mercoledì 18 marzo 2015

ROBERTO FRANCO: I fascismi europei tra le due guerre

Marco Fraquelli “Altri duci – i fascismi europei tra le due guerre”, Mursia



“Lo stato ungarista dovrà poggiare su tre pilastri: il contadinato, il ceto operaio, l’intellettualità; l’esercito avrà il compito di edificare  la Grande Patria e difenderla contro i pericoli esterni ed interni. L’economia verrà programmata dal Consiglio Generale delle Corporazioni, la produzione agricola (…) affidata a contadini riuniti in cooperative, la banca sarò nazionalizzata”. Così Ferenc Szálasi.  leader del movimento parafascista delle Camicie verdi, nel definire il suo “Ungaro-socialismo”, che contrapponeva violentemente al regime conservatore-reazionario di Miklós Horthy  rappresentante de facto dell’aristocrazia fondiaria e della grande burocrazia.
La dialettica Camicie verdi (poi Croci frecciate)  – Reggenza di Horthy proseguirà in una spirale di violenza e repressione, finché, nel ’44, Horthy non verrà arrestato dai suoi stessi alleati tedeschi, che già avevano occupato il paese, quando, il 15 ottobre, legge il suo programma di resa.
Ecco allora che, nel clima apocalittico dell’imminente disfatta, viene il turno di Szálasi di assumere  il potere – almeno nominalmente, poiché, come nel caso della Repubblica sociale italiana, le redini del potere vero sono saldamente tenute nelle mani dei nazisti.
Destino simile a quello Croci frecciate tocca alla Guardia di ferro, movimento cristiano, fascista e antisemita dalla forte impronta mistica, che subirà dure misure di repressione in Romania, altro paese alleato del Reich (alcune, pare, ispirate dallo stesso Hitler), che conosceranno il culmine nell’imprigionamento e nell’oscura morte del suo leader, il Capitanu Corneliu Zelea Codreanu.
E anche se ne ’40-’41, il leader romeno maresciallo Antonescu, cercherà di associare al potere  i reduci della Guardia di Ferro, l’esperimento fallirà anche per insuperabili divergenze di natura socio-economica. 
Da questi due esempi si possono isolare delle costanti che interessano molti processi, sia  riguardanti la nascita di movimenti parafascisti – o paranazisti – in tutta Europa, nel periodo che va dalla fine della prima alla seconda guerra mondiale, sia concernenti l’involuzione autoritaria di vari regimi conservatori in occasione dell’inarrestabile corsa al predominio del Terzo Reich sull’Europa, a partire dall’Anschluss.
Innanzitutto, i fascismi minori, che siano di portata minima e legati a contingenze strettamente peculiari del paese dove vedono luce, come quelli irlandese e svizzero, o di ben più vasta diffusione e incisività nella vicenda del paese, come quelli dei paesi baltici, slavi e balcanici, direttamente interessati dalla minaccia del bolscevismo, contengono degli elementi di sinistra (sia pure una “sinistra” corporativa, “spirituale”, nazionale, su base etnica e antisemita e perfino, nel caso delle Camicie verdi, pro-operaia) rispetto ai regimi o ai partiti generalmente clerical-conservatori con cui si trovano ad avere a che fare.
 Addirittura, nella Spagna pre-guerra civile, il capo della Falange José Antonio Primo de Rivera unisce il suo partito a quello dei nazionalsindacalisti di Ledesma Ramos (non senza successivi contrasti, va detto), prima che giunga per lui l’occasione di un pronunciamento fascista che, se colta, avrebbe potuto portarlo al potere evitando forse al Paese iberico la guerra civile.
Un “anticapitalismo di destra”, come lo chiama Giorgio Galli nella sua illuminante prefazione, che fa il suo ingresso in un Europa dilaniata dalla guerra, dalla crisi economica, dai conflitti sociali, e che non è detto discenda sempre direttamente dall’esempio del fascismo italiano, essendo alcuni dei leader discussi in questo volume già frequentatori di movimenti völkisch o delle idee che gravitano attorno all’ Action française, che,come ha dimostrato Zeev Sternhell, anticipano e informano (in parte) lo stesso fascismo mussoliniano.
La seconda costante è che la Germania nazista, con l’eccezione del caso russo, che per ovvie ragioni fa storia a sé, preferisce sempre appoggiarsi a solidi partiti conservatori nei paesi alleati e/o occupati, piuttosto che dare il potere a movimenti o frange filonaziste, che entreranno davvero in gioco eventualmente solo quando, a guerra praticamente persa, la questione sarà di puro e semplice collaborazionismo: valga su tutti il noto esempio della Francia.
Questo, escludendo i paesi destinati a far parte, per una questione di “purezza razziale”, direttamente del  Reich, come l’Austria, l’Olanda (dove il partito filonazista locale tenta comunque di conservare un minimo di autonomia), il Lussemburgo
Più duttile l’atteggiamento del fascismo italiano, che, almeno inizialmente, finanzia e incoraggia partiti e formazioni più o meno gemelle, un po’ ovunque. Il fascismo albanese è addirittura una diretta filiazione di quello italiano, i terribili Ustascia croati di Ante Pavelić  sono foraggiati e allevati  da Mussolini (e dalla Chiesa Cattolica) nell’ottica strategica della disintegrazione del Regno Jugoslavo.
E i CAUR (in particolare in Svizzera), unico tentativo serio di un’”internazionalizzazione” del fascismo, saranno sostenuti molto più dagli italiani che dai tedeschi.
Ma la perdita di prestigio del fascismo italiano, fa sì  che, per quanto dogmaticamente razzista, la dottrina nazionalsocialista cominci a fare via via molto più presa su popoli anche differenti tra loro.
Marco Fraquelli, da anni attento studioso di aspetti più o meno marginali, ma sempre in qualche modo decisivi, del fascismo storico e del neofascismo - ricordo il suo saggio “A destra di Porto Alegre” (Rubbettino, 2005) sull’antiglobalismo “di destra”, nonché l’interessantissimo “Omosessuali di destra”(Rubbettino 2007), traccia un ritratto il più esaustivo possibile di un fenomeno complesso, quello dei fascismi minori tra le due guerre, con infinite varianti locali, poco trattato dalla storiografia, almeno quella italiana, nonostante la sua importanza, forse anche per meglio comprendere i rivolgimenti dell’Europa attuale.

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martedì 3 febbraio 2015

DAVIDE GONZAGA: due testi essenziali sul nazionalsocialismo




Introduzione di: Antonello Cresti

Ce ne siamo già occupati qualche tempo fa con un nostro editoriale sul settimanale “Altri”, ma poiché nulla muta occore ritornare su uno dei grandi paradossi del mercato editoriale italiano e dei suoi ricettori.
Librerie, edicole vengono letteralmente invase di volumi squallidi, ripetitivi, raffazzonati su nazionalsocialismo, fascismi e totalitarismi vari. Evidentemente qualcuno li pubblica, evidentemente qualcuno li legge. Non ho idea di quanto in questa schiera di lettori vi sia di totalmente decondizionato e quanto vi sia di morboso, ma ad esempio il fascino che rivestono le pubblicazioni di strategia militare e militaria mi farebbe pensare che di morbosità nell’aria ne gira eccome.
Ebbene questa massa di carta stampata, molto spesso di infima qualità,o induge all’infinito sui soliti temi, oppure cita a ripetizione fonti che puntualmente non sono presenti sul mercato editoriale?
Cosa dovrebbe dire uno storico? Cosa dovrebbe dire chi approccia l’argomento in maniera seria, senza comportarsi come un guardone in un parcheggio notturno?
Ebbene, con buona pace di Einaudi, Rizzoli ed altri giganti, per quanto riguarda il nazionalsocialismo e il suo milieu culturale di contorno, a pubblicare le fonti ci sta pensando una piccola casa editrice. Piccola e dalle idee controverse come Thule Italia. Avrei preferito che questo lavoro lo facessero i giganti di cui sopra o qualche bella casa editrice accademica, per ovvi motivi. Ma mi confronto con la realtà e non posso che riconoscere che Thule sta facendo in molti casi un lavoro egregio, rigoroso e di notevole importanza storiografica. E’ il caso ad esempio dell’ultima uscita “Adolf Hitler, il mio amico di gioventù”, un memoriale di August Kubizek che fu in contatto con Hitler negli anni della adolescenza, fino al 1908. Un testo come questo – se si ha un minimo interesse all’argomento – spazza in un colpo solo via tanta letteratura psicanalitica sul dittatore tedesco poiché tutto è già presente in queste pagine, ingenue quanto si vuole, ma che documentano in maniera diretta una serie di eventi, tendenze che uno storico non può ignorare bellamente.
Interessante in particolare quando Kubizek si permette addirittura di correggere l’Hitler di “Mein Kampf”, tematizzando e datando in maniera differente certe passioni ideologiche come quella dell’antisemitismo, a parere dell’autore già presente negli anni su cui si concentra il racconto.
Una lettura godibile, con un che di favolistico (e anche qui non vedo perché si dovrebbe preferire la massa sterminata di opere letterarie dedicate alla figura di Hitler, nella maggior parte dei casi patetiche), ma non necessariamente ascrivibile al filone della apologia, che sarebbe storiograficamente meno interessante.

Sentore di sulfureo nei temi che l'autore, con il consueto piglio espositivo preciso e affilato, offre al lettore.
Ma niente paura.
Rimbotti ci accompagna senza ammiccare.
Scioglie nodi interpretativi non offre dottrine prefabbricate.
Preferisce l'affilata presa di posizione alla posa superficiale e accomodante.
Preferisce scontentare che offrire tiepidi approdi per pavidi lettori sbadiglianti.
Si parta dal titolo:" Lebensraum. Impero Nazionalsocialista e Rivoluzione Conservatrice" (Ritter – 2014).
Si continui con la collocazione: il volume porta a termine il lavoro di analisi intrapreso con "La profezia del Regno: dalla Rivoluzione Conservatrice al Nazionalsocialismo" (Ritter – 2011)".
I volumi, leggibili separatamente, costituiscono un unicum coeso e coerente.
Rimbotti, grazie ad un lavoro certosino su fonti ricche ed eterogenee, offre una serie di linee guida interpretative sul Nazionalsocialismo e le sue coordinate filosofiche e culturali.
In particolare l'accento è posto sul rapporto tra Rivoluzione Conservatrice e Nazionalsocialismo.
Questo è quanto.
Ma sarebbe come dire che "Delitto e castigo" è un romanzo teso a dimostrare l'influsso negativo dell'afa pietroburghese nella mente di uno studente squattrinato.
C'è ben altro.
Rivoluzione Conservatrice.
Nazionalsocialismo.
Per troppo tempo, sostiene l'autore, è stato comodo pensare che tra i due fenomeni esistessero pochi e sporadici rapporti, visto che l'una era impegnata in una incessante attività culturale, mentre l'altro, rozzo e volgare, prendeva il potere allontanando da sè gli intellettuali, spocchiosi e impotenti.
Attraverso un lavoro di scavo a tratti vertiginoso l'autore dimostra esattamente il contrario, poichè in più di una circostanza idee, progetti e anche personalità di spicco della Rivoluzione Conservatrice hanno operato con soddisfazione reciproca nell'ambito del potere hitleriano.
Operazione, quella dell'autore, a sua volta eccessivamente intellettuale e di scarso interesse interpretativo?
Tutt'altro.
Entriamo e gustiamo queste pagine.
Ad accoglierci, in prima batutta, è la figura di Karl Haushofer.
Pensatore influente recentemente rivalutato in quanto tra i primi ad occuparsi di geopolitica ha affrontato tematiche essenziali circa il futuro ordine mondiale hitleriano attraverso i concetti di Lebensraum e Grossraum.
Haushofer era un intellettuale, e anche se non risulta abbia mai preso la tessera della Nsdap, era un acceso sostenitore della sua politica estera ricevendo in cambio importanti riconoscimenti istituzionali: nel 1934, per esempio, diventa Presidente dell'Accademia Tedesca.
Era un caso sporadico?
Tutt'altro.
Gli anni passano e il concetto di spazio vitale, intrecciandosi con le prime vittorie militari del Reich, assume un ruolo sempre più determinante nella gestione dei rapporti con le popolazioni slave specie dopo l'avvio della Operazione Barbarossa.
Il confronto si fa acceso, scorrono nelle pagine di Rimbotti decine di personalità, di studiosi, oggi spesso ingiustamente dimenticati, che segnano con le loro riflessioni le temperie culturali e ideologiche di quel tempo su quel tema.
In più di una circostanza si fa riferimento anche al caso Ucraino, che già allora marcava una certa differenza nei rapporti che il Reich stabiliva a Est rispetto al caso più generale rappresentato dalla Russia.
La realtà che emerge è sfaccettata, articolata, complessa più di quanto si è soliti pensare e di quanto ci è stato raccontato circa le occupazioni militari dell'Est europeo da parte dell'esercito tedesco.
Nessun intento giustificatorio in queste pagine, ma la forte convinzione che se non si colgono, per esempio, le riemersioni di certe suggestioni dell'antico tribalismo germanico non si coglie appieno quanto accaduto in quei territori in quegli anni.
Sotto traccia, in queste pagine, come un basso ostinato e martellante troviamo il concetto di Reich, il quale a sua volta rimanada all'originale approccio hitleriano teso a distinguere Imperium romano e Pax greca.
Inevitabile, allora, non incontrare la maestosa, seppur "ingombrante" figura di Martin Heidegger.
Si. Proprio lui.
Il profeta dell'esistenzialismo "pret a porter"  del gruppo Espresso-Repubblica, il guru "in abstentia" dei festival chic con Micromega accartocciato nella fodera della giacchetta di tweed.
Nelle pagine di Rimbotti, finalmente, Heidegger acquista quel ruolo, quella posizione che gli è dovuta nella storia.
Il filosofo di "Essere e Tempo", interprete di un'idea di orientamento nordicista e anti romana, è il portatore di un'immagine di Volk tedesco antimondialista e antiplutocratico.
Rimbotti è molto chiaro quando scrive a pagina 133:" Heidegger fu una delle colonne idelogiche della concezione nazionalsocialista legata allo spazio, all'idea di Impero e di espansionismo".
Rimbotti altro non fa che scoperchiare ciò che in questi anni si è cercato di celare.
Se nel 1987 Victor Farias nel suo "Heidegger e il nazismo" (Bollati Boringhieri - 1987) cercava di sistemare coerentemente il pensiero di Heidegger nel contesto del suo tempo e dei suoi rapporti con il potere hitleriano (razzismo compreso), il seguito è stato un susseguirsi di distinguo che le vestali del politicamente corretto hanno cercato di cucire addosso al filosofo di "Segnavia".
Certo può forse disturbare che Martin Heidegger, uno dei più grandi pensatori del Ventesimo Secolo, sia stato nazista.
Ma tant'è.
La sua idea di Reich è la stessa di Hitler e del gruppo dirigente nazista.
Poche storie.
Questo non significa che non ci furono, in Germania in quegli anni, aspre e diverse prese di posizione.
Basta seguire il filo conduttore delle pagine di "Lebensraum" per scoprire  e riscoprire pensatori come lo storico delle religioni Georges Dumèzil, lo studioso di mitologia greco-romana Karl Kerèny, lo studioso del sacro Rudolf Otto e molti altri per rendersene conto.
Una pletora di studiosi, di organizzazioni culturali che a vario genere e in diverse circostanze hanno incrociato la Rivoluzione Conservatrice prima e il nazismo poi e sono stati citati con rigore da Armin Mohler nel suo indispensabile studio repertorio "La rivoluzione conservatrice in Germania 1919-1932" (Akropolis-La Roccia di Erec – 1990).
Oltre ad costoro, poi, non vanno sottaciute le figure di Ernst Junger, di Carl Schmitt e Osvald Spengler.
Con un abile gioco di rimandi con il volume precedente l'autore ne intreccia suggestioni ed esperienze in grado di aprire squarci e percorsi interpretativi inediti.
Il Socialismo prussiano di Spengler, la figura teutonica dell'operaio Jungeriano, la dicotomia amico-nemico nella figura del politico di Schmitt sono altrettanti epifenomeni di una temperie culturale che Rimbotti si incarica di restituire con tutti i quesiti aperti.
E poi ancora mitologie nibelungiche, niccianesimo geopolitico, comunitarismo ruralista, millenarismo post luterano.

Ma non è tutto.
La seconda parte del volume dal titolo "Nazionalbolscevismo, nazionalsocialismo e rivoluzione mondiale" appare fin dal titolo di una modernità sconvolgente.
Il punto di partenza, in questo caso, affonda ai tempi della politica estera prussiana e ai rapporti tra le popolazioni germaniche e le popolazioni slave.
Sfilano, in queste pagine, pensatori come Rozanov, scrittori-filosofi come Merezkovskij, poeti come Esenin che assumono il ruolo di traghetattori ideali nelle difficile questione del "Drang nach Osten".
Letteralmente "Drang nach Osten" significa guardare a Est.
Non si tratta, ovviamente, di suggestioni esotizzanti e contingenti perchè le grandi pianure russe oltre a offrire grano andavano a intercettare sedimenti spirituali che la formula di Mosca quale Terza Roma riusciva solo in parte a spiegare.
Guardare a Est per alcuni signficava emancipazione dall'Occidente decadente, per altri il tentativo di trovare nuove sintesi tra socialismo nazionale e bolscevismo depurato dal marxismo.
Sono questi gli anni nei quali si fanno strade pittoresche sintesi terminologiche quali nazionalbolscevismo oppure correnti ideogiche fortemente minoritarie come la sinistra nazionalsocialista.
Sono gli anni in cui emerge la figura controversa, fascinosa ma poco più che naif, di Ernst Niekisch, che con il suo intransigente e durissimo idealismo tentava un avvicinamento tra il socialismo nazionale tedesco e il bolscevismo russo depurato dal marxismo.
La storia, poi, si incaricherà di sconfessare queste velleitarie sintesi tra opposti nel crogiuolo del conflitto mondiale.



sabato 17 gennaio 2015

GUIDO DALLA CASA: ECOLOGIA PROFONDA E PENSIERO SCIENTIFICO





Agli inizi della scienza moderna, circa tre secoli fa, la fisica nacque sostanzialmente come meccanica. Alla base della scienza sta il dogma che il mondo materiale è oggettivamente esistente, in modo del tutto indipendente dal mondo mentale-spirituale: “quella” scienza si basa sull’accettazione incondizionata del dualismo cartesiano. Quindi è nata assumendo come premessa ovvia una particolare visione del mondo, che avrebbe dovuto essere considerata al massimo come un’ipotesi di lavoro.
          La formulazione della teoria atomica ha rafforzato la visione meccanicistica del mondo: c’erano 92 “palline” e con quelle era costituita tutta la realtà. A cavallo dei secoli 19° e 20° salta fuori la radioattività: gli atomi non sono indivisibili, sono fatti a loro volta di protoni ed elettroni (in seguito, anche neutroni). Le “palline” sono più piccole, ma non è cambiato niente: si tratta sempre di particelle “elementari”, mattoni fondamentali che costituiscono l’universale.
Con la relatività speciale (1905), spazio e tempo perdono la loro esistenza indipendente ed assoluta, materia ed energia diventano intercambiabili. Con la relatività generale (1916) anche la gravitazione entra nel gioco e viene sostituita con la “geometria dello spaziotempo”. La rivoluzione sembra notevole, ma siamo ancora ben legati alla visione cartesiana. Materia ed energia sono state unificate, ma il dualismo principale resta netto: c’è un mondo energetico-materiale oggettivo, che viene esplorato da una mente umana separata. Le entità non-quantificabili e non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.
       Forse il pensiero corrente ha accettato l’unificazione energia-materia, ma non è andato oltre. Sempre di entità fisiche si tratta. La mente è un’altra cosa: essa indaga dall’esterno il mondo fisico oggettivo ed è sempre soltanto umana. Siamo arrivati così ai primi decenni del ventesimo secolo, alle soglie di un cambiamento ancora più radicale, tuttora in corso.
         Come noto, nel 1927 Werner Heisenberg formulò il “principio di indeterminazione”, che inizialmente riguardava la posizione e la quantità di moto (semplificando: la velocità) di una particella. Le due grandezze non sono determinabili esattamente entrambe: in altre parole se vogliamo definirne una, l’altra è indeterminata. Il principio si applica anche ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che sia nulla l’indeterminazione del tempo, la “particella” presenta una massa-energia completamente indeterminata, il che significa che non è niente di definibile in alcun modo. Solo l’osservazione, cioè un aspetto mentale, può  definire il fenomeno. Come noto, Erwin Schroedinger arrivò agli stessi risultati di Heisenberg e riuscì a formulare l’equazione che porta il suo nome: si tratta di un’equazione differenziale che descrive l’andamento nel tempo della probabilità di trovare una “particella” in una determinata posizione. E’ qualcosa di molto evanescente e sfumato, ma comunque siamo ancora in grado di descrivere un andamento nel tempo.
         Nella seconda metà del Novecento lo studio della dinamica dei sistemi portò a formulare l’idea di sistema complesso: un sistema con un certo grado di complessità ha una evoluzione non prevedibile neanche in termini probabilistici. Nel sistema complesso si manifestano fenomeni mentali.
    Se preferite, non è un sistema di energia-materia che si evolve, ma un ente ternario Mente-Energia-Materia. In tal mondo riconosciamo una psiche immanente in ogni processo. Il sistema sceglie uno dei suoi futuri possibili.
    Questo porta a concezioni non-antropocentriche, ad un sottofondo di pensiero animista-panteista. Ci troviamo in un mondo naturale fatto di entità anche mentali, senza alcun confine preciso. Il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci fa ritrovare in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.  L’etica deve riguardare tutta la Natura.  
   Uno dei compiti principali delle religioni dovrebbe essere quello di dare visioni del mondo e prescrizioni etiche che indicano come mantenere la Terra in buona salute: dovrebbero diffondere l’empatia e l’amore verso gli esseri senzienti. E’ quindi evidente che, per avere un profondo senso del sacro, non è necessaria l’idea di un Dio personale ed esterno al mondo, che si occupa solo degli umani, come nelle tradizioni nate nel Medio Oriente.  
L’evoluzione del pensiero che abbiamo seguìto ha come sequenza: Relatività–Fisica quantistica – Indeterminazione – Dinamica dei sistemi complessi – Mente degli esseri senzienti.
La concezione che tutta la Natura è anche Mente, che richiama le idee animiste-panteiste di molte culture umane, è incompatibile con l’attuale civiltà industriale, in cui si richiede la manipolazione di materia “inerte”. I guai del mondo sono causati dall’attuale visione antropocentrica. L’unica soluzione reale è abbandonarla: dobbiamo sviluppare una visione ecocentrica, che è appunto quella dell’Ecologia Profonda.
                                    Guido Dalla Casa  (Movimento Italiano per l’Ecologia Profonda)

Per approfondire: