Ugo M. Tassinari,
“Napolitano il capo della banda”, Edizioni Sì, Cesena.
Recensione a cura di: DAVIDE GONZAGA
“(...) vi è solo
biografia. Ogni uomo deve riconoscere l'intero suo compito”.
F. Nietzsche,
“Frammenti postumi”.
Il peggiore.
Così doveva
intitolarsi l'agile, puntuta e irriverente biografia di Giorgio
Napolitano del vulcanico Ugo M. Tassinari.
Per evitare
sovrapposizioni, però, con il “peggiore” di recente conio
travagliesco per Massimo D'Alema l'editore ha deciso di optare per il
comunque efficace “Capo della banda”.
A pagina quattro del
libro, pubblicato dalle Edizioni Sì di Cesena, Tassinari scrive:”Se
la classe politica italiana è in effetti corrotta e imbelle, Giorgio
Napolitano ne è l'esponente più autorevole e rappresentativo”.
Parole forti che
aprono squarci interpretativi che si snodano nelle pagine di questa
biografia dal forte sapore giornalistico, ma con giudizi che, a mio
avviso, non stenteranno a entrare, confermate, nei “veri” libri
di storia.
Il libro consta di un
centinaio di pagine con un ritmo serrato e cinematografiamente molto
dinamico.
Si apre con un
ricordo personale dell'autore.
Settembre 1973. Il
giovane compagno Tassinari baldanzoso e pieno di belle speranze parte
da Napoli per andare alla Festa Nazionale dell'Unità di Milano. Tra
peripezie di ogni genere, complice una micro epidemia di colera, il
futuro blogger trascorre addirittura alcuni notti in Stazione
Centrale prima di riprendere la strada di casa. Dall'altra parte del
mondo, intanto, per la precisione in Cile gli aerei di Pinochet
bombardano il palazzo della Moncada per destituire Allende.
Dopo qualche giorno
alla Chiaia Posillipo, la sezione del Pci più chic di Napoli, arriva
Giorgio Napolitano.
Il responsabile
culturale del Partito arriva per dettare la linea ufficiale del
Partito.
Il gelido, affilato,
raffinato ragionare del futuro Presidente. In quella circostanza,
chiosa l'autore, Napolitano:”(...) infrange le mie velleità
politiche e mi consegna a una lunga pratica ribellistica”.
Napolitano, oggi, ci
racconta Tassinari, è lo stesso di quarant'anni fa: l'idea di un
potere immobile che trasforma la mummia di sè nel corpo del potere.
Tassinari nei
capitoli che seguono ripercorre la vicenda biografica di Napolitano
confutando dicerie (la parentela con l'ultimo Re d'Italia),
introducendo dubbi (la presunta affiliazione con le logge massoniche)
e inserendo la figura del Presidente della Repubblica nel contesto
del Nuovo Ordine Mondiale.
Scorrono in queste
pagine le figure dei Presidenti che lo hanno preceduto, vengono
analizzati i meccanismi elettivi, le diverse circostanze politiche
interne e internazionali, come pure le pressioni di lobby e apparati
di potere più o meno torbidi.
Ciò che emerge è un
quadro complesso che il lettore può cogliere e imprimere nella sua
memoria.
Ad accompagnarne le
analisi di Tassinari alcuni compagni di viaggio di formazione e
collocazione eterogenea: nel capitolo intitolato “Il riformista”
troviamo il direttore de Gli Altri Piero Sansonetti; lo studioso
Pasquale Chessa compare nei capitoli “Il comunista” e nel
capitolo “Monti”; fino allo scomparso Ministro Padoa Schioppa che
fa capolino nel capitolo “Prodi”.
Questi sono solo
alcuni dei contributi che l'autore ha saputo con acume utilizzare per
strutturare l'impalcatura del testo. Va detto che nell'insieme
l'estrema eterogeneità non sempre convince, perchè necessariamente
ciascuno è portatore di un disegno di mondo che seppur non cozza
nella contingenza del ragionamento di fronte a un approfondimento non
tarderebbe a risultare contradditorio.
Il giudizio generale
del libro è, però, ampiamente positivo in particolare riguardo a
tre macroquestioni.
La prima la si
ritrova nel capitolo “L'America”.
Tassinari,
utilizzando le tesi del professor La Grassa e del blogger Gianni
Petrosillo, ricostruisce quello che è stato il “cambio di campo”
del Pci degli anni '70 che si sposta sull'Asse Atlantico molto prima,
dunque, del crollo del Muro di Berlino e dell'implosione dell' Urss.
Napolitano, leader
della corrente migliorista del Pci, nel 1978 vola negli Stati Uniti
per una serie di conferenze proprio mentre Moro si trova nel
“Tribunale del Popolo” delle Br. Queste conferenze preparate con
cura, nella convinzione di molti, sanciscono una vera e propria
alleanza tra la sinsitra ormai post comunista e i poteri forti
americani fino alla “finta rivoluzione” di Mani Pulite e non
solo.
Rimane, a mio avviso,
un po' troppo sullo sfondo la figura di Enrico Berlinguer.
Faccio fatica a
pensare che il segretario del Pci non avesse un ruolo più decisivo
in questo passaggio.
La seconda questione
in continuità con la precedente si trova nel capitolo “Monti”.
In questo passaggio
forte rimane l'impressione che l'operato, ai limiti del dettato
costituzionale, del Presidente della Repubblica risenta del passaggio
internazionale della sinistra istituzionale, ormai supina ai voleri e
ai desiderata della Ue in prima battuta, ma soprattutto dell'alleato
americano tanto da lasciar ipotizzare in molti l'idea che il
passaggio dal governo Berlusconi al tecnico Monti rientri nella
casistica di un vero e proprio golpe bianco.
Forte dell'opinione
dello studioso Chomsky ma in particolare dell'inviato del Sole 24 Ore
Augusto Grandi, il nostro ricostruisce con sapienza quei giorni
convulsi e le conseguenze che quel Governo ha prodotto nel paese.
La terza questione la
si può ritrovare nel capitolo “Antimafia”.
In poche e densissime
pagine Tassinari ricostruisce quella che giornalisticamente è
passata sotto il nome di “trattativa” tra pezzi dello Stato e la
mafia per chiudere la stagione delle stragi di mafia attraverso
l'attenuazione dell'articolo 41 bis.
In un susseguirsi di
colpi di scena che vedono a un certo punto coinvolto il consigliere
giuridico del Presidente Napolitano e suo amico personale D'Ambrosio
veniamo introdotti in una selva di imbarazzi, ritrosie e silenzi di
personalità di rilievo come l'ex Presidente del Senato ed ex
Vicepresidente del Csm Nicola Mancino e l'attuale Presidente del
Senato Pietro Grasso.
Il colpo di scena,
però, arriva quando si arriva a coinvolgere direttamente Napolitano
che viene convocato dal Tribunale di Palermo per spiegare perchè
D'Ambrosio poco prima di morire di crepacuore aveva scritto una
lettera nella quale si sentiva come: “un ingenuo e utile scriba di
cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.
Il momento è
delicato: tra intercettazioni secretate, battaglie giornalistiche e
richieste di chiarimenti politici si arriva alla decisione del
Quirinale di sollevare il conflitto di attribuzione ordinando la
distruzione delle bobine registrate.
Tassinari conclude,
non senza amarezza, che la decisione di estendere alcune guarentigie
presidenziali per evitare la deposizione in tribunale va intesa come
qualcosa che va ben al di là di quanto previsto dalla Costituzione.
Riemerge, dunque,
ancora in questo passaggio quanto raccontato all'inizio da Tassinari
a proposito di Napolitano freddo ancorchè lucido dirigente di
partito dei lontani anni '70.
Oggi come ieri.
Nessun commento:
Posta un commento