giovedì 6 marzo 2014

Addio a Manlio Sgalambro, il pessimista che voleva cambiare la società





Prof. Sgalambro, qual è il male reale di questa società, o, tra i mali, quale, secondo Lei, è quello originario?
Potremmo dire che la causa più profonda è una causa che troviamo già all’inizio della storia degli esseri umani: la ricerca del profitto, la ricerca di qualcosa; ma ci contraddiciamo immediatamente perché la civiltà è possibile soltanto attraverso questo. Ciò che ti dà salute nello stesso tempo ti dà veleno e indubbiamente questo porta a tutte le nostre contraddizioni più profonde.
La contraddizione umana, quella che Hegel serenamene poteva descrivere nella quiete del suo studio come una contraddizione universale, oggi è una ipercontraddizione, perché c’è in mezzo l’elemento distruttore: il nostro necessario aggredire, essere aggrediti ed aggredire. Tuttavia, bisogna ovviamente continuare ad agire.

Ora lei chiede che cosa potrebbe levare, togliere, strappare questo malore della società. Io non lo so, in effetti, perché ritengo che questo douleur de la conscience (dolore della coscienza) sia inerente alla conscience stessa. Poi il punto della questione rimane ancora aperto: deve ciascuno di noi risolvere il problema della propria vita? Ciascuno, singolarmente, deve risolvere il problema della società?
Io posso risolvere il "mio problema", il problema di quale atteggiamento avere davanti alla vita e alla morte. Il "problema della società" lo potrebbe forse risolvere un’unione di ‘soli’, ma non un’unione di falsi singoli, che per farne uno ce ne vogliono dieci. Invece bisogna riacquistare l’unità individuale, di esseri individuali, dove si basta a sé stessi. Cioè bisogna essere tutto quello che si può essere e allora, forse, anche quelli che chiamiamo i "problemi sociali" possono essere risolti, e da un’unione di singoli così fatti; ma di singoli veri, non di uomini che si riuniscono per costituire una sola singola forza, ma di uomini che riuniscono le loro forze spirituali.

Cosa intende per forza spirituale?
Intendo la forza della propria riflessione, la forza che porta ad essere sé stessi, il controllo della propria singolarità sociale, non soltanto della singolarità naturale. È formare sé stesso, forte, duro, direi anche spietato, con quello con cui c’è da essere spietato. Spietato in quanto prende gli altrui ed i propri problemi... a mazzate, se è il caso.

I giovani sono influenzati da questa società, ma allo stesso tempo hanno il desiderio di cambiare le cose. Cosa consiglierebbe loro?
Se vuoi cambiare le cose, cambia prima te stesso. Tu sei la prima cosa che devi cambiare. Se tu arrivi a cambiare quello che sei e lo fa pure lui e pure l’altro, noi stiamo cambiando la società.

Ma quali sono gli strumenti pratici per poter cambiare sé stessi; da dove bisogna cominciare?
Facendo riflessione su sé stessi, sul proprio istinto sociale, su ciò che si vorrebbe, su ciò che invece non si deve volere; non su una morale, ma sulla morale di sé stessi, perché ognuno deve avere a che fare con sé stesso, in una maniera tale da poter riuscire a dominare l’istinto sociale, a formarsi come un individuo che abbia una consapevolezza di sé e una forza che userà per questo. Quello che è importante: cambia tu.
Io credo in questi cambiamenti più che nei cambiamenti generali cioè i cambiamenti di legislatura o costituzionali. Ma cambiamenti di quel tipo toccano l’individuo? Lo toccano sì, ma lo toccano come lo tocca una mazzata.

Quindi, lavorando, essendo attivi su sé stessi, si può influire sulla società?
Sì, l’individuo influisce così. L’influire non è un’azione a parte. Il soggetto è presente con quello che è il decoro di un Essere, il quale si riconosce come un individuo completo. Lo guardano, ha una bellezza interna che emana fuori; non la bellezza delle fattezze, ma la bellezza diciamo della sua umanità, chiamiamola così. Allora tu hai fatto già il tuo dovere sociale. Se hai un dovere verso la società, devi averlo verso il primo socius, che sei tu.
Io credo così; le altre cose mi sembrano ciance.

Lei prima ha parlato di istinto sociale; cosa si intende per istinto sociale?
Oggi non possiamo più parlare di istinto naturale, come si diceva anni fa. Siamo nella seconda natura e la seconda natura è la società; quindi i nostri istinti ormai dobbiamo derivarli dalla società. Quello che riesce ancora a far sì che succeda qualche cosa e quello che riesce a 'mettere a nudo' non è il complesso naturale, ma il complesso sociale. La riflessione non è più una riflessione naturale; questa prassi della riflessione naturale è oltrepassata. Inoltre ci rifuggiamo nella natura: “io sono fatto così”; no, tu non sei fatto, tu ti devi fare, devi trasformare te stesso in un tuo prodotto. Ma questo non è un processo che la temporalità, che il DNA ci ha portato a fare; questo è un processo che si sviluppa nell’intensità, è l’intensità che ci dà la volontà di cambiare, se si ha da cambiare.

Cosa e come ci fa capire che c’è qualcosa da cambiare?
Anche il tuo disagio di vivere. Se hai un disagio di vivere, tu ti domandi questo disagio da dove deriva. Può darsi che derivi dal fatto che sei appunto in battaglia, perché cambiare non è un adattamento, perché l’adattamento spegne il fuoco. Tu non hai più fuoco, ti sei adattato. Quindi il tuo disagio non ti esprime, non elimina le malinconie che hai, non elimina quei momenti meravigliosi in cui puoi ammirare, estraniarti da tutto e guardare un cielo, guardare l’azzurro, oppure il cupo delle nuvole e così via. Tu non ti estranei così, ma ti estranei nel momento in cui non guardi niente o guardi soltanto gli altri fatti come te.

Ma in questo cammino di cambiamento, di cui si è parlato fino ad ora, l’uomo non è da solo. In che relazione è con il resto del mondo? In che relazione è con la storia?
La relazione resta. È importante che tu ti colleghi, ti metti in relazione. Cominci a fare questo percorso di assestamento di te stesso, di rafforzamento delle tue qualità, delle qualità che tu reputi le migliori per te. Poi, puoi propagare questo alcunché, come puoi tenertelo per te stesso. La saggezza non è un fatto esportabile. La saggezza funziona innanzitutto se ha toccato te stesso; se non ha toccato te stesso non può toccare l’altro. L’altro la vedrà nel modo in cui parli anche di cose apparentemente lontane; anzi se ne accorgerà di più che se tu parli di saggezza espressamente, come ne sto parlando io, se fai atti che siano dentro questa saggezza.

Si può riuscire tramite il dialogo e la riflessione a trovare dei punti di riferimento che siano universali, che valgano per tutti? Oppure ognuno ha i suoi che basa sul suo vissuto, sulle sue esperienze?
Se tu hai un energico punto di vista, un’intuizione, puoi condividerlo con gli altri. Ma è la tua fides; la tua convinzione poggia lì; tu ci credi e tu devi lottare per quella convinzione. Certamente saggezza non significa l’appiattimento di sé stessi, questo è un fatto personale, l’altro è un fatto concettuale. Un energico punto di vista sulla vita lo dovete avere, questo vi do come consiglio.

Si conferma dunque la necessità di un percorso interno che possa fungere da piedistallo ad ogni essere umano per lanciarsi nel vivere comune. Del resto, come l’antica saggezza ci ricorda, anche all’interno di noi stessi esiste una moltitudine di aspetti, tanti piccoli ‘io’ che reclamano attenzione: bisogni fisici, energetici, emotivi, concettuali. La costruzione di sé stessi risulta, dunque, essere un ideale etico ma anche politico. L’armonia appare nuovamente un’urgenza interna ed esterna, ed ascoltare queste parole come familiari da un maestro del pensiero è sempre motivo di sostegno.

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