Professore di filosofia
nei licei e autore di numerose opere dedicate all'analisi del pensiero liberale
e agli esiti politici e culturali totalitari delle sue premesse
individualistiche, Jean-Claude Michéa è
tra i piu' interessanti esponenti
di una tendenza controcorrente che, in
Francia e in Italia, (pensiamo a Diego Fusaro e al filosofo Costanzo Preve
recentemente venuto a mancare), si stà segnalando per lo sforzo generoso di riuscire nell'opera titanica di
dissodamento della crosta ideologica che rende attualmente impensabile l'uscita dall' asfissiante impasse
"post-moderna" della fine della storia capitalistica, indicando
coraggiosi percorsi alternativi di ricerca, di emancipazione e di affrancamento, posti sotto il segno di un
rinnovato modello politico etico ed economico di esistenza in comune.
Nel testo di cui ci
apprestiamo a esporre e a commentare alcune preziose linee guida, Les
mystères de la gauche: de l'idéal des Lumières au triomphe du capitalisme
absolu, apparso in Francia nel marzo del 2013 e ancora non tradotto in italiano, Michéa
riassume il lavoro di anni di
riflessione storica e filosofica che lo hanno condotto ad affermare, tra
l'altro, l'assoluta organicità della "sinistra" al progetto di
dominazione capitalista, spiegando che è l'equivocità del termine
"sinistra", di cui l'autore ricompone la genesi storica
contraddittoria, a generare i numerosi fraintendimenti e la paralisi attuale di
molti sinceri anticapitalisti.
Il capitalismo, che si sviluppa tra l'altro
sulle basi dell'antropologia liberale
anti-comunitaria fondata sull'idea hobbesiana di "guerra di tutti contro
tutti" e sul paradigma dell' uomo-mercante, "naturalmente"
predisposto all'accrescimento smisurato del proprio esclusivo profitto e
tornaconto anche discapito di parenti e
amici, sull'idea di Adam Smith del Mercato autoregolamentantesi (Mano
Invisibile) e dello Stato avvertito
o come orrendo Leviatano posto a difesa degli interessi mercantili oppure,
successivamente, come pachidermico intralcio allo sviluppo di questi ultimi, e
al conseguente libero dispiegarsi
automatico delle libertà di un soggetto "autonomo" concepito come
ininterrotto flusso di desideri sempre cangianti (Hume) dislocabili a
piacere sulla superficia liscia un mondo virtualmente privo di confini ; il
capitalismo, dicevamo, si configura idealmente e si determina praticamente come
il dominio di un individuo
astrattamente ab-soluto, anonimamente transvalutato
nell'impersonalità della società dello Spettacolo e della Tecnica, il quale,
apparentemente onnipotente, e invece concretamente impotente, è rigidamente
vincolato alle necessità di soddisfare sempre di nuovo i desideri, per definizione contrastanti e
inestinguibili, prodotti continuamente dal Mercato, la cui autoripoduzione si
fonda simbolicamente sulla retorica delle libertà individuali formalmente
garantite e, materialmente, sulla rimozione di ogni ostacolo, di ogni vincolo,
di ogni limite, fisico o
morale, in grado di opporsi, di contenere o di fare da argine alla sua
volontà di potenza.
Da qui il configurarsi progressivo della moderna società capitalistica
su base prettamente 'negativa',
come mobilitazione permanente e bellicosa per la propria legittimazione
simbolica e per la propria sopravvivenza materiale, ossia come necessità variamente articolata, di contrapporsi sistematicamente a tutto cio'
che, ai suoi occhi, costituisce "oscurantismo" e "passato",
vale a dire, nel linguaggio della retorica progressista, al "Male" e all' "ignoranza"
prodotto inevitabilmente dalle società pre-moderne.
Il capitalismo, infatti, scrive Michéa, che
non è affatto conservatore ma "rivoluzionario" (come aveva intuito
Preve, che aveva lucidamente colto nell'
evento 'mitico' del '68 - altro totem della "sinistra"- il
luogo di fondazione simbolica e di trapasso storico del capitalismo su base
autoritaria e borghese otto-novecentesco
al capitalismo su base permissiva e anti-borghese contemporaneo), dopo
il 1989 divenuto Pensiero Unico, e "fatto sociale totale",
riconosce formalmente ogni libertà di espressione e di "stile di vita"
a "tutti", ma sempre rigorosamente all'interno del suo esclusivistico
circuito di simbolizzazione sociale, presentandosi ormai "come una totalità dialettica di cui tutti
i momenti sono inseparabili (siano essi economici, politici e culturali)
e invitano, a loro volta, ad una critica radicale".
Il sistema inedito di
legittimazione della società liberale è innanzitutto culturale (postmoderno -
da qui il ruolo principe della "sinistra" mediatica e dei guru
universitari alla Habermas) e, a differenza di ogni altro sistema politico
precedente, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, esso rifiuta di
presentarsi, ed è in cio' risiede la sua
forza, come ontologicamente "buono": non presenta affatto se stesso
come il "migliore dei mondi possibili", secondo una stucchevole e
insostenibile teodicea, ma piuttosto
come il "meno peggiore" a cui pero' non si darebbero
assolutamente alternative, e a cui non resta che adeguarsi
,"virilmente" o "debolmente" dipende dalle opzioni personali,
per essere pienamente accettati socialmente.
Da qui l'impostazione originale del libro di
Michéa che si rivolge ottimisticamente a
lettori prevalentemente di sinistra (Michéa, che come Marx o Dàvila,
non rivolgerebbe mai a se stesso l'accusa di essere di "sinistra",
rivendica la propria appartenenza al campo socialista: ma ad un socialismo
radicalmente diverso da quello sedicente "scientifico" della Seconda
Internazionale, a pari distanza, quindi,
dal "socialismo storico realmente esistito" dei Gulag e della polizia
del pensiero, e che piuttosto è fondato su di una rilettura filosofica su base
non economicistica di Marx e
richiama l'eredità di Proudhon, di Sorel
e, soprattutto, di George Orwell, di cui Michéa è grande studioso e
ammiratore).
Il "fatto sociale
totale" costituito dal capitalismo non è altro che la "gabbia di
acciaio" di cui parla Weber, l'orizzonte apparentemente intrascendibile
del dominio dell'economico e del tecnico,
del procedurale e dell'"avalutativo", del "fatto", che ha
come premessa antropologica il
"calcolo egoista" di un individuo astrattamente ab-soluto; un
orizzonte delimitato sonoramente dal mantra postmoderno del relativismo culturale e dei valori, socialmente e disciplinarmente
dall'estensione illimitata e coercitiva dei "diritti" (la "visione
giuridica del mondo" denunciata da Marx e richiamata opportunatamente
da Michéa), infine economicamente, dall'ineluttabilità del modo di produzione
capitalistico, basato sulla follia , tra l'altro, della crescita illimitata in
regime di risorse limitate.
Nel corso degli ultimi trent'anni, la
"sinistra", secondo Michéa, non solo ha integralmente fatto propri i
dogmi del pensiero economico liberale, con l'aggravante dell'ingenua quanto
rivelativa infatuazione nei riguardi della diffusione delle "nuove tecnologie", ma oltre ad
avere aderito a quella sorta di religione per professori universitari che è il
post-moderno, ha fondato la propria identità
sul piano esclusivo della rivendicazione societale della lotta per
"i diritti" ( "diritto alla mobilità per tutti, diritto
di sistemarsi dove meglio ci pare per tutti, diritto di visitare le
pitture rupestri di Lascaux per tutti, diritto alla medaglia della
Resistenza per tutti"), senza
avvedersi che di fatto, cosi facendo,essa si iscriveva a pieno titolo
nel segmento di quel "fatto sociale totale", che è, appunto, il liberalismo
culturale, " il cui metodo consiste a guardare tutti i problemi
che una società umana puo' incontrare sotto il solo angolo del Diritto".
Michéa, che rimprovera alla sinistra di avere
abbandonato il piccolo popolo e tradito i lavoratori, oggi costituenti la base
elettorale di partiti di "destra" , o populisti, e di avere
sacrificato quella che Orwell chiamava la common decency sull'altare
dell'infatuazione snobistica e post-sessantottina della "trasgressione" del costume e
della morale tradizionale, del disprezzo dell'"arcaismo" e
dell'oscurantismo 'congenito' della gente semplice, ha sicuramente sotto gli
occhi sia le recenti polemiche sull'istituzione da parte del governo
"socialista" francese del
matrimonio gay (Legge Taubira), sia l'autentica fissazione, o, per meglio dire,
il vero e proprio culto celebrato, dall'Iperclasse nomade al potere - e, per reazione ideologica riflessa, dal ceto
medio semi-colto-, nei confronti della "Migrazione" esterna ed
interna, pensata come rimedio miracoloso a tutti i mali, passati e a venire:
diremmo quasi il corrispettivo, sul piano antropologico e sociale, di quello
che, nell'ambito della produzione capitalistica, è l'innovazione tecnologica.
Obsolescenza programmata delle merci come dei
popoli: nel mondo dell'uomo ridotto a
merce anche i popoli sembrano essere sottoposti alla legge della domanda e
dell'offerta, e Michéa denuncia nell'autosabatoggio delle merci da parte
delle grandi corporazioni, un esempio fulgido
della follia alla base del capitalismo, che potrebbe trovare il proprio corrispettivo
filosofico in quell'idea di "obsolescenza" dell'uomo nei confronti
della civiltà della Tecnica suggerita da Gunther Anders sulla scia di
Heidegger.
Follia capitalistica, ad ogni buon conto,
perché si pensa nei termini di una continua (auto)distruzione:
celebrando il divenire infinito e insensato di merci e uomini, essa fonda se
stessa unicamente sulla negazione: della Tradizione, del passato, di tutti quei vincoli comunitari, culturali,
politici, simbolici, geografici, biologici, interpretati, dai guru del
capitalismo mondializzato, come altrettante condizioni "limitanti" e
"discriminanti": le volizioni
infinite dell'individuo sradicato,
atomizzato e ridotto a puro flusso di coscienza galvanizzato dalla società
dello Spettacolo e confortato dai ritrovati della Tecnica, essendo il "fine universale", e peraltro dogmaticamente indiscutibile,
perseguito inflessibilmente dai gendarmi del libero mercato. Individuo
atomizzato e sradicato il cui "doppio" avatarico , portatore sano di
solitudine al quadrato e di identità multiple conformi alla bisogna del mercato
virtuale, intreccia, nei social
network, legami soft,
multipli, precari e a termine, con
"profili" simili di altrettanti consumatori di desideri.
Le "passioni tristi"
contemporanee, direbbe forse Spinoza.
Al fondo, ci sembra di
poter dire che nel capitalismo assoluto descritto in questo libro da Michéa constatiamo
gli esiti ultimi di idee filosofiche,
da Descartes a Hume, basate su di una
antropologia, come dice Marx, alla Robinson Crusoe: congedato e
censurato il concetto aristotelico di uomo come" animale politico",
guardato con disprezzo dai guru postmoderni come lo scimmione
preistorico all'origine di ogni forma di barbarie - dai Totalitarismi al
patriarcato, dall'omofobia al
razzismo- resta, per la "sinistra", l'individuo finalmente "liberato" e
moderno: " astrattamente
onnipotente e concretamente impotente
" secondo la formula marxiana.
Ma non basta.
Sfiorando un nervo particolarmente scoperto e doloroso della dinamica
politica e sociale contemporanea, Michéa accusa la sinistra di essere la
principale responsabile dello stato di
cose presenti, che vede allargarsi le categorie costrette all'indigenza e al
precariato, invariabilmente poste sotto l'attacco della barbarie
"trasgressiva" della società dello Spettacolo e della Tecnica, vieppiu'
espulse dal "mercato" della
rappresentanza politica - che le
disprezza come obsolete e populiste- e quindi da ogni organizzazione partitica
che ne tuteli davvero la sopravvivenza.
Dal suo punto di vista
poco cambia che questo elettorato e queste fasce sociali si spostino sempre
piu' a "destra", considerato che le "destre" che ne
intercettano di solito il sentimento e i valori, sono pronte a svenderli, al
pari della "sinistra" , per uniformarsi ciecamente al coro del "
Ce lo chiedono i Mercati", o al progetto di sradicamento e trasformazione
societale prodotto dalla retorica liberale dei "diritti per tutti"
e dell' integrazione collettiva dei 'valori' della società dello
spettacolo, della trasgressione e della performance tecnica.
Secondo il filosofo francese
tutto cio' è pero' logicamente
spiegabile poiché radicalmente iscritto nel codice genetico stesso di una "sinistra" che fa la sua comparsa come quel soggetto
sociale universalmente conosciuto, e
come tale oggi planetariamente diffuso,
nella Francia dell'affaire Deyfus ("guerra civile
borghese" secondo la definizione di Jaurès e altri padri del movimento
socialista francese dell'epoca), vale a dire nel drammatico torno di tempo in cui vide la luce un compromesso storico tra la sinistra liberale e repubblicana,
integralmente dedita alla metafisica del Progresso illimitato e della Scienza
(Adam Smith, Turgot, Condorcet, Comte) - e per questo anti- Ancien Régime, e le organizzazioni
socialiste che, al contrario, al loro sorgere, avevano saputo cogliere gli
aspetti alienanti distruttori e selvaggi indotti dall'industrializzazione
capitalistica e dal cosmopolitismo- cioé dal "Progresso"- e gli
impatti drammatici che questa produceva sul "nuovo schiavo salariato"
europeo dell'epoca e sulle comunità che da essa venivano investite e travolte.
A tal proposito Michéa si premura di informare
il lettore di "sinistra"
contemporaneo, infarcito di "retorica elettorale progressista" e abituato a vedere uniformemente in tutto
cio' che è "passato" il sigillo del Male, che, in realtà, "il sistema feudale contribuiva a
mantenere strati di vita comunitaria-
e di autonomia locale- in cui " un principio di eguaglianza latente non
cessava di irrigarne in profondità le strutture. Tale è il caso di quei diritti
consuetudinari di "vaine pâture" e di libero percorso tra i campi che
permetteva ai contadini più poveri, di nutrire il proprio bestiame sulle terre
comuni e private del villaggio, una volta terminata la stagione dei
raccolti.
Non è dunque, in realtà, che sotto la pressione ideologica crescente
dei primi economisti liberali influenzati dal modello inglese ( e dei loro intermediari, sempre piu'
numerosi, nel seno dell'apparato dello Stato monarchico) che ando' progressivamente
apparendo l'idea- ironizza Michéa- che il diritto di chiudere le proprie
proprietà personali e di interdirne cosi' l'accesso ai contadini meno abbienti,
costituisce una delle esigenze piu' essenziali di una società libera".
La proprietà appariva ai liberali come minacciata da due gravissimi ostacoli:
"da una parte i diritti signorili dall'altra quelli collettivi"
e Michéa richiama l'attenzione del lettore di sinistra ingenuo su una serie
di testi a sostegno della tesi che proprio lo zelo mostrato dai liberali del
Settecento "verso un dominio assoluto della proprietà era praticamente
ignoto al Medioevo, e che a partire dell'esempio storico della "vaine pâture" è possibile
rintracciare le linee guida di quella critica, da parte dell'economia politica
illuministica, del "conservatorismo inerente alle classi popolari e al loro
attaccamento "irrazionale"
agli antichi costumi e ai "vantaggi
acquisiti" ( del loro "populismo", diremmo oggi) che avrebbe
condotto i fondatori del liberalismo a gettare il bambino comunitario con l'acqua sporca feudale
e a sostituire alla lotta
rivoluzionaria iniziale contro ogni forma di legame sociale fondata sulla
dipendenza personale istituita alla nascita,
quella che - sempre nel nome dei "diritti dell'uomo" e della
"libertà"-, avrebbe avuto modo, in un secondo tempo, di attaccare
senza pietà il fondamento del legame comunitario stesso.
E non è certamente un caso, se, per Marx, come
per la maggior parte dei primi socialisti, i nuovi "diritti
dell'uomo" nel cui nome la rivoluzione liberale pretendeva compiersi, non
rappresentavano nient'altro che i diritti del membro della società borghese, vale a dire dell'uomo egoista, dell'uomo
separato dall'uomo e dalla comunità."
Non basta. Michéa ricorda
pure che "le due repressioni di
classe più feroci e omicide che si siano abbattute, nel XIX° secolo, sul
movimento operaio francese (con gli applausi -cela va sans dire- della
destra monarchica e clericale) sono stati ogni volta opera di un governo
liberale o repubblicano ( di sinistra, dunque, nel senso primario del termine).
Innannzi tutto quella ordinata da Louis-Eugène Cavagnac, durante le giornate
del giugno 1848. In seguito, e di gran lunga più selvaggia, quella diretta da
Adolphe Thiers contro la Comune di Parigi del maggio 1871. Inoltre vale la pena
di segnalare il ruolo svolto da industrializzazione e ideologia
progressista nella politica coloniale
europea, come dimostra il caso notorio
di Jules Ferry, capo della sinistra
repubblicana dell'epoca e frammassone, apostolo della destinazione "umanitaria e civilizzatice" dei
popoli moderni, eletto presidente del
Senato nel 1893, il quale reclamava
esplicitamente il diritto-dovere delle "razze superiori" e
industrializzate di farsi carico di una missione pedagogica nei confronti delle
"razze inferiori".
Un tale atteggiamento
culturale non è certo venuto meno con l'andare del tempo, in Francia come
altrove, se si pensa all'adesione
incondizionata della sinistra europea,
governamentale o di salotto mediatico,
alla retorica dei diritti umani- e alle conseguenti esigenze della guerra
umanitaria- costantemente sventolata
dall'Impero nordamericano per liberarci infinitamente, come ironizzava Preve,
da "barbuti fanatici e baffuti dittatori".
"Tutto il problema,
sostiene Michéa, consiste nel sapere se
l'adesione progressiva della
sinistra ufficiale (in Francia come in tutti gli altri paesi occidentali) al culto del
mercato concorrenziale, della "competitività" internazionale delle
imprese e della crescita illimitata (cosi' come al liberalismo culturale che ne
costituisce semplicemente la faccia "morale" e psicologica) puo'
ancora essere ragionevolmente interpretato come un puro accidente della
storia (...) O se, al contrario, questa conversione accelerata della
sinistra degli anni Settanta al liberalismo economico, politico e culturale non
è piuttosto il compimento logico di un lungo processo storico di cui la
matrice si trovava già iscritta nel compromesso tattico negoziato, ai tempi
dell affaire Dreyfus, dai dirigenti del movimento operaio francese
(compromesso che, sottolineamo, finirà esso stesso per trovare, nel tempo, i
suoi equivalenti politici nel seno di tutti i paesi europei".
Ad un tale interrogativo
Michéa, risponde affermativamente, imputando proprio alla metafisica del
progresso e alla fede nel "senso della storia" progressivamente
orientata, cosi' come alla ritraduzione del pensiero di Marx nei codici
scientisti e positivistici della borghesia sette-ottocentesca, l' operatore
filosofico maggiore, che ha permesso
di "scivolare, da un compromesso difensivo e tattico iniziale verso una
configurazione politica inedita, presto vissuta dai suoi nuovi fedeli come un distintivo
identitario dalle proprietà quasi religiose".
Ora, si premura di
sottolineare Michéa, la critica della sinistra come instrumentum regni cultural-mondano del capitalismo assoluto,
non si propone certamente la riabilitazione della "destra",
assoggettata come essa è ai dogmi insindacabili del libero mercato e
contraddistinta dal medesimo -se non forse più cinico e feroce- ricorso ideologico e pratico
al relativismo culturale e morale che, oggi è divenuto chiaro, è la
cifra ideologica distintiva dell' "ultimo uomo" nicciano, il quale,
liberato infine da tutti i "pregiudizi" del passato, puo' finalmente
dedicarsi tanto alla predazione delle risorse del pianeta quanto alla
spoliazione delle ricchezze dei popoli,
presentando mimeticamente le conseguenze nefaste del suo agire immorale come
eventi irrevocabili della Natura, al
pari di tsunami o eventi tellurici distruttivi, direbbe
Fusaro, flagelli misteriosi e
ineluttabili indipendenti dall'uomo, proprio come il ricorrere distruttivo della peste ne i Promessi
sposi di Alessandro Manzoni.
Occorre dunque pensare
oltre la dicotomia destra/sinistra,
categorie ormai integralmente svuotate di senso e inservibili, secondo
Michéa, utili solo a legittimare
ideologicamente, da parte dell'élite e del clero universitario e mediatico, la
presenza inquietante del "fatto
totale", e apparentemente intrascendibile, costituito dal capitalismo assoluto: il quale è
programmaticamente rivoluzionario e
distruttore perché fondato- è la grande
lezione di Costanzo Preve- sul concetto di Apeiron, quindi
sull'idea radicalmente anti-greca e anti-comunitaria di Illimite , il cui portato è, con la follia del nichilismo, la
"mobilitazione totale" di esseri e cose, e da ultimo, la
"flessibilità" e la conseguente precarizzazione e virtualizzazione
del senso dell' esistenza e dello stare al mondo.
Michéa che ha manifestamente assimilato concetti
cardine della feconda riflessione di Preve, ma anche di de Benoist e di
Serge Latouche, oltre che a Marx rimanda
ai fondamentali studi antropologici di
Marcel Mauss ed Alain Caillé sulle civiltà 'antiutilitarie' premoderne
(distrutte in Europa con l'avvento della società capitalistica ma che ancora
sopravviverebbero in America Latina e in alcuni paesi africani), fondate sull'etica del dono, della comunità e dell' onore, oltre che a
rinviare alle opere dell'amato George
Orwell, difensore, di fronte all'arroganza 'smisurata' del potere, della dignità
della "gente ordinaria" e di
quei legami e scambi simbolici e identitari non oppressivi in cui si costituisce e si svolge quella che
lo scrittore inglese chiama common decency.
P.s.
Giunto al termine di
questo articolo ho appreso della morte in un tragico incidente stradale alle
porte di Perugia, dell'amico Diego Sozio,
di cui ricordero' sempre la tenace passione per la ricerca delle verità
piu' scomode.Ciao Diego, continua il viaggio come sai!
Nessun commento:
Posta un commento