivo?”. Qui conta il punto interrogativo. Il fatto stesso che il Fmi si ponga la domanda, significa che la questione è evidente. E racconta quello slittamento verso lo scontro tra chi comanda e chi sta sotto. Non sto dicendo che chi si pone il problema di rappresentare il basso della società, sia per forza populista. Sto dicendo che chiunque voglia, anche con altre risposte, proporre una critica e un’alternativa all’ordine esistente in Europa, non può che partire da qui.
Come giudica il paragone tra Le Pen e Grillo?
Intanto più che di populismo, dovremmo parlare di populismi. I populismi sono diversi e compositi. Anche Grillo come Le Pen parte dalla contrapposizione tra alto e basso. Il successo del Movimento cinque scelte sta in questa collocazione politica precisa, ma è molto diverso dal Front National. Il no a Le Pen di Grillo non dipende solo dalle differenze di programma, ma anche da ragioni culturali e identitarie profonde. Mentre Le Pen pensa di contrapporre alle élites uno Stato nazionale che parta dal basso, il movimento pentastellato si basa sull’idea di una democrazia referendaria del tutto ostile allo Stato e alla politica. C’è una vera e propria avversione verso la società politica.
Da una parte i populismi dall’altra la democrazia?
Questa contrapposizione è fasulla. Chi dice, per opporsi ai populismi, di stare dalla parte delle democrazia, non fa una affermazione vera. Perché i populismi e la contrapposizione alto/baso nascono dallo strangolamento della democrazia. Contrapposto ai populismi c’è una sorta di neobonapartismo, un potere delle élites che hanno smesso la redistribuzione del reddito alle classi più deboli. La sinistra di Hollande si è esattamente suicidata identificandosi completamente col governo.
Renzi come Hollande?


Hollande rappresenta il fallimento, Renzi – che è tanto distante da me – è invece un elemento vivo che tenta di dare una risposta. Il suo è una sorta di “populismo di Stato”: pensa cioè di rimodellare il sistema dall’alto. Ma almeno non ignora il vero conflitto in atto nella società. Renzi mette nelle proprie ali un po’ di aria del proprio tempo. Hollande è la pietra tombale.

mercoledì 26 marzo 2014

FRANCESCO LENZI: La rivoluzione orgasmica dei Cocainomadi



I Cocainomadi sono una di quelle band che hanno capito fino in fondo come dovrebbe essere lo spirito del rock & roll:provocatorio,divertente,sboccato,intelligente e rivoluzionario,senza compromessi;in una parola…Iconoclasta!
Loro si definiscono porno rock,ma sotto la patina ironicamente beffarda della loro musica c’è anche dell’altro:sicuramente molta sostanza,anche se rivestita da un ghigno sarcastico (“Noi siamo musicisti per volere di Odino”-dicono loro) e da satira pungente,volutamente scurrile…..oltre che un bel po’ di sana follia dichiarata,che non guasta mai.
I Cocainomadi-provocatori fin dal nome-si sono formati tanti anni fa a Firenze,più precisamente nel 1998 (la line-up è la seguente: Antonello Cresti alla voce,Michele Staino al basso,Emiliano Bugatti alle tastiere,Enrico Milano alle chitarre e Lorenzo Gambacorta alla batteria) e dopo vari ripensamenti,reunion e altre follie,sono giunti finalmente al loro disco d’esordio (con “15 anni di ritardo” come loro stessi dichiarano;ma alcune loro devastanti esibizioni live circolavano in forma di bootleg ufficiale – in rete e non-già da diverso tempo).
Il disco si apre con una delirante introduzione “(Un’era di passaggio)” in cui il Cresti,con fare da sciamano lisergico,recita una presentazione del gruppo che è anche una sorta di spot alla Timothy Leary sui devastanti effetti dei mezzi di comunicazione (“eroina televisiva,marjiuana radiofonica,etere informatico,psichedelici subliminali”),visti come la nuova droga del secolo:il tutto condito da un sottofondo musicale manco a dirlo psichedelico,tra orgasmi floydiani e blues riempito di LSD  fino al midollo.
“LSDIO” è un funk acido e visionario,carico di groove e non privo di esplorazioni cosmiche nel suo evolversi (“ho riflettuto in nubi di fumo/di nuove ardite dimensioni/ho viaggiato su astronavi/guidato da stati di coscienza”);”Rohypnol” continua su questi sentieri funkeggianti drogati e posseduti,ma con un tasso di orecchiabilità in più,anche se le provocazioni rimangono sempre al loro posto (“fine delle trasmissioni,sistema interrotto,coma divino,adesso io taccio,fanculo!”).
“Mr.Williams” è uno spaccato di vita urbana (“mr.Williams era detto così per via delle pere/se le faceva inesorabilmente tutte le sere”),un ritratto di un tossico all’ombra di un rock-blues (con qualche ricordo british nel ritornello) che non rinuncia mai ad un certo (amaro) sarcasmo ( e cita pure i CCCP nel finale).
“Il vampiro” è una semi-cover:è un rifacimento del classico “demenziale” di Donato Mitola;la versione dei Cocainomadi si trasforma in un pop-blues personale che sfocia sulle note finali nella successiva “Il martello e la sfiga”,all’insegna del punk rock più incompromissorio e catramoso,che mischia deliri finto-politici alla consueta ironia senza peli sulla lingua.
Donato Mitola viene rievocato in un ulteriore rifacimento,”Il cobra maledetto” che viene riesumata e trasformata in una visione alcoolica che sfotte le note vicende di Arcore (con tanto di campionamenti “puttaneschi”e samples delle note Intercettazioni telefoniche “di-voi-sapete-chi”,sì proprio lui,l’innominabile).
“Grazie Hatù” è puro hard rock,un inno “sacrale” alle gioie dell’anticoncezionale (“grazie hatù,con te il mio trapano è tranquillo/grazie hatù,senza di te non canta il grillo”);”Biobrogna” è rock in perfetto stile fine ’60-primi ’70 (con un finale folk!) ,mentre le liriche continuano ad essere irresistibilmente esplicite (“non puoi nascondere al mondo/che c’hai in testa solo lei” è la chiave!).
Ed il sesso è l’argomento anche de “Il mondo a 90°” (sic!),il cui titolo già spiega bene molte cose (musicalmente il brano ha un sapore vintage dall’anima doppia,con il ritornello che evoca Beatles e Beach Boys,poco prima di distorsioni hard);e nel finale ritorna una “reprise” del “Cobra” di Mitola,riletta in chiave stralunata con una citazione incrociata di “We are the world”(!).
“Girate” è un altro pezzo spassoso dalle rime porno-com’è nello stile ormai consolidato della band-così come “Grazie 2000” è un hard rock spaziale col chiodo fisso:stavolta però è il sesso virtuale a essere preso di mira (“voglio una fica elettronica” declama il ritornello,mentre il finale-se non vado errato-reca dei samples da un cult movie porno degli anni ’80!).
“Messaggio” è un elenco di tutte le cose proibite-sessuali e tossiche-sulle note di un delicato folk rock notturno ( e storpia perfino la mitica frase che era incollata su una delle chitarre di Cobain:”vandalismo è beautiful come un rock in cop’s face”);”Biancaneve e i sette nasi” è una fiaba drogata,in cui la novella Biancaneve non è più l’eroina delle favole,ma la cocaina:la musica è perfetta,un trip allucinogeno dalle tinte progressive “destrutturate” (non a caso è uno dei brani più lunghi) che poi sfociano in un noise free form volutamente disturbante e provocatorio nella parte finale.
Il finale è affidato a “Chiedi chi erano i cocainomadi”,una ballata finto-malinconica piena di citazioni fin dal titolo (nel brano,dai Queen a Vasco Rossi e molto altro ancora),una sorta di autobiografia in musica,come sempre all’insegna della goliardìa (“chiedi chi erano i cocainomadi/lei ti risponderà/la manina mettila qua”)….e c’è anche spazio per una ghost track ripresa direttamente dal vivo.
Dunque,i Cocainomadi sono una delle band più genuinamente divertenti e provocatorie che mi sia mai capitato di sentire:più vicini come attitudine allo spirito dissacratorio di certo punk originario ,che al vero e proprio genere “demenziale”,la band si lancia in canzoni a cui è davvero difficile resistere e fa di più…DIfatti,nonostante il clima sia sempre ironico,in realtà viene descritto fedelmente in questo disco  uno spaccato della realtà che ci circonda,oltre a diffondere  con successo una dissacrazione dei tanti luoghi comuni che affollano da sempre l’immaginario rock.   I Cocainomadi portano tutto alle estreme conseguenze,mischiando varie tipologie di rock,oltretutto suonando ed arrangiando il loro materiale dannatamente bene!
E se vi chiedete anche voi chi siano i Cocainomadi,bene,niente paura:potete scaricare l’album gratuitamente qui:http://www.lastatuasommersa.org/Cocainomadi/mrcunnilingus/LSSP%20-%20Cocainomadi%20-%20MrCunnilingus.html 
Prendete e godetene tutti! (come direbbe la stessa band).

martedì 25 marzo 2014

La magia dei King Crimson rivive in Italia

29 Marzo 2014: Supercinema, Chieti
30 Marzo 2014: Auditorium Manzoni, Bologna
31 Marzo 2014: Auditorium Verdi, Milano
01 Aprile 2014: Auditorium Parco della Musica, Roma
02 Aprile 2014: Viper Theater, Firenze
Un evento da non perdere per gli amanti del progressive rock: l’opportunità di riascoltare i King Crimson live diventa realtà conThe Crimson ProjeKCt, supergruppo che vede al suo interno tre membri della storica formazione. A dare vita al progetto, che si vale del supporto e dell’approvazione del “vate” Robert Fripp, sono stati infatti il cantante e chitarrista Adrian Belew e il bassistaTony Levin, che si sono uniti ai King Crimson nel 1981, e Pat Mastelotto, batterista nella quinta incarnazione della band a partire dal 1994.A BelewLevin e Mastelotto si aggiungono perThe Crimson ProjeKCt tre collaboratori e musicisti di prim’ordine: Markus Reuter alla touch guitar, il batterista Tobias Ralph e Julie Slick, giovane allieva della School of Rock di Paul Green, al basso. Rivive così la line-up di double trio che aveva contraddistinto l’ultima fase della carriera dei King Crimson dalla metà degli anni ’90 in avanti.
L’appuntamento con The Crimson ProjeKCt è il 2 Aprile al Viper Theatre di Firenze.
Il concerto sarà articolato in tre set distinti:
-       Prima parte (30 min.)
Stick Men Trio (Tony Levin / Pat Mastelotto / Markus Reuter)
La formazione, nata nel 2009, con all’attivo già 4 album e diversi tour mondiali, esplora tutte le possibilità del Chapman Stick, strumento a dodici corde adoperato sia come basso che come chitarra, e propone brani dal proprio repertorio.
-       Seconda parte (30 min.)
Adrian Belew Power Trio (Adrian Belew / Tobias Ralph / Julie Slick)
Il trio si forma nel 2006 dall’incontro del chitarrista con i fratelli Eric e Julie Slick, entrambi allievi della Paul Green’s School of Rock. Il chitarrista rimane impressionato dal talento dei due al punto da assoldarli per la sezione ritmica del suo nuovo progetto. Il gruppo ha pubblicato diversi lavori, tra i quali l’acclamato “E”, e ha intrapreso numerosi tour negli USA, Europa e Australia. Dal 2010, il batterista Tobias Ralph (Joe Bowie’s Defunkt, Screaming Headless Torsos) sostituisce Eric Slick.
-       Terza parte (90 min.)
The Crimson ProjeKCt  (A. Belew / T. Levin / P. Mastelotto / M. Reuter/ Tobias Ralph / Julie Slick)
I sei musicisti insieme sul palco eseguono brani tratti dal repertorio dei King Crimson dal 1981 alla metà degli anni ’90. Le parti di Robert Fripp vengono eseguite da Markus Reuter, che le ha apprese di prima mano proprio da Fripp durante i Guitar Craft tenuti dallo storico fondatore della band tra il ’91 e il ’98.

DOMENICO DE SIMONE: Caro Paolo Barnard, ti scrivo...


Leggo sul blog di Paolo Barnard queste “considerazioni” a proposito di Warren Mosler e, incidentalmente, dei texani che ne hanno sostenuto in un primo tempo le teorie e dei gruppi MMT e poi MEMMT che lui stesso ha creato. Sulla MMT, o meglio sulle teorie di Mosler ho già scritto le mie considerazioni in questo articolo dell’anno scorso. Sulla scoperta dei texani e dello strumento unico della Rivoluzione ho scritto tre anni fa in quest’altro articolo. Questo primo articolo era parecchio polemico, contrariamente alle mie abitudini, ma credo fosse inevitabile. In un certo senso anticipava quello che è successo. Ora che Paolo Barnard è rimasto da solo, tradito sia dai cow boys texani che dal trader Warren Mosler, abbandonati dagli stessi gruppi MMT che aveva creato in tutta Italia e infine buttato fuori dalla Gabbia di Paragone, per la stessa ragione di fondo, ovvero che il potere e i suoi uomini fanno sempre schifo, dovunque li metti, mi sembra giusto scrivergli. Forse, con la testa sgombra dalle lucciole della MMT sarà in condizioni di ragionare.
Caro Paolo, mi dispiace. Anche se in qualche modo te l’avevo detto, comunque mi dispiace. Non me ne frega niente degli insulti che hai elargito a me (a quanto mi hanno riferito) ed a tutti quelli che in Italia, fuori dal pensiero mainstream, hanno cercato di dare un senso alla critica al sistema finanziario ed economico. Spesso scrivendo sciocchezze o banalità, ma almeno ci hanno provato in buona fede e non meritavano di essere buttati tutti nel cesso come hai fatto. Non c’era bisogno di andare in Texas per scoprire comunismo sovietico, bastava farne oggetto di una riflessione meno viscerale e più razionale.
Cosa ti aspettavi da un gruppo di texani che hanno lo spessore culturale di un foglio di carta velina e la profondità di pensiero di un tappo della coca cola? Cosa vuoi che facciano nelle università dei puffi se non impadronirsi della prima ideuzza che gli capita sotto mano e che gli sembra che possa funzionare, per farla propria e costruirci una carriera sopra? Vecchia storia, ne parlava già Lonergan una quarantina di anni fa, e prima ancora Galbraith, Keynes, Pareto e Croce. Ti ha mai sfiorato il dubbio che a questa gente, della sorte di decine o centinaia di milioni di persone non gliene frega un piffero, mentre tengono molto alla propria fottutissima immagine e carriera sostenuta da un ego grande quanto il Colosseo?
Lo stesso vale per Mosler, probabilmente. Come dici, la sola idea di essere accreditato presso il mondo accademico, gli ha fatto completamente perdere la testa. Al punto da rinnegare completamente tutto quello che hai fatto per le sue teorie e le sue idee e buttarti al cesso, più o meno come quel mondo accademico aveva fatto con lui. Cambiano i fattori ma il prodotto non cambia. Continui ancora a sostenere che la teoria di Mosler è quella che salverà il mondo. Non è così, caro Paolo, non c’è niente di rivoluzionario nella MMT e nemmeno nella MEMMT, e Mosler non è Galileo. La verità è che non esiste una teoria che cambia il mondo dell’economia così com’è, perché il capitalismo fa schifo e distrugge l’umanità ed il mondo, sia come capitalismo privato che come capitalismo di stato, e peggio ancora nella sua moderna forma di capitalismo finanziario. Non esiste la panacea di tutti i mali, ma è possibile cambiare il mondo. C’è da fare un duro lavoro, faticoso, difficile, lungo e impegnativo, ma si può fare e senza andare né in Texas né in Cina. E tanto meno da Paragone.
Le ragioni per cui non ritengo che la MMT dica alcunché di rivoluzionario le ho spiegate in un articolo che ho scritto l’anno scorso. Rileggilo, per favore, anzi leggilo perché sono certo che non l’hai letto. Il link sta sopra. Capisco che tu debba sostenere la validità della MMT per non ammettere a te stesso di aver preso un abbaglio colossale e di aver buttato al cesso quattro anni di vita e di lavoro. È dura ammetterlo, ma è questo il problema. Ma credimi, anche se hai cavalcato un ronzino da soma invece del purosangue che pensavi, non sono stati quattro anni buttati via. Anzi, hai dimostrato a te stesso ed a tutti noi, che si può parlare alle masse di economia facendogli capire qualcosa e sollecitandola a fare qualcosa. Ed hai fatto un lavoro straordinario di ariete in quel mondo di cariatidi pietrificate che è il mondo accademico, non solo in Italia ma dappertutto. Hai persino smosso nel profondo quella palude melliflua e maleodorante che è l’ambiente della politica italiana, ed hai bucato lo schermo delle televisioni con la tua sfacciata e arrogante presunzione di portare la verità sull’economia che è entrata nel cuore di milioni di italiani. Non ti sto insultando, ti sto facendo un complimento. Magari avessi la tua sfacciataggine, la tua forza e la tua capacità di capire e di usare i media.
Quando ti ho insultato è perché dalle tue dure parole verso il pensiero eterodosso in economia nel nostro paese, ho capito che non eri in buona fede. Ma sbagliavo, in realtà tu sei davvero animato dal desiderio di trovare lo strumento per battere questo mostro allucinante che è il pensiero unico liberista e dare una speranza di salvezza a milioni di esseri umani, votati alla schiavitù ed alla disperazione. Mi spiace aver usato quel tono e te ne chiedo scusa, ma la sostanza della critica alla MMT rimane senza alcun ripensamento.  Caro Paolo, non funziona, non è niente di nuovo, anzi è qualcosa di terribilmente vecchio e che ci farebbe tornare indietro di parecchi decenni. Non è il centralismo statale la panacea, né tanto meno il lavoro coatto per lo Stato che, se permetti, è pure peggio del liberismo. Non è vero che lo Stato può stampare tutta la moneta che vuole e così finanziare attività produttiva, ci sono limiti e regole ben precise. Nemmeno è vero che il debito può essere aumentato indefinitamente, perché tanto è un debito che non sarà mai pagato. Questo è vero, e l’abbiamo scritto in tanti, ma il problema non è il debito ma gli interessi. La distribuzione ineguale di ricchezza avviene tramite proprio gli interessi, sono questi che alimentano all’infinito l’economia del debito e la distribuzione ineguale della ricchezza. L’effetto è che pochi diventano sempre più ricchi e la maggioranza diventa sempre più povera, ma questo lo sai. Allora non può esserci un progetto rivoluzionario che non preveda di eliminare gli interessi sul debito e magari il debito stesso come strumento per la creazione di denaro. E che allo stesso tempo, non immagini un mondo in cui le relazioni sociali si generino secondo logiche diverse da quelle mercantili. Ti dice niente quell’espressione di Marx per cui il capitale è un rapporto sociale? Anche la moneta, che del capitale è l’espressione mobile, è un rapporto sociale. Non si tratterà, quindi, di ripensare la società nel suo complesso se vogliamo davvero uscire da questa follia?
Se fosse possibile stampare tutta la moneta che serve, i politici sarebbero felicissimi. Se tutta la spesa pubblica fosse produttiva, non solo la salvezza sarebbe assicurata, ma anche il loro potere. La Kirchner l’avrebbe già fatto, o ne dubiti? E se non lo fa non è perché non voglia, ma perché non è possibile farlo. In Italia in un certo senso, lo si faceva negli anni sessanta e settanta. Grande boom dell’economia, prima e inflazione a due cifre dopo. E poi di corsa a togliere ai politici il potere di stampare denaro, perché altrimenti sarebbe stato un disastro a tre cifre, o a quattro, come la storia ci ha insegnato. Parliamone, ma non è quella la via della salvezza.
Lo so che il tasso negativo non è facilmente digeribile. A molti, qui in Italia, sembra uno scherzo del pensiero o comunque qualcosa di cui on vale la pena nemmeno occuparsi. Tuttavia ti faccio notare che ci sono economisti nel mondo, (Buiter, Mankiw, Fukao, Ilgmann) che se ne sono occupati molto seriamente e che hanno scritto interessanti e profondi saggi in proposito. E si tratta di gente dallo spessore culturale e scientifico molto più elevato di quello dei texani tuoi ex amici. È un peccato che tu non ci rifletta sopra. Oh, il tasso negativo è solo uno strumento, solo una fase di un progetto molto più articolato e abbastanza complesso dal punto di vista teorico. Ma è una teoria che contiene in sé solo alcuni elementi di novità, per il resto si tratta di cose note. D’altra parte siamo formiche che cercano disperatamente di arrampicarsi sulla testa dei giganti che le hanno precedute, perché da lì la vista è un pochino più ampia. Occorre essere molto umili per farlo, e io ci provo. Ma credimi, è l’unica strada praticabile.
Il problema non è tanto lo strumento, che pure è essenziale, ma capire quali sono le forze sociale e spirituali che muovono il mondo e cercare di intuire quale direzione hanno preso. Io non credo che tu possa rinunciare al tuo nobile obiettivo di aiutare i milioni di persone che stanno soffrendo indicibilmente a causa di questa situazione. E le altre decine o centinaia  di milioni che presto le seguiranno, perché, concordo con te, la crisi è finita solo nelle trasmissioni televisive e nel portafoglio di qualcuno, non per la gente. E la tua forza, la tua volontà, la tua capacità, la tua generosità sono importanti messe al servizio di questa causa. Riflettici Paolo, non è troppo tardi e la battaglia non è perduta affatto. Anzi è cominciata proprio ora. Ma a cavallo di un ronzino si va solo a combattere i mulini a vento.
Con affetto, Domenico

fonte: http://domenicods.wordpress.com/2014/03/16/lettera-aperta-a-paolo-barnard/

lunedì 24 marzo 2014

INES ARSI': Così in guerra come in pace...


La condizione dell'individuo passa da secoli per la cruna cruenta  delle ragioni e dei torti, nel rituale dell'attrito interpersonale.
Magnificat dell'umanità è sedare le sorti avverse di millenni di controversie, animate dalla civiltà e per questo raccolte nell'albo della giustificazione ambientale,  nell'attesa di un sintomatico lieto fine per la comunità.
Ma non si smentisce così una convivenza tramata male, in un contrappunto di questioni irrisolte e taciute che nessuno osa toccare.
La storia è una sindone, il cui disegno incognito adorniamo di bisogni eccessivi, idoli issati con sacrificio nel disperato frangente presente.
Ma se già nei primi mesi di vita abbiamo desiderato la nostra sopravvivenza alimentare a scapito di tutto l'esistente, dovremmo ritenerci più vicini alle motivazioni della nostra perenne intransigenza.
Non ci sono stati allora principi politici, disquisizioni filosofiche o morali a dettare alla nostra religione cosa dire o cosa fare e anche le mosse più profondamente affettive prendevano iniziativa dalla venerazione  della soddisfazione.
I titoli cardinalizi della specie si possono ridurre  a vani tentativi di eternare questo piacere animale, che sarebbe pure naturale, se non fosse che l'abbiamo a tutti costi voluto sublimare.
Gli interessi del capitale sociale si sfogliano in poche righe scritte male e i grandi interrogativi sulla forbice tra finanza ed economia reale si spiegano bene anche  in un manuale di scuola elementare.
Mobilitiamo grandi navi che partono dai nostri giacigli onirici e attraversano le lunghezze di tutti i mari per toccare altre terre, conoscerle, attraccare le  mani.
La spinta volenterosa della necessità anima la nostra distanza dalle stelle, nella perseverante  rimozione della nostra solitaria autocombustione.
La guerra come la pace sono governate dallo stesso interesse.

venerdì 21 marzo 2014

ENRICO GALOPPINI: Ma dove sono tutti questi "ex tifosi di Stalin"?



Detto, fatto. Avevo appena pubblicato un articolo per precisare che le testate di “centro-destra” non hanno alcun titolo per ergersi a paladine né della Destra né del Fascismo, che prontamente mi si offre lo spunto per un’altra necessaria precisazione su questo particolare settore della stampa quotidiana.
Il 19 marzo, “Il Giornale” ha pubblicato un articolo di Vittorio Feltri dal titolo “Gli ex tifosi di Stalin in trincea contro Putin”. In sintesi, esso sostiene che sul referendum in Crimea, che ha sancito plebiscitariamente la volontà della sua popolazione di aderire alla Federazione Russa, la Russia ha ragione al cento per cento. E fin qui siamo d’accordo. E siamo pure d’accordo nel riconoscere al “centro-destra” (Berlusconi compreso) una visione di politica internazionale meno appiattita sui desiderata atlantico-sionisti rispetto a quella del “centro-sinistra”. Non è cosa da poco, da non sottovalutare, quando si viene presi dagli orgasmi per il “nuovo che avanza”…
Ma la ragion d’essere di quell’articolo è tutt’altra: polemizzare con “la sinistra”, cioè la necessaria controparte del vigente regime liberaldemocratico infeudato all’Occidente ed ai suoi “valori”. Già dal titolo, esso conferma che avevo visto bene: la molla che attiva quelli di “centro-destra” è l'essere appunto contro quelli di “centro-sinistra”. Quelli della Roma sono per forza contro quelli della Lazio. O no?
È questa faziosità di cui si nutrono, come l'orso fa col miele, che li galvanizza, e null'altro. 
Figuriamoci se “Il Giornale”, e Feltri nello specifico, è contro l'America e, soprattutto, l'americanismo...
Tanto per dirne una, è lo stesso Feltri che, alcuni anni fa, ha fatto uscire a puntate su “Libero” – lo stesso giornale per cui lavorava un certo “agente Betulla”… - nientemeno che il Corano da lui “letto”! Per informare i suoi lettori del “pericolo” insito nella religione islamica, beninteso. Cosa ci stanno a fare, allora, fior fior d’islamologi che, dopo anni di studi e meditazioni si sono avvicinati al sacro testo tentando di fornirne una traduzione, una resa la meno inesatta ed inappropriata possibile dei suoi “significati”? Già questo modo di approcciare ciò che avrebbe bisogno, oltre che di un’ottima conoscenza dell’Arabo, di una sapienza d’ordine metafisico, è altamente indicativa della mentalità moderna e dei suoi epigoni.
Perciò, come ho già rilevato, siamo a che fare con ambienti entusiasti della “modernità” e del suo preteso impianto “filosofico”. Ed in questo “destra” e “sinistra”, comprese le varianti convergenti al “centro”, pari sono.
Ma torniamo alla questione degli “ex tifosi di Stalin” che sono contro la Russia in generale e Putin in particolare. Su questo – come premesso – non c’è dubbio alcuno. Ed il giudizio non può che essere estremamente negativo: la sinistra di governo e quella “culturale” (sic!) sono ferocemente antirusse, senza nemmeno rendersi conto che la questione della Crimea ha molte analogie con quella del Kossovo, che ha trovato in festante delirio tutto il ‘sinistro’ parterre dei sostenitori dei “bombardamenti umanitari”.
Ma tacciare questa sinistra completamente americanizzata e sionistizzata di “comunismo” o – come insinua Feltri – di conservare il santino di Stalin, sia pure da “ex”, è qualcosa di irreale e grottescamente anacronistico, perché, anagraficamente parlando, si dovrebbe andare a cercare gente che s'interessava di politica almeno nel 1953 (anno della morte del capo dell'Urss)! 
Quelli del PD sono invece personaggi dalla mentalità completamente diversa, ed antropologicamente parlando somigliano molto più ad una “classe media globale” infatuata del “mercato” e dei “diritti umani” che ai vecchi militanti del PCI e delle Feste dell'Unità. Sono insomma come Renzi e Fabio Fazio, della generazione dei “democratici 2.0”, le cui fisime – è opportuno rilevarlo - sono abbondantemente rappresentate anche dal tipo umano di “centro-destra”…
Potevo capire una stilettata come quella di Feltri ai tempi del PDS, o ancora dei DS... nei cui quadri erano ancora ben rappresentati gli ex PCI “fedeli a Mosca” (giusto per i soldi che arrivavano?), i quali ad ogni modo – una volta finita l’Urss - si stavano profondendo in patetiche e disgustose “abiure” sperticandosi oltre il limite del buon gusto per dimostrare di non essere mai stati “comunisti”.
In poche parole,  già dopo la “svolta” della Bolognina non aveva alcun senso tacciare i “compagni” di “stalinismo”, visto che proprio loro avevano relegato Baffone nel medesimo ‘cattiverio’ in cui per loro già trovavasi “Baffino” (Hitler). Per l’ennesima volta, dunque, i “berlinguerinnegati” dimostravano di non capire nulla né di geopolitica né – proprio loro che avrebbero dovuto intendersene - di Comunismo, per essi evidentemente già concepito come una “utopia” arcobalenista o una “rivoluzione permanente” nella quale per la “ragion di Stato” e la concreta pratica di governo di una Federazione dalle dimensioni continentali non c’è alcun posto.
A maggior ragione, perciò, l’accusa di “stalinismo” fatta oggi sa decisamente di stantio e non può che appassionare sparuti gruppi di lettori che ancora aspettano - come gli ultimi soldati giapponesi rintanatisi nella giungla - i famosi cosacchi del Don che verranno ad abbeverare i loro cavalli in Piazza S. Pietro...
Poi c'è da fare un altro distinguo che non interessa affatto a Feltri, il quale deve solo far montare la carogna destrista contro “la sinistra”. Stabilito che “ex tifosi di Stalin” non sono certo i “piddini”, va altresì stabilito che non lo sono assolutamente – anche se guardiamo alle loro origini “contestatarie” - quelli della sinistra “a sinistra del PD”, tipo SEL per intenderci (col PRC che è praticamente svanito, andando a fare compagnia al PdCI – che sulla Russia però non ha mai perso del tutto la bussola - e ad altre formazioni minori come il PCL ed altre). 
Diciamolo chiaramente, a beneficio di tutti gli “anticomunisti” fuori tempo massimo. Il mondo della “estrema sinistra” o “sinistra extraparlamentare” – dal “manifesto” a “Lotta Continua” - ha sempre odiato Stalin, perché a suo modo di vedere (ammessa la buona fede) il “georgiano di ferro” avrebbe tradito l'ideale comunista che - come constatiamo oggi se seguiamo la cosiddetta “sinistra radicale” - avrebbe dovuto condurre alla… “finocchieria universale”!
Questi ambienti numericamente marginali ma decisamente influenti a livello “culturale”, ne hanno combinate di tutti i colori pur di non allinearsi a Mosca, finanche ad atteggiarsi a “filo-cinesi”, tant’è vero che nei collettivi studenteschi era praticamente una moda adorare “il compagno Mao” in odio al “burocratismo” e al “grigiore” sovietico”.
Tutto ciò premesso, Feltri pare non rendersi conto che oltretutto esistono ancora ambienti comunisti che a tutti gli effetti - anche perché hanno fatto propri gli strumenti dell'analisi geopolitica – non hanno mai deflesso da una posizione filo-sovietica (anche in sede di prospettiva storica), per cui risulta inappropriato per costoro l’epiteto di “ex”. E costoro sono tutti indeflettibilmente pro-Russia.
Ma questi non li si può nominare sia perché incrinerebbero un ragionamento che deve restare “lineare”, sia perché si tratta di ambienti non solo filo-russi (ed anche filo-cinesi), ma anche nettamente antiamericani ed antisionisti. Cosa, quest'ultima, inaccettabile per tutto il “destrismo”, per il quale - come ho già scritto – “Israele” è la trincea contro la “barbarie orientale”.
Infine, lodare Putin – lo stesso Putin che ha affermato esser stata la fine dell’Urss una “catastrofe” - per aver introdotto il “turbocapitalismo”, è un’altra di quelle posizioni sintomatiche della mentalità dell’attuale “destra”: in Russia non esiste nessun “turbo capitalismo” per il semplice motivo che i settori strategici e ad alta tecnologia – difesi dall’assalto degli “oligarchi” - sono saldamente in mano allo Stato, lo stesso Stato che invece, anche grazie ai cantori della “competitività”, della “deregolamentazione” e delle “privatizzazioni” tra cui si può annoverare l’intera stampa di “centro-destra”, in Italia è stato completamente escluso da tutti quei comparti (banca compresa) che garantiscono, se in salde mani statali, la sovranità di una Nazione.

giovedì 20 marzo 2014

EUGENIO FINARDI: Faccio canzoni contro il Satana liberista


INTERVISTA A CURA DI: ANTONELLO CRESTI


Antonello Cresti – Sono passati circa 16 anni dal tuo ultimo album di inediti. Certamente in tutto questo periodo sei rimasto pienamente attivo, ma resta il fatto che per il mondo di oggi, e in particolare per l'industria discografica, 16 anni sono una eternità. Come ti ritrovi adesso in questo mondo? Cosa hai lasciato per strada?

Eugenio Finardi – Ho perso una generazione, i ventenni in sostanza non sanno chi io sia... Però è assolutamente vero che in questi anni non sono mai stato inoperoso ed ho fatto una serie di cose che mi hanno permesso di avvicinare pubblici differenti, come quello del blues o della classica contemporanea.
Prendermi questa pausa però era necessario perchè nel 1999 sentivo davvero che il mio percorso da cantautore era esaurito e che attorno a me un mondo si stava sgretolando, come in effetti è avvenuto...
Avevo insomma bisogno di ritornare musicista, di sperimentare; qui essenziale è stato Francesco Di Giacomo del Banco che mi coinvolse nel suo progetto di rilettura del Fado portoghese... evo dire che questa è stata davvero una bella scoperta che mi ha “rinfrescato” e liberato. E' da qui che provengono anche progetti come “Il silenzio e lo spirito”, un lavoro dedicato alla canzone spirituale e poi “Anima Blues”, per celebrare i primi 40 anni del mio innamoramento nei confronti della musica blues. Infine c'è stato il progetto legato alla musica di Vladimir Vysockij ed altre iniziative nel campo della musica classica contemporanea.
Il cerchio però adesso si è chiuso e avevo voglia di tornare a fare Finardi, quello classico della “Musica Ribelle”... Il momento, pensavo, era giusto perchè il momento lo richiedeva.

AC – Anche se il mondo discografico sembra andare in tutt'altra direzione è un dato di fatto che stiamo assistendo a una lunga serie di ritorni discografici, a dimostrazione che un interesse verso le avventure dei decenni passati continua a vivere anche sotto la coltre dei Talent Show e delle suonerie. Penso a te, a David Crosby, a Linda Perhacs, solo per citare i casi più recenti... A mio avviso tutti questi artisti nel mondo di oggi portano una “diversità di densità”, in termini di pensiero e di creatività. E il tuo apporto specifico alla contemporaneità quale potrebbe essere?

EF – Penso di aver contribuito a riportare il concetto dell'album, non in senso dispersivo. Dieci canzoni compatte e legate l'una all'altra alla maniera del vecchio “concept album”. Ho puntato su questo senso di unità. Mi è piaciuta poi l'idea di unire la mia storia a quella di giovani musicisti che erano cresciuti con la musica della mia epoca, dando così un bel senso di continuità.

AC – Un'altra cosa che sembra perduta al giorno d'oggi è l'impegno. Visti i tempi che viviamo, complessi, contraddittori, liquidi ne avremmo un enorme bisogno, eppure poco o nulla sembra muoversi in tal senso. “Fibrillante” è indubbiamente un album impegnato, legato a tematiche sociali molto chiare. Pensi che sia ancora possibile influenzare la società con un'opera creativa?

EF – La “musica ribelle” esiste ancora, nel rap ad esempio. Ciò che manca è la volontà di analisi che animava i cantautori o certe bands. Personalmente non offro più soluzioni come facevo negli anni settanta, anche perchè ora nessuno è veramente in grado di farlo, ma almeno tento di dare delle spiegazioni (“Moderato”, “Me ne vado”)

AC – In una tua canzone degli anni '90, “Sveglia Ragazzi”, incitavi i giovani all'azione. Personalmente ho sempre avvertito questo senso, anche fisico, di scossa nelle tue canzoni, Come fare allora per scuotere questi giovani un pòspenti dei nostri giorni?

EF – E' difficile essere ottimisti, anche perchè questo pensiero unico liberista, in maniera subdola e satanica è riuscito a convincere il mondo della sua non esistenza, mentre al contrario esso permea ogni cosa. Credo che la risposta ad un simile quadro di cose non potrà essere nazionale, ma mondiale. Ci arriveremo prima o poi ad un conflitto globale dei popoli contro Finanza, Poteri Forti, Lobbies, ma servirà soprattutto una guida planetaria, un personaggio simile a un Mandela o a un Gandhi. Riponevo speranze in Obama, ma poi mi sono reso conto della sua impotenza di fronte alle lobbies... E' una consapevolezza tragica di fronte a questa complessità.

AC – Il mondo musicale italiano è stato funestato da una serie di perdite. Tra coloro che ci hanno lasciati anche due personaggi ai quali la tua carriera professionale è stata legata in più momenti, Francesco Di Giacomo e Claudio Rocchi. Vogliamo ricordarli?

EF – La morte di Di Giacomo mi ha colpito molto perchè ci avevo parlato esattamente il giorno prima e mi aveva parlato di un nuovo progetto. L'avevo sentito pieno di vita. Sapere che poco dopo non era più con noi è stato davvero scioccante.

Rocchi era la figura centrale per gli hippies italiani. Non ha avuto il grande successo, ma lo considero ugualmente una figura seminale e rilevante per una serie di aspetti non solamente musicali. Uno stimolatore culturale, oltre che un musicista. Peraltro anche nel suo caso parliamo di una persona ancora molto attiva e recentemente ci eravamo incrociati di nuovo dal vivo per le “Cramps Night”...

mercoledì 19 marzo 2014

FOODSCAPE DIARIES: Bacteria sing



a cura di: THE PEER GALLERY  www.facebook.com/thepeergallerypage


"Tu non ci crederai - ma vedo - le mille bolle blu - e vanno leggere, vanno - si rincorrono, salgono - scendono per il ciel."

A me piace bere, sia da solo che in compagnia, soprattutto a tavola. Da tempo cerco alternative alle effervescenze del potente marketing di regioni altamente post-industrializzate come Champagne e Veneto. E le cerco naturali, senza solfiti aggiunti, possibilmente magiche. Oggi è arrivato il vino che aspettavo, un Crémant d'Alsace biodinamico. L'ho pagato 10,90€ da un distributore francese online con una cantina viva. 
Del vino che sto per bere ho letto che le viti di riesling e pinot grigio affondano le radici nell'argilla e nel calcare del Mittelbergheim, e che il duro lavoro dei vignaioli si svolge in famiglia, sinergicamente con la terra in cui vivono. "Enherbement et travail du sol sont les pièces maîtresses de notre mode cultural. Ils permettent à la flore et à la faune indigènes de créer un milieu équilibré et de favoriser l’expression du terroir."
Se come me non si conosce da vicino il vastissimo winescape, disciplinare la ricerca attenendosi alla scelta di vini organic/bio risulta molto comodo per crearsi un panorama personale. E allora prendo una coppa, perché i flute non vanno bene per le bollicine, sbuccio la capsula scura, svito il fil di ferro e afferro il tappo e lo tiro un pò troppo forte: mi esplode in faccia. La pressione interna di alcune bottiglie naturali è una variabile impazzita, ogni volta è diverso e come scopro ora per la prima volta ci può anche essere una deflagrazione. Il proiettile di sughero mi sfiora l'occhio destro, con un botto sordo, effervescente, colpendomi all tempia. Inizio subito a sanguinare, per qualche ragione il tappo mi ha anche graffiato. Crémant gelato e sangue caldo. Non pensavo che potesse scorrere sangue ancor prima dell'ebbrezza. Il vino che sto bevendo è la prova che ogni cosa nel foodscape è viva. L'arcata sopraccigliare destra è gonfia e la sento pulsare. Al palato il gusto acido della scia di adrenalina altera le qualità organolettiche del vino. Eppure sono vivo, e vivi sono i batteri che sto bevendo. Ondate di microrganismi si mescolano a quelli che vivono dentro di me, revitalizzandomi. Sento che mi fa bene. Eppure dal vino vivo si è passati a quello morto. Durante gli ultimi cento anni la vinificazione domestica e tradizionale è stata inquinata dal'utilizzo sempre più incoraggiato e disinvolto di ogni tipo di additivi - aggiungere per sottrarre, modificare al fine di ottenere risultati certi, più che soddisfacenti, replicabili. 

La fronte non mi duole più, la bottiglia è quasi vuota e invece di farmi venire un gran mal di testa me lo ha fatto passare. Perché abbattersi se si era naturalmente propensi all'allegria? 
Penso anche che nonostante la mercificazione del vino e la sterilizzazione di intere regioni è però resistente al progresso una certa militanza organica che sopravvive grazie all'isolamento (esistono ancora vini naturali prodotti da viti pre-filossera e non commercializzati) - ci sono ancora campagne vive. 
Rudolph Steiner ha posto in tempi non sospetti il tema della tutela agreste. "The interests of Agriculture are bound up, in all directions, with the widest spheres of life. Indeed there is scarcely a realm of human life which lies outside our subject. From one aspect or another, all interests of human life belong to Agriculture. Here, needless to say, we can only touch upon the central domain of Agriculture itself, albeit this of its own accord will lead us along many different side tracks — necessarily so, for the very reason that what is here said will grow out of the soil of Anthroposophia itself."
Il vino biodinamico è prodotto applicando i criteri dell'agricolutra Steineriana alla viticoltura, rinunciando a manipolazioni chimiche o fisiche in primis. Gli insetti ed i lieviti sono quelli presenti nell'ecosistema in cui si trovano la vigna e la cantina. Da tempo si stà facendo largo una nuova terra libera da additivi. Ettari di suolo vengono riconvertiti alla loro sostanza originaria sospendendo ogni intervento chimico, rivoltando il terreno in profondità, lasciando scorrere il tempo. Per ottenere il timbro di organizzazioni certificanti come Ecocert è necessario aspettare almeno tre anni da quando si smette di usare sostanze chimiche - è una purificazione che avviene per gradi ed è più o meno intensa se si decide di ottenere un terreno organic/bio o bio-dinamico. Ovviamente il movente per questa costosissima riconversione è di origine venale e segue la domanda crescente per un'alimentazione sana da parte della borghesia occidentale, si fà moda, ma il fine è troppo importante per soffermarsi sull'etica di certi passaggi. La ricerca della verità del vino - fare ciò che è meglio per il vino per fare bene a noi stessi - è prioritario. Menti sane in ambienti sani. "Every man and every woman is a star." I cicli lunari e la terra, le diverse velocità del tempo e la loro alternanza: i cicli della terra sono l'intelaiatura del nuovo calendario adottato da quei vignaioli che, attraverso la biodinamica, diventano sincretici alla terra stessa. Il lavoro diventa promozione attiva del suolo e degli organismi che vivono dentro/intorno ad esso. La concimazione, fase del lavoro agricolo teso a implementare la fertilità del terreno per aumentare la resa del prodotto, non è più ingrassamento forzato ma ri-vitalizzazione.
Partendo dalla terra (madre) la biodinamica può essere un punto di osservazione privilegiato per ogni aspetto della vita. L'ostetrico francese Michel Odent fu tra i primi a eliminare l'utilizzo di farmaci e ad assecondare lo sviluppo fisiologico del parto. Odent collegava l'agricoltura industriale all'industrializzazione delle nascite: due aspetti dello stesso fenomeno in quanto entrambe sono "typical ways to deviate from the laws of nature".

La vinificazione naturale non dovrebbe essere intesa come un'accezione del marketing perché sussiste il rischio che l'utilizzo commerciale del potere significante della Natura possa rendere inorganica l'idea stessa di naturalità. Inoltre il vino classificato come Bio-Dinamico, sia sul mercato che nelle cronache giornalistiche, non costituisce la totalità della produzione biodinamica. Molti vignaioli agiscono al di fuori di questa etichettatura. Bio-Dinamico è un marchio certificato della Demeter Association, che però non è la sola associazione attiva.
La certificazione biodinamica richiede l'aderenza ad una lista di veti più stretta di quella organic/bio: il controllo delle malattie "based on strategies that emphasize prevention located within the life of the farm itself", la selezione manuale delle piante nuove e la loro derivazione da piante autoctone, il culto della biodiversità nativa e le altre possibili applicazioni delle suggestioni Steineriane conducono alla massima espressione del potenziale della porzione di pianeta con cui si interagisce. Si favorisce la manifestazione del suo carattere di organismo vivente autonomo attraverso il linguaggio della viti-vinificazione. 
Un vino biodinamico restituisce l'espressione non mediata del terroir attraverso il suo sapore. Un gusto che non contiene riferimenti gustativi codificati ma che è conduttore della proliferazione cellulare di tessuti vegetali lasciati liberi, della persistenza delle caratteristiche genetiche. Vini in cui abitano batteri di terre lontane - batteri di buon umore.

I vignaioli liberi si stanno organizzando e questo è bene. "L'égalité doit s'établir dans le monde par l'organisation spontanée du travail et de la propriété collective des associations productrices librement organisées et fédéralisées dans les communes, et par la fédération tout aussi spontanée des communes, mais non par l'action suprême et tutélaire de l'État." 
E' un vecchio mondo tutto da scoprire. Conoscere i vignaioli, cercarli e frequentarli, visitare le terre del vino naturale. utilizzare il proprio, seppur limitato, potere d'acquisto per favorire scambi al netto di intermediari. Ascoltare il vino, il canto dei batteri e come questo intona i nostri pensieri. 
Vino sincero. Il bevitore naturale è santo e ha una missione: vegliare sulla passione del vignaiolo: che sia vera come il suo vino - che "proprio la passione per la verità, la coscienza, nella sua ricerca del vero, è giunta a mettere in crisi se stessa: ha scoperto di essere solo una passione come le altre."

Il pensiero debole, ed ogni altra forma di ragionamento, sono ormai bollicine. 
Alla salute.



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Gian Carlo Testoni • Pierre e Jean Pierre Rietsch • Rudolph Steiner • Aleister Crowley • Michel Odent • "Guidelines and Standards for the Farmer for Demeter Biodynamic" • Michail Bakunin • Gianni Vattimo