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martedì 13 maggio 2014
ANDREA VIRGA: Lo Stirner di Mackay
Come spesso avviene nel nostro Paese, spetta ad una piccola casa editrice – in questo caso la romana Bibliosofica – pubblicare, ossia rendere noto al pubblico italiano, un’opera forse di scarsa fama ma certo di grande importanza per qualsiasi studioso o cultore della filosofia moderna.
A quasi un secolo dalla sua edizione definitiva (la terza), vede così la luce la traduzione italiana, a cura di Claudia Antonucci, di questa biografia del filosofo tedesco Max Stirner, al secolo Johann Caspar Schmidt, scritta dallo scozzese John Henry Mackay.
Quest’ultimo era un poeta scozzese, imbattutosi nell’estate del 1887, all’età di 23 anni, nel nome e nell’opera di Stirner, mentre consultava, presso il British Museum di Londra, la “Storia del Materialismo” di Friedrich Albert Lange. Colpito da questa rivelazione, negli anni successivi si trasferì in Germania e si dedicò ad una serie di meticolose ricerche relative a quest’autore, del quale si conosceva così poco.
I risultati di queste indagini storico-filosofiche, avvenute tramite la consultazione sia dei documenti disponibili sia dei testimoni oculari ancora in vita, furono pubblicati una prima volta nel 1898. Una seconda edizione, ampliata, seguì nel 1910, fino ad arrivare all’attuale versione, data alle stampe privatamente nel 1914, arricchita da una serie di apparati, di fotografie e di stampe di documenti. Tutto questo, con l’eccezione dell’albero genealogico della famiglia Schmidt, della bibliografia e delle note – lacuna, a mio parere, discutibile – è riportato nell’edizione italiana, compresa la riproduzione del frontespizio e le prefazioni alle varie edizioni. Mackay finì per assumere la cittadinanza tedesca e morire a Berlino nel 1933.
Come risaputo agli addetti ai lavori, le conoscenze che si hanno della vita di Stirner sono piuttosto scarse. Lo stesso nome con cui è famoso, del resto, è uno pseudonimo. Addirittura, nonostante sia vissuto nel corso dell’Ottocento, nell’era incipiente della fotografia, non esiste alcun ritratto che ne tramandi il volto, eccezion fatta per una caricatura vergata da Friedrich Engels decenni dopo la di lui morte. Ebbene, questo libro si dimostra una miniera d’informazioni preziose e interessanti. Mackay ci mette al corrente persino dei suoi indirizzi di casa durante gli anni dell’Università e dell’andamento dei suoi corsi e del suo esame di abilitazione alla docenza, descrivendo addirittura i giudizi della commissione. Tuttavia, egli non si limita a fare sfoggio di erudizione, ma ricostruisce al meglio delle sue possibilità l’ambiente in cui il filosofo tedesco si è trovato a vivere e ad operare, compreso il circolo dei Liberi, che egli frequentava. L’unico difetto che possiamo imputare qui all’autore è l’assenza di un apparato di note e di fonti – misura oggi indispensabile per ogni opera scientifica, ma ai tempi non ancora universalmente diffusa.
L’unico capitolo un po’ debole di tutta l’opera è il quinto, dedicato all’opera capitale di Stirner, ossia “L’Unico e la sua Proprietà”. Qui, Mackay smette i panni dello studioso per vestire piuttosto quelli dell’apologeta. Non che il suo sunto delle idee del filosofo o che la storia della pubblicazione e della ricezione del testo siano manchevoli, se si esclude l’importante saggio di Marx ed Engels “L’ideologia tedesca”, ancora di là da pubblicare (uscirà nel 1932). Tuttavia, l’entusiasmo con cui il poeta scozzese sposa le tesi di Stirner è sicuramente eccessivo. A sentire lui, si tratterebbe del massimo emancipatore del pensiero umano dai suoi vincoli, reali o supposti, superiore anche ad autentici giganti del pensiero quali Marx e Nietzsche. Mackay, evidentemente non un filosofo per formazione, sembra non trovare alcuna critica rilevante da muovere al proprio idolo.
Quest’infatuazione resta un limite per l’opera dal punto di vista filosofico, perché impedisce all’autore di operare un giudizio più ampio e comprensivo sulle radici e sull’influenza di Stirner nella storia della filosofia. Infatti, nonostante dal punto di vista del procedimento logico sia uno tra i tanti allievi di Hegel – e neanche dei migliori, giusta anche la severa critica marxiana –, da un’ottica concettuale costituisce un punto di riferimento irrinunciabile per ogni filosofia individualista o anarchica contemporanea, grazie alla sua estremizzazione dell’Io, spogliato da ogni sovrastruttura ideologica.
Nel quadro della storia della filosofia, il misconosciuto Stirner costituisce dunque un vero e proprio anello di congiunzione tra Hegel, la cui dialettica egli segue, e Nietzsche, che gli è debitore a proposito della sua teoria dello Übermensch e del concetto di “ombre di Dio”.
A dispetto dell’attenzione tributatagli dai suoi contemporanei – Marx ed Engels gli dedicano centinaia di pagine di critica! –, la storiografia successiva ha tendenzialmente trascurato Max Stirner, salvo alcune eccezioni. Se però riconosciamo la sua importanza come filosofo, risulta chiaro come un’opera quale questa di Mackay, che ha il merito di illuminare il più possibile l’oscura vicenda biografica del nostro autore, sia irrinunciabile in ogni biblioteca filosofica, non solo per la sua rarità, ma anche per quell’acribia, che è propria dei dilettanti appassionati. All’editrice Bibliosofica va quindi il nostro ringraziamento per averlo strappato all’oblio.
Andrea Virga
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