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mercoledì 14 maggio 2014

MATTEO GUARNACCIA: Ecco perchè parlo degli sciamani oggi



INTERVISTA A CURA DI: Andrea Zampieri

The Smiling Shaman. Così si intitolava ironicamente una vecchia raccolta antologica di disegni di Matteo Guarnaccia che acquistai molti anni prima di conoscerlo personalmente. Ebbi però presto la sensazione che oltre lo scherzo ci fosse del vero, data la forza evocativa che i suoi disegni e dipinti avevano sulla mia psiche in quel punto così particolare della mia vita in cui era giunto il momento di un cambiamento interiore non da poco. Un “Dietro-front!” sull’orlo del baratro. Da allora passarono gli anni ed ebbi poi modo di conoscerlo e frequentarlo saltuariamente. Ogni volta, davanti a quel suo sorriso pieno di buone vibrazioni, non ho potuto far altro che convincermi che quella mia sensazione iniziale fosse corretta. Così oggi mi trovo qui, nei pressi di uno dei più bei parchi cittadini che Milano possa offrire ai suoi abitanti, a parlare con lui proprio di sciamanesimo, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Sciamani: Istruzioni per l'uso edito da Shake ( www.shake.it ). Seduti ad un tavolo all’aperto, il cielo scuro e minaccioso tipico di questi strani giorni di maggio si apre e lascia passare un fascio di luce solare che ci avvolgerà per tutta la durata della chiacchierata. Il rombo dei motori impazziti, troppo vicini a quell’oasi di verde, non riesce a coprire la voce di Matteo.




Che cosa dovrebbe spingere un lettore ad approfondire il tema dello sciamanesimo oggi?

Chi mi conosce probabilmente sa cosa aspettarsi dal libro e qual è l’approccio, il modello narrativo che uso di solito nei miei saggi. Lo sciamanesimo rimane, per tutti gli altri, un tema di solito trattato in modo piuttosto rigoroso, spesso basandosi sul fatto che l’esperienza spirituale sia qualcosa di sconnesso rispetto alla vita quotidiana e reale. Lo sciamanesimo è comunque, inaspettatamente anche per me, tornato ad essere un tema centrale, probabilmente sull’onda della cosiddetta New Age e delle terapie di guarigione spirituale che da essa spesso derivano. Ma non solo. C’è una nutrita comunità di studiosi, sperimentatori e  scienziati che trova nello sciamanesimo un approccio ai concetti di “natura” e “psiche” molto moderno, e molto lontano dallo stereotipo che di solito presenta lo sciamano come un personaggio pittoresco ed esotico, più centrato sull’apparenza del proprio costume che sull’essenza delle esperienze che vive. In questo modo l’esperienza sciamanica potrebbe sembrare qualcosa di molto distante, che non ci appartiene, mentre è in verità parte integrante della nostra cultura e della nostra vita. In fondo, lo sciamanesimo nasce insieme all’uomo, e probabilmente prima di ogni religione. Di fatto è una modalità di approcciare la nostra psiche, che da sempre è nel nostro DNA.
L’esperienza sciamanica ci ricorda che l’uomo è parte integrante della natura, ma non deve assolutamente considerarsi al di sopra di essa, come invece accade da tempo con risultati catastrofici sullo stato di salute del pianeta. Per la terra siamo diventati una forma di vita decisamente ingombrante, e lo sciamanesimo può senz’altro aiutare a ricordarci qual è il nostro posto nel mondo.



Perché per uno sciamano è importante l’aspetto estetico del proprio costume, da te approfonditamente sviluppato nel libro attraverso una serie di tavole e disegni esplicativi?

Spesso dimentichiamo di avere un immaginario, e che esso si evolve e cresce nell’arco di millenni di storia del genere umano attraverso dei simboli, come Jung ha per altro ben spiegato nei suoi studi e trattati. Il costume sciamanico è una mappa simbolica che permette di comprendere alcuni passaggi dell’esistenza, spesso rappresentando come simboli animali e forze della natura.
Lo sciamano ha il compito di mostrare alla comunità i livelli di conoscenza ai quali è possibile arrivare, e lo fa attraverso delle esperienze di viaggio che sa padroneggiare. In questo senso parliamo del costume come di una “mappa”. Alle stesse esperienze l’uomo comune potrebbe arrivare per casualità, studio, incidente, ma per lui sarebbe difficile tornare indietro per elaborare, comprendere e comunicare l’esperienza ad altri. Il costume dello sciamano, come la musica, la poesia, e altri mezzi, racconta l’esperienza alla comunità. Dichiararsi “uomo”, o scientificamente Homo Sapiens, significa poter dire di conoscere il proprio posto nel mondo. Il costume dello sciamano è la mappa su cui è segnato questo posto.

Le esperienze sciamaniche vengono sempre associate alle zone dove tradizionalmente hanno in passato messo profonde radici. Pensiamo all’Oriente, alla Siberia e in generale al Sudamerica. L’occidente ha mai avuto una propria tradizione sciamanica?

L’ha certamente avuta ai tempi dell’antica cultura ellenica, fino all’avvento dell’antico impero romano.
Pensiamo ad esempio al culto dei misteri Eleusini, ed in generale a tutte le antiche pratiche orientate alla comprensione e al culto delle figure femminili. Lo sciamano, quasi sempre figura maschile, non fa altro che rendere manifesto quel mistero della creazione che è proprio della donna, che lo vive del tutto naturalmente senza troppo soppesarlo. La donna non ha bisogno di comprenderlo ed elaborarlo con l’intelletto, Semplicemente lo incarna, più o meno  coscientemente da sempre. La creatività nel senso più ampio è letteralmente “dare vita”.

Parlando di Creatività come fulcro dell’esperienza sciamanica, è quindi  corretto individuare in certi artisti occidentali del secolo scorso ed attuale una sorta di sciamano occidentale? Sto pensando a Jodorowsky, Allen Ginsberg,  ma anche a te e Claudio Rocchi…

Come dicevamo prima, lo sciamanesimo ci accompagna da sempre, ed è parte del nostro vissuto. Uno dei territori in cui i “segni” dello sciamanesimo permangono e sono maggiormente protetti e si fanno più nitidi è proprio l’arte, in ogni sua manifestazione.
Nella concezione originale dei sogni dei maledetti francesi dell’Ottocento l’arte dovrebbe corrispondere alla vita, l’arte è la vita stessa, anche se di fatto poi la civilizzazione occidentale ha operato una sorta di “specializzazione” delle esperienze emozionali. Se l’antico sciamano era di fatto medico, artista, poeta, psicologo, il mondo moderno non sa che farsene di una figura aperta a tutta una serie di esperienze differenti. Anzi, per chi detiene il potere, una figura completa e libera, capace di sopravvivere in assoluta solitudine, eppure con un proprio ruolo centrale nella comunità come lo sciamano, è piuttosto pericolosa e destabilizzante. Il potere ha bisogno di gente “asservita”. Nelle culture tribali, anche se ogni membro aveva proprie caratteristiche e ruoli, non fuggiva dalle esperienze in altri ambiti. Già in quel tempo, avevano compreso che ogni uomo è in realtà molte persone differenti, come ci ricorda Jodorowsky. L’arte è l’ambito in cui storicamente il potere ha concesso che certe energie venissero esplicitate. E se si tratta di vera arte, pur popolare che sia, essa smuove sempre le energie interiori dell’artista e di chi fruisce della sua opera o del suo gesto artistico. L’artista “fruga” dentro sé senza sapere a priori cosa potrà tirare fuori, e si tratterà sempre di qualcosa che è a priori “non spendibile”. Magari lo diventerà decenni o secoli dopo. L’arte è il territorio in cui tutto è già stato fatto, ma quando ancora non era il momento. E’ l’offrire un nuovo punto di vista sulla vita. E’ far cambiare aria alla società quando è pressoché asfissiata.
E’ in fondo quel che accadde con l’avvento del Rock’n’Roll di Elvis. Prendi ad esempio l’immagine di copertina del suo primo disco, in cui lui appare sul palco completamente sfatto, quasi posseduto. Quello è qualcosa che prima non si era mai visto.
L’artista col suo gesto lancia dei segnali, ed il fruitore, che ha un ruolo tutt’altro che passivo, si trova “agganciato” all’esperienza artistica che gli permette di aprire delle porte che erano già da sempre presenti in lui, e che lo fanno evolvere. Che si tratti di quadri, immagini, musiche o poesie, il fruitore diventa “complice” dell’opera artistica e dell’artista, e dall’opera viene preso e compreso. Questo fenomeno oggi va contro la logica dell’intrattenimento, che ci vorrebbe tutti passivamente assorti.
Come ti sarà forse capitato di constatare personalmente, in una libreria, a volte i libri costituiscono un vero e proprio “richiamo” incomprensibile all’analisi intellettuale, perché si tratta di autori e titoli sconosciuti, magari con copertine piuttosto brutte, eppure poi la loro lettura si rivela tanto importante da cambiarci un po’ la coscienza e la vita. Questo può essere un piccolo esempio di come l’arte e lo sciamanesimo siano strettamente legati.
Il tasto dolente dell’ambito artistico è che mentre l’esperienza sciamanica in origine era mirata alla crescita della comunità, la fruizione artistica agisce sul singolo, e solo in rari casi come esperienza collettiva. Penso ai rave parties e ai concerti rock, che sono dei surrogati moderni degli antichi rituali collettivi di iniziazione.
Penso soprattutto ai primi Rockers dell’epoca di Elvis e Jerry Lee Lewis, che officiavano dei veri e propri riti collettivi con i quali riuscirono a far esplodere beneficamente le energie compresse indotte nella gioventù di allora dall’esperienza delle guerre mondiali. Nel rito del Rock il corpo, la mente e il suono sono tutt’uno.

Hai mai avuto occasione di conoscere personalmente uno sciamano? Si trattava di persone dotate di particolari caratteristiche, oppure erano all’apparenza piuttosto inosservate?

Se parliamo di sciamani in termini “tradizionali”, ad esempio quelli siberiani o messicani, no.
Però ho incontrato persone come Albert Hoffmann in cui ho riconosciuto la saggezza e la sapienza tali da farmi riscoprire delle energie sottili che avevo già  in me ma non riconoscevo. Era una persona indubbiamente legata ai riconoscimenti raggiunti in ambito scientifico per la scoperta dell’LSD e non solo, ma era anche capace di una sensibilità e di una semplicità più uniche che rare. Era estremamente legato alla contemplazione della natura in ogni sua forma. Amava le farfalle e gli animali selvatici al punto da far crescere selvaggiamente l’erba e le piante del suo giardino affinchè gli animali potessero trovare un habitat a loro congeniale e si avvicinassero per farsi ammirare. Aveva compreso che la più alta forma di conoscenza è l’amore, e questo cercava di trasmettere anche a chi ancora lo assillava con le solite domande sull’LSD. Se l’umanità non riuscirà in breve a comprendere che siamo parte di un “tutto”, sarà destinata prima o poi a soccombere e sparire. Siamo invece destinati, nei piani originali, ad essere parte di un “matrimonio alchemico” con il creato. Poi, certo, ci spetta il compito non facile di evolverci aprendo tutti i possibili canali di comunicazione meno convenzionali per entrare in contatto e rispettare tutto il creato. Sono i bambini, leggeri e privi delle nostre sovrastrutture ed esperienze, a riuscire naturalmente in questo. Loro sanno, senza alcuno sforzo, dialogare con le piante, gli animali, gli oggetti, e gli amici immaginari. Chiunque è stato bambino, e dunque è già stato a tutti gli effetti uno sciamano, anche se non lo ricorda più.

Cosa bolle in pentola per lo Smiling Shaman oggi?


Il 12 giugno si inaugura a Milano presso la Galleria Colombo una mia mostra con disegni, quadri e oggetti. Poi sono al lavoro su un paio di libri, e sto curando i servizi dedicati all’arte della trasmissione Cool Tour, in onda su Rai 5.

giovedì 20 marzo 2014

EUGENIO FINARDI: Faccio canzoni contro il Satana liberista


INTERVISTA A CURA DI: ANTONELLO CRESTI


Antonello Cresti – Sono passati circa 16 anni dal tuo ultimo album di inediti. Certamente in tutto questo periodo sei rimasto pienamente attivo, ma resta il fatto che per il mondo di oggi, e in particolare per l'industria discografica, 16 anni sono una eternità. Come ti ritrovi adesso in questo mondo? Cosa hai lasciato per strada?

Eugenio Finardi – Ho perso una generazione, i ventenni in sostanza non sanno chi io sia... Però è assolutamente vero che in questi anni non sono mai stato inoperoso ed ho fatto una serie di cose che mi hanno permesso di avvicinare pubblici differenti, come quello del blues o della classica contemporanea.
Prendermi questa pausa però era necessario perchè nel 1999 sentivo davvero che il mio percorso da cantautore era esaurito e che attorno a me un mondo si stava sgretolando, come in effetti è avvenuto...
Avevo insomma bisogno di ritornare musicista, di sperimentare; qui essenziale è stato Francesco Di Giacomo del Banco che mi coinvolse nel suo progetto di rilettura del Fado portoghese... evo dire che questa è stata davvero una bella scoperta che mi ha “rinfrescato” e liberato. E' da qui che provengono anche progetti come “Il silenzio e lo spirito”, un lavoro dedicato alla canzone spirituale e poi “Anima Blues”, per celebrare i primi 40 anni del mio innamoramento nei confronti della musica blues. Infine c'è stato il progetto legato alla musica di Vladimir Vysockij ed altre iniziative nel campo della musica classica contemporanea.
Il cerchio però adesso si è chiuso e avevo voglia di tornare a fare Finardi, quello classico della “Musica Ribelle”... Il momento, pensavo, era giusto perchè il momento lo richiedeva.

AC – Anche se il mondo discografico sembra andare in tutt'altra direzione è un dato di fatto che stiamo assistendo a una lunga serie di ritorni discografici, a dimostrazione che un interesse verso le avventure dei decenni passati continua a vivere anche sotto la coltre dei Talent Show e delle suonerie. Penso a te, a David Crosby, a Linda Perhacs, solo per citare i casi più recenti... A mio avviso tutti questi artisti nel mondo di oggi portano una “diversità di densità”, in termini di pensiero e di creatività. E il tuo apporto specifico alla contemporaneità quale potrebbe essere?

EF – Penso di aver contribuito a riportare il concetto dell'album, non in senso dispersivo. Dieci canzoni compatte e legate l'una all'altra alla maniera del vecchio “concept album”. Ho puntato su questo senso di unità. Mi è piaciuta poi l'idea di unire la mia storia a quella di giovani musicisti che erano cresciuti con la musica della mia epoca, dando così un bel senso di continuità.

AC – Un'altra cosa che sembra perduta al giorno d'oggi è l'impegno. Visti i tempi che viviamo, complessi, contraddittori, liquidi ne avremmo un enorme bisogno, eppure poco o nulla sembra muoversi in tal senso. “Fibrillante” è indubbiamente un album impegnato, legato a tematiche sociali molto chiare. Pensi che sia ancora possibile influenzare la società con un'opera creativa?

EF – La “musica ribelle” esiste ancora, nel rap ad esempio. Ciò che manca è la volontà di analisi che animava i cantautori o certe bands. Personalmente non offro più soluzioni come facevo negli anni settanta, anche perchè ora nessuno è veramente in grado di farlo, ma almeno tento di dare delle spiegazioni (“Moderato”, “Me ne vado”)

AC – In una tua canzone degli anni '90, “Sveglia Ragazzi”, incitavi i giovani all'azione. Personalmente ho sempre avvertito questo senso, anche fisico, di scossa nelle tue canzoni, Come fare allora per scuotere questi giovani un pòspenti dei nostri giorni?

EF – E' difficile essere ottimisti, anche perchè questo pensiero unico liberista, in maniera subdola e satanica è riuscito a convincere il mondo della sua non esistenza, mentre al contrario esso permea ogni cosa. Credo che la risposta ad un simile quadro di cose non potrà essere nazionale, ma mondiale. Ci arriveremo prima o poi ad un conflitto globale dei popoli contro Finanza, Poteri Forti, Lobbies, ma servirà soprattutto una guida planetaria, un personaggio simile a un Mandela o a un Gandhi. Riponevo speranze in Obama, ma poi mi sono reso conto della sua impotenza di fronte alle lobbies... E' una consapevolezza tragica di fronte a questa complessità.

AC – Il mondo musicale italiano è stato funestato da una serie di perdite. Tra coloro che ci hanno lasciati anche due personaggi ai quali la tua carriera professionale è stata legata in più momenti, Francesco Di Giacomo e Claudio Rocchi. Vogliamo ricordarli?

EF – La morte di Di Giacomo mi ha colpito molto perchè ci avevo parlato esattamente il giorno prima e mi aveva parlato di un nuovo progetto. L'avevo sentito pieno di vita. Sapere che poco dopo non era più con noi è stato davvero scioccante.

Rocchi era la figura centrale per gli hippies italiani. Non ha avuto il grande successo, ma lo considero ugualmente una figura seminale e rilevante per una serie di aspetti non solamente musicali. Uno stimolatore culturale, oltre che un musicista. Peraltro anche nel suo caso parliamo di una persona ancora molto attiva e recentemente ci eravamo incrociati di nuovo dal vivo per le “Cramps Night”...

venerdì 3 gennaio 2014

ANDREA ZAMPIERI: Claudio Rocchi... Nulla è andato perso!





Un’opera di rara indicibile intensità emotiva.
Ecco come mi è parso VDB23 Nulla è Andato Perso, la prima e purtroppo ultima esperienza artistica della coppia Gianni Maroccolo / Claudio Rocchi, ovvero Marok e ClaRock.
Due illustri personaggi del panorama musicale italiano provenienti rispettivamente dai migliori paesaggi sonori degli anni Ottanta e Settanta, che i casi della vita (ma nulla accade davvero a caso) hanno fatto incontrare per scoprire amicizia e stima reciproca…
E per lavorare insieme ad un progetto unico nel panorama musicale italico  in un momento particolare per entrambi; Proprio quando Marok ha deciso di appendere gli strumenti al chiodo di una buia cantina, e ClaRock ha dovuto fare i conti con una malattia decisa a portarlo in breve tempo su altri, più luminosi pianeti, lasciando il suo corpo il 18 Giugno 2013.
Ed un po’ di quella luce azzurra di galassie lontane (il riferimento a Rigel è velato ma non è casuale) è arrivata fino a lì, in Via dei Bardi 23 (da cui la sigla del progetto finanziato attraverso Music Raiser) dove per Maroccolo tutto ebbe inizio una quarantina d’anni orsono e tutto ricominciò con Claudio intorno al 2011 inoltrato, dopo qualche incontro illuminante dal punto di vista umano oltre che musicale.
Nacque così l’opera dal sapore elettroacustico, psichedelico, delirante che solo due artisti di tale caratura potevano concepire.
Non sono soli, però.
Se per la maggior parte del materiale Maroccolo s è occupato delle partiture e Rocchi delle liriche, al progetto hanno poi partecipato una serie sterminata di artisti altrettanto talentuosi (solo per citarne alcuni, Manuel Agnelli, Emidio Clementi, Carmen Consoli, Jovanotti, Giovanni Lindo Ferretti, Franco Battiato, Cristina Donà), ciascuno con il proprio contributo lirico, vocale o strumentale che sia.
Nonostante la malattia e la partenza di Rocchi abbiano lasciato parte del materiale incompiuto ed incompleto, Maroccolo ha saputo sapientemente portare a termine l’opera senza modificarne drasticamente la forma, il contenuto e gli intenti iniziali. Solo, si sono allungati molto i tempi di post produzione, fino a fine 2013. Unico rammarico il fatto che non sia più possibile realizzarne una rappresentazione dal vivo, che immagino dilatata e arricchita di volta in volta da nuove collaborazioni e partecipazioni.
Dal progetto VDB23 esce un disco tanto bello quanto difficile da approcciare. Del resto è quel che accade sempre quando ci si trova davanti ad un grande, indiscutibile fascino.
E’ bella l’intera opera, nella sua completezza, anche nel packaging realizzato a mano in edizione numerata, autografata, personalizzata, con carta pregiata nepalese; Anche nelle edizioni arricchite da un DVD con un paio di video sperimentali con animazioni e non, e il making of del progetto e relativo libro allegato.
Dal punto di vista puramente musicale, se Maroccolo imprime il suo marchio di fabbrica a base di bassi suonati spesso con accordi, suoni elettronici mai scontati, e loop ritmici fuori schema, Rocchi stende sul tappeto sonoro le sue illuminanti parole, frutto di una ricerca spirituale lunga tutta una vita.
E proprio mentre la sua vita si spegneva, Claudio è riuscito ad accendersi ed essere ancora più chiaro ed eloquente che mai nell’esprimere le proprie convinzioni ed impressioni sulla vita in ogni sua possibile accezione, intima, sociale, spirituale, religiosa.
Quando si parla del fuoco sacro dell’arte, forse ci si riferisce proprio a situazioni rare se non uniche, come quella di VDB23.
Qui non si trovano linee melodiche immediate da canticchiare dopo il primo ascolto, o ritmi semplici e ripetitivi. Il percorso è impervio, quanto meraviglioso, come scalare una vetta dolomitica tra foreste fitte e rocce appuntite. Non è certamente un’impresa per tutti. C’è il rischio di perdersi e ritrovarsi poi decisamente cambiati.
Ma chi voglia provare a cimentarvisi (e doveva dichiararlo forte e chiaro anticipatamente aderendo all’iniziativa e finanziandola prima ancora di conoscerne le evoluzioni…), scoprirà un mondo interiore che forse aveva dimenticato, e degli scenari di vita possibili, seppur dimenticati di questi tempi.
Ciò che più sconvolge carezzando l’anima, non me ne voglia Maroccolo, sono certamente i versi illuminati di Claudio. Commoventi i frequenti riferimenti al suo imminente distacco dal corpo, sempre espressi in modo sereno, non drammatico, e positivo, eppure, ancor più toccante.
C’è forza in ogni parola. C’è un grande peso specifico nei discorsi, che sono potenziali macigni da scagliare contro le coscienze dormienti o deviate dei nostri tempi moderni.
Eppure, tutto ciò che è stampato nel libretto interno al CD non avrebbe così tanta efficacia senza le note e i battiti che Maroccolo e Rocchi hanno concepito insieme ed affidato in parte agli altri partecipanti al progetto.
L’elettronica tanto cara ai due compositori, e la sperimentazione sonora intelligente ed originale che ne può derivare sono il giusto veicolo per alleggerire le parole in volo verso l’anima di chi ascolta, per poi farle esplodere nella coscienza.
Allargare l’area di coscienza. Un concetto vecchio quanto la Beat Generation, anzi antico quanto l’uomo, eppure mai troppo sviluppato in termini pratici.
Pochi come Rocchi hanno esplorato il territorio infinito della propria coscienza, e mai come prima dell’incontro con Maroccolo il frutto dei propri viaggi interiori si era mai rivelato così chiaro ed efficace.
Qui, in queste tracce il confine tra le visioni intime e collettive, personali e sociali, tra elettronica, sperimentazione, Rock e Pop è felicemente abbattuto.
Cancellati i cieli tetri sotto cui ci troviamo da tempo, gli sguardi vanno oltre, alle nebulose e alle stelle luminose che danno nuova luce anche alle vicende umane del quotidiano. All’unità del genere umano, ma anche alle proprie fragili individualità.
Quel che più sorprende in questa opera sublime è l’efficacia della sinergia tra due artisti di estrazione piuttosto differente, e tra loro e tutti gli altri partecipanti.
Duole constatare come il fenomeno del Fundraising e del Crowdfunding e la volontà e fiducia incondizionata dei fan renda possibile ciò che la discografia (esiste ancora?) non arriverebbe mai nemmeno a intravedere.
La musica come arte sublime. Come ai vecchi tempi, con suoni nuovi.
Non posso che essere felice di figurare come “produttore”, tra i tanti sostenitori, di questa meraviglia.
Spiacente per chi, almeno al momento, non potrà apprezzare tanta bellezza, anche se non si esclude la possibilità di una futura stampa seriale, magari dai contenuti allargati.



MESSAGGIO PERSONALE A CLAUDIO ROCCHI:

Carissimo Claudio, dopo averti incontrato in diverse occasioni felici, ed aver condiviso con te certe buone vibrazioni, avevo recentemente espresso in un altro mio scritto il dubbio se fosse legittimo considerarmi tuo amico.
Era solo il timore di chi non è ancora del tutto avvezzo alle aperture sentimentali, e non ama molto “definire” situazioni, persone e sentimenti.
Ero però già certo di quanto tu fossi stato per me, in certi momenti, una persona estremamente importante, tanto da cambiarmi insieme ad altri artisti la vita in meglio.
Oggi, dopo aver ascoltato le tue ultime parole su VDB23, non ho più alcun dubbio. Eravamo, siamo e saremo amici, perché abbiamo tante affinità di pensiero, quelle che mi fanno vibrare ogni volta che ti penso.
Non credo tu sia poi così lontano. Credo semplicemente che tu ora sia ovunque, qui e là, oggi, ieri e domani, senza più i vincoli di uno spazio e un tempo troppo stretti, di un corpo, dei sensi, dell’intelletto, dell’Io e dell’Ego. Semplicemente immenso ed eterno, come siamo tutti pur non riuscendo ad immaginarlo.
Non escludo nemmeno la possibilità di altri incontri, che potrebbero avvenire prima che io venga da te o che tu torni qui, sotto altre, nuove forme.

Sono convinto che il suono resta il miglior veicolo energetico per esplorare altri mondi sconosciuti, e tu che col suono e le vibrazioni hai attraversato una intera vita e tante soglie, non avrai certo smesso di sintonizzarti su certe frequenze udibili. Dunque, fatti sentire quando puoi!