giovedì 13 marzo 2014

STEFANO SANTACHIARA: Disinformazione: light, ordinary, shock (parte seconda)



Ringraziando i commenti al precedente post e i blog che l’hanno ripreso, ne approfitto per rispondere a Democraziaradicalpopolare di Gioele Magaldi, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico, nel cui sito compare la recensione al mini-saggio.
Il confronto dialettico è il sale della democrazia, ormai assente nell’Italia dei tre livelli di “light, ordinary e shock disinformation”. Dunque rispetto i giudizi e le critiche anche più dure a cui rispondo nel modo seguente.
TESTO CONTESTATO: “Il filosofo Salvatore Veca coniò il termine migliorista per descrivere la corrente comunista che non cercava di abbattere il capitalismo con la violenza ma di migliorarlo, quella di Giorgio Amendola, Gerardo Chiaromonte, Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano, un’area che negli anni ’80, al contrario, ha esemplificato la degenerazione morale della sinistra: collaterale al corrotto Psi di Craxi, finanziata tramite il settimanale Il Moderno dalle società del piduista Berlusconi. Lo scopo che si prefiggevano ontologicamente i miglioristi si era invece realizzato nel periodo di massimo sviluppo economico del Paese, negli anni ’70, in virtù del compromesso storico di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer…”
DEMOCRAZIARADICALPOPOLARE: Dobbiamo osservare che, al di là degli opportunismi di Napolitano ed altri (transitati concretamente da posizioni di bovino asservimento all’URSS che invadeva l’Ungheria nel 1956 a prospettive di dialogo ambiguamente socialdemocratico negli anni ‘70 – senza che potesse legittimamente definirsi tale, visto che i miglioristi permanevano nel PCI, un partito comunista – con l’establishment occidentale, per terminare in anni recenti con un nuovo acritico appecoronamento al pensiero unico neoliberista che egemonizza attualmente le istituzioni euro-tecnocratiche), il cosiddetto migliorismo aveva effettivamente il merito programmatico di volersi emancipare dall’orizzonte costitutivamente anti-capitalistico e rivoluzionario in senso marxiano del Comunismo italiano, europeo ed internazionale.
Inoltre, liquidare la storia del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi e dei suoi rapporti con gli ambienti miglioristi della “destra” PCI come coincidente con la “degenerazione morale della sinistra”, appare alquanto ingeneroso e superficiale.Gli anni ’80 saranno stati anche anni di esagerate tangenti e corruzioni (le stesse che avevano caratterizzato la storia italiana dal 1861 al Ventennio fascista- regime corrotto come pochi altri, checché ne pensino gli stralunati nostalgici del Duce e della mitologia in camicia nera- e poi dal Secondo Dopoguerra agli anni ’70; le stesse che sono connaturate ad ogni società industriale complessa, e che costituiscono anzitutto un problema di legalità e ordine pubblico, da arginare e prevenire mediante lungimiranti disposizioni legislative e prassi amministrative di controlli incrociati, non certo mediante “giaculatorie moralistiche”), ma furono anche un momento di straordinaria prosperità economica, di ampliamento pluralistico e modernizzazione del sistema mediatico sia entro la TV di Stato che oltre il monopolio RAI (pur con l’anomalia gradualmente realizzatasi dell’oligopolio privato berlusconiano), di consolidamento di un sistema repubblicano più maturo, forte e consapevole (dopo gli anni di piombo, con annessi e connessi) nel segno della democrazia dei partiti e delle correnti (essenziali al grado di pluralismo interno ai partiti stessi, anche se oggi va di moda demonizzarle), di progressiva emancipazione del PCI (dopo la morte di Berlinguer nel 1984 e l’avvento al potere di Gorbaciov in URSS nel 1985) dalle sue fisime di presunta “superiorità morale” e dalle sue ipocrite crociate contro la “democrazia liberale capitalista e imperialista”, magari nel segno del berlingueriano “eurocomunismo” austero e anti-consumista… (ricordiamo che Enrico Berlinguerpronunciò nel gennaio 1977 due importanti discorsi in “elogio dell’austerità”, raccolti e pubblicati nel 2010 da una casa editrice che si chiama significativamente Edizioni dell’Asino…: cfr. Enrico Berlinguer, La via dell’austerità. Per un nuovo modello di sviluppo, Edizioni dell’Asino, Roma 2010.) Quanto al “compromesso storico” di Berlinguer e Moro (vero precursore del consociativismo attuale benedetto dal Quirinale di Giorgio Napolitano), esso fu un poderoso e subdolo strumento per continuare a bloccare e a stabilizzare il sistema repubblicano italiano nel segno di una mancata dialettica tra forze alternative compiutamente democratiche. Il “compromesso storico” consentì il malinteso dell’”eurocomunismo” (formula ambigua e insensata che tanto piaceva a Enrico Berlinguer, ma che era priva di seria consistenza ideologica e politica entro un orizzonte democratico, liberale e libertario, incompatibile con qualunque prospettica comunista, europea o internazionale), ritardò l’evoluzione del PCI verso forme limpide e mature di socialdemocrazia, cristallizzò l’egemonia sulle istituzioni italiane della DC, impedì la prospettiva di una alternativa progressista che potesse portare al governo insieme PSI (+ altri partiti di centro-sinistra come PSDI, PRI, PR, etc.) e un PCI tramutato in qualcosa di diverso e migliore da sé.
MIA RISPOSTA ORA: Premessa. In un articolo siffatto, equivalente a 8 pagine Word scritte lunedì 3 marzo, ho necessariamente sintetizzato alcuni passaggi concentrandomi sugli aspetti che ritengo cruciali. Entrando nel merito, spiego subito che il migliorismo “non cercava di abbattere il capitalismo con la violenza ma di migliorarlo”, dunque era uno sbocco evolutivo fisiologico, condivisibile sic et simpliciter, aggiungendo che “lo scopo che si prefiggevano ontologicamente i miglioristi si era invece realizzato nel periodo di massimo sviluppo economico del Paese, negli anni ’70, in virtù del compromesso storico di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer…”. La frase però continuava con “…ma prima ancora per effetto della leale collaborazione tra il predecessore Luigi Longo e il presidente dell’Eni Enrico Mattei, vero pioniere della pubblica innovazione e della crescita sistemica nazionale. Tra molte ombre e vizi endemici (clientelismo, familismo amorale, malaffare e sprechi a livello politico-amministrativo) lo Stato italiano seppe declinare in senso progressista la propria rivoluzione industriale, sospinto da diverse istanze, soprattutto la presa di coscienza giovanile nel 1968 e la crescita elettorale del Pci”. Dunque parliamo di uno sviluppo che contempli anche il professo sociale. In questa differenza enorme risiede la risposta alle obiezioni seguenti, ad esempio relativamente alla modernizzazione del Paese attraverso le televisioni generaliste. A mio avviso questi mezzi di comunicazione di massa sono instrumentum regni del Sistema, adoperati cioè per inculcare modelli superficiali e distraenti in una cittadinanza maggiormente consapevole e politicamente attiva. Mi riferisco all’uso deformante di un settore peculiare per l’informazione e dunque basilare per la democrazia partecipata, non certo allo strumento in sè che come ogni innovazione tecnologica è un fattore positivo. Nota: il concetto di austerità-sobrietà espresso da Berlinguer per denunciare le storture del consumismo non ha nulla a che vedere con la dottrina dell’austerity imposta da tecnocrati privi di legittimazione elettorale.
TESTO: “Malgrado le differenze di condizioni economiche e storico-culturali di un popolo che ha conosciuto tardive unificazione, alfabetizzazione e democratizzazione, nell’ Italia del boom hanno avuto un ruolo analogo le forze sindacali, il movimentismo studentesco, il femminismo, i comunisti e alcuni intellettuali d’avanguardia. Il risultato di questo combinato disposto con la nuova coscienza delle classi lavoratrici, solidificatosi non senza difficili mediazioni tra i diversi strati della politica e dell’imprenditoria illuminata, è stato appunto il progresso sociale: l’obbligo scolastico fino a 14 anni, i diritti civili, il Servizio sanitario nazionale, l’evoluzione del Diritto finalmente depurato da disparità di genere, lo Statuto dei lavoratori e la Scala mobile, il meccanismo di automatico adeguamento dei salari all’inflazione…”
DPR: Ora, sarebbe più equo e rigoroso, sul piano storico, riconoscere che per il progresso dei diritti civili in Italia la parte del leone l’hanno recitata i radicali, i socialisti e altri esponenti del mondo laico e democratico, non certo i vertici comunisti, originariamente indifferenti se non ostili a quelli che percepivano come “fisime borghesi, lontane dalla sensibilità del proletariato”…
E anche sugli altri progressi sociali ed economici citati da Santachiara, parrebbe improprio disconoscere – accanto a quello dei “comunisti” – il ruolo dei socialisti, dei socialdemocratici, di svariate componenti della sinistra democratica laica e cattolica molto attive sia all’esterno che all’interno dei sindacati. Per quel che concerne le critiche che Santachiara rivolge successivamente ai governi del pentapartito (dunque con DC, PSDI, PRI e PLI, oltre che con il PSI) guidati da Craxi e Amato (esecutivi del 1984 e del 1992) in riferimento all’abolizione della scala mobile, la questione rimane controversa sulla bontà o meno di quello specifico meccanismo di adeguamento del lavoro salariato (non sul principio in sé di tutelare sempre il potere d’acquisto dei salari, almeno per Noi che lo condividiamo), ma occorre anche notare che se nel 1984 anziché un pentapartito con la DC e il PLI avesse governato ad esempio un quadripartito con PSI, PSDI, PRI e un Partito della Sinistra già emancipato dalle ubbie comuniste e però saldo nella tutela dei ceti più deboli, magari anche la legislazione sul lavoro avrebbe risentito positivamente di una tale situazione…
RISPOSTA: Ammetto l’errore. Tra le spinte esogene dell’evoluzione della società italiana hanno avuto un ruolo importante anche i socialisti pre-craxiani e i radicali. Per quanto concerne la scala mobile permangono obiezioni pertinenti, ad esempio sull’effetto spirale relativo all’inflazione, ma il presidente Obama, benchè limitatamente ad alcuni settori pubblici, ha intrapreso questo percorso per rilanciare i consumi.
TESTO: “Lo scatto in avanti per il bene comune assume ancor più valore nel contesto storico in cui è maturato: l’emancipazione dell’Europa dallo strapotere degli Stati Uniti, tornati al 25% della ricchezza mondiale come negli anni ’20, e dunque indotti dal governo Nixon a svincolare le riserve auree dall’emissione del dollaro, il cui valore era legato fino al 1971 a quello dell’oro, e nei due anni successivi ad un rapporto di cambio fisso con tutte le valute mondiali; nella sfera geopolitica il gendarme del mondo, reduce da insuccessi politici e militari a Cuba e in Vietnam, fresco complice del golpe de estado del generale Augusto Pinochet in Cile, osservava con crescente preoccupazione, come d’altra parte l’Unione sovietica, l’anomalia italiana condizionata dall’unico partito “comunista democratico” che viaggiava oltre il 30% dei consensi, nel crocevia mediterraneo tra i blocchi della guerra fredda anche per lo snodo con il mondo arabo”
DPR: E qui ci permettiamo di osservare che se effettivamente in Cile la nera ombra dei “massoni neoaristocratici e reazionari” (copyright GOD) guidati da Henry Kissinger ed altri produsse la barbarie del regime di Pinochet e se nel Vietnam furono compiute nefandezze da tutte le parti in causa, almeno a Cuba saremmo stati (e ancora saremmo) lieti di vedere affermata una democrazia liberale sostanziale, lontana sia dal modello dispotico di Fulgencio Batista (fino al 1959) che dalla successiva dittatura dinastica pseudo-comunista della Famiglia Castro. Inoltre, ogni qual volta si evochino gli USA, sarebbe apprezzabile rammentare che se l’Italia e altre nazioni europee hanno potuto compiere negli anni ’60 e ’70 “uno scatto in avanti per il bene comune”, ciò è dovuto proprio al fatto che gli Stati Uniti hanno protetto le nazioni occidentali del Vecchio Continente prima dalla barbarie nazi-fascista e poi da quella sovietica, per di più implementando – a partire dal Piano Marshall – un fondamentale supporto economico e finanziario per la ripresa industriale e commerciale dei territori europei. Infine, ci si permetta di osservare che un qualunque Partito Comunista (compreso il PCI), fintanto che sia rimasto tale e non sia evoluto in senso compiutamente socialista riformista- abbandonando il massimalismo palingenetico della sua dottrina- può anche presentarsi come “democratico” tatticamente, in previsione di una rivoluzione futuribile che i tempi ancora non consentono, ma la sua weltanschauung strategica di fondo (comprensiva di lotta classista alla borghesia, abbattimento del capitalismo, annullamento della proprietà privata dei mezzi di produzione, dittatura del proletariato, formazione di una burocrazia di Stato onnipotente, unica interprete autorizzata di una presunta volontà generale e di un bene popolare astratto) rimane incompatibile con una organizzazione sociale libera, pluralista e democratica.
RISPOSTA: Non ho mai negato i fondamentali meriti degli Stati Uniti nella storia del Novecento ed è un bene che a seguito delle Politiche del 1948 l’Italia non sia finita nell’orbita del Patto di Varsavia giacchè avremmo perduto libertà e democrazia. E’ altrettanto scontato concordare sui crimini dell’Unione sovietica e della dittatura cubana ma non colgo il nesso con la ricostruzione del periodo storico preso in esame. Passando all’argomento successivo, mi chiedo perchè considerare il massimalismo palingenetico come una condizione permanente, almeno fintanto che non si è realizzata la svolta, forse tardiva, dell’ultimo segretario del Pci e primo del Pds Achille Occhetto. Secondo questa interpretazione, manichea e superficiale, non sarebbe possibile neppure descrivere quella mutazione antropologica di cui trattiamo nel libro I panni sporchi della sinistra.
Da un punto di vista storico, se ogni cambiamento concreto dettato da forze e soggetti diversi fosse da assimilare come un fattore ininfluente rispetto ai principi originari – quelli deteriori, ossia antidemocratici- della dottrina comunista, diverrebbe inutile qualsiasi analisi, anche sull’involuzione di etica civile e progettuale della sinistra italiana. In altri termini, nel caso specifico, come si possono ignorare le scelte democratiche e gli strappi che Enrico Berlinguer ha faticosamente maturato e consumato rispetto all’Unione sovietica, attribuendo dunque ai comunisti italiani tout court una visione di fondo ancorata all’ “annullamento della proprietà privata e all’instaurazione della dittatura del proletariato”?
TESTO: “Con la scomparsa di condottieri come Moro e Berlinguer l’involuzione della sinistra, della politica italiana e della società ha subìto un’ impressionante accelerazione. I keynesiani forniscono una chiave di lettura importante sul “divorzio” tra ministero del Tesoro e Bankitalia. Nel 1981, per volere del governatore Carlo Azeglio Ciampi e del ministro Beniamino Andreatta, mentore di Prodi, Enrico Letta e tuttora stella polare di Renzi, la banca centrale non poté più presentarsi come acquirente di prima istanza di Bot e Cct, consentendo agli istituti di credito di stabilire il prezzo del rendimento dei titoli di Stato, ovvero tassi d’interesse favorevoli per i loro bilanci e dannosi per i conti pubblici, in modo esponenziale e permanente. Il mutamento ha prodotto una buona fetta dell’indebitamento dello Stato italiano, soggetto inoltre, sempre per la mancata protezione di Bankitalia, all’assalto degli speculatori stranieri che nel 1992 costrinsero l’Italia a svalutare uscendo dal sistema monetario europeo.”
DPR: Tutto giusto e sacrosanto quello che viene osservato a proposito del divorzio (truffaldino, ai danni dell’interesse generale) tra Ministero del Tesoro e Bankitalia. Meno pregevole e condivisibile definire “Moro e Berlinguer” (pace all’anima loro) condottieri schierati contro l’involuzione della sinistra italiana o assimilarne la lezione a quella di due baluardi della visione keynesiana della società. Proprio Beniamino Andreatta deve la sua ascesa politica sin dagli anni ‘60 ad Aldo Moro (di cui fu autorevole consigliere economico) e il Berlinguer eurocomunista, anti-capitalista, anti-consumista ed elogiatore della via dell’austerità ha pochissimo in comune con quel sincero democratico e liberale progressista che fu John Maynard Keynes (difensore del libero mercato in armonia complementare con un ruolo stabilizzatore e regolatore dei poteri pubblici) appartenente a quel Liberal Party britannico che con il Rapporto Beveridge “sulla sicurezza sociale e i servizi connessi” (1942) tracciò la via maestra di ogni moderno sistema di welfare. Dalla stessa fucina democristiana morotea e andreattiana venne quel Romano Prodi cui giustamente Santachiara imputa la cattiva privatizzazione di molte aziende dell’IRI.
RISPOSTA: Anche Moro e Berlinguer hanno commesso errori. Apprezzo gli scritti di Keynes, che non ho associato a protagonisti del mini-saggio, leggo con attenzione gli studiosi che diffondono tale policy rispetto al ruolo decisivo dei poteri pubblici nell’ambito di un’economia ovviamente (repetita juvant) di libero mercato.

Nessun commento:

Posta un commento