All’inizio del suo saggio, Il viaggio iniziatico edito da Laterza, Emanuele Trevi sostiene che
esistono narrazioni che producono "questa straordinaria esperienza - la
possibilità che le parole di un altro ci tocchino in profondo, fino a quello
strato dell'essere nel quale si generano le trasformazioni più profonde e
benefiche", tanto che diventa assai difficile distinguere la conoscenza trasmessa
dallo scrittore dalle ripercussioni interiori generate nel lettore.Questi
appunti sono il risultato di un viaggio iniziatico compiuto attraverso il testo
di Trevi e delle corrispondenze e degli echi che esso ha prodotto, rimandato e
amplificato.
Il viaggio concettuale che compie l’autoreè un movimento
circolare in tre momenti che dalla letteratura etnografica e antropologica sul
viaggio dei primi del novecento (Dio
d’acqua, nel quale l’etnologo francese Marcel Griaule rivelò le “verità”
ricevute da uno sciamano dell’allora Sudan francese; Alce Nero parla di John Neihardt, che raccoglie le memorie del capo
nativo americano; Gli insegnamenti di don
Juanche Carlos Castaneda dedicò ai miti degli indios dell'Arizona e del
Messico; Il grande viaggio in slitta
nel quale l’antropologo Knud Rasmussen parlò degli Inuit), arriva alle
lezioni americane, le Haskell
Lectures sui riti d’iniziazione di Mircea Eliade, passando attraverso i
monologhi erratici di Antonin Artaud sulla sua esperienza d’iniziazione con
l’allucinogeno peyotl (Ciguri) nel
paese dei Tarahumara sulla Sierra Madre (Messico).
Nel primo capitolo “Il pulcino addormentato sulla scarpa”,
Trevi prende in esame quattro testi iniziatici fondamentali nei quali gli
autori sono stati prescelti (quindi sono stati accolti nella comunità e dotati
di fiducia) per ricevere e conservare la saggezza e le tradizioni di un antico popolo.
Partendo dalla domanda dello sciamano Ogotemmeli nel Dio d’acqua di Griaule “Come insegnare a un bianco?”, Trevi pone il
primo tassello del suo percorso concettuale: la differenza tra sapere
tradizionale e sapere moderno, tra storie, miti, parabole, simboli,archetipi, riti
e ragionamenti e contenuti astratti, tra saggezza (che è il sapere congiunto
indissolubilmente all’esperienza) ed erudizione. La risposta alla domanda di
Ogotemmeli la troviamo in ciò che dice don Juan in Gli insegnamenti di don Juan di Castaneda: “L’uomo si avvia verso
il sapere come se andasse in guerra”, il che vuol dire che per trasmettere
sapienza è necessario che un autore, nell’acquisire insegnamenti, compia a sua
volta un’esperienza e che questa esperienza diventi in qualche modo parte della
narrazione, cosicché da semplice testimone si trasformi egli stesso in personaggio
della narrazione.“Ma solo superficialmente questo criterio di orientamento
individuale può essere interpretato come un limite della credibilità del
racconto. In realtà, non esiste nessun altro criterio, nessun’altra forma
possibile di conoscenza, che quella che fa capo all’individuo.” Inoltre, è
necessario che l’autore si ponga di fronte alla conoscenza che sta per ricevere
e all’esperienza che sta per compiere con lo stupore e la meraviglia di un
bambino, che fuor di metafora significa con il minor numero di sovrastrutture
mentali possibile. Ciò echeggia nelle parole di Rasmussen, il quale,
nell’introduzione a Il lungo viaggio in
slitta, scrive: “La slitta è stato il mio primo vero giocattolo e con
quello ho portato a termine il grande compito della mia vita”. Il libro diventa
in questo modo “qualcosa che è accaduto, un’unica volta, all’autore” (Roberto
Bazlen), qualcosa che segna uno spartiacque tra un prima e un dopo, qualcosa di
assimilabile a un rito iniziatico.
Rito iniziatico che invece compie realmente Antonin
Artaud, nel suo viaggio di ascensione reale e metaforica della Sierra Madre
(Messico), viaggio che si conclude alla sommità del monte con il rito del
Ciguri. Nel secondo capitolo “…dall’altra parte delle cose” Artaud compie un
doppio passaggio attraverso lo specchio che separa il visibile dall’invisibile,
la vita dalla morte, la materia dallo spirito. L’ascensione della Sierra per
Artaud diventa di fatto una discesa agl’inferi di dantesca memoria, che passo
dopo passo lo costringe ad abbandonare per strada tutto quello che concerne la
sua precedente identità e a presentarsi nudo al momento finale del passaggio.
“Perché quel procedere nella malattia è un viaggio, una discesa, per uscire di
nuovo alla luce del giorno”. Dopo aver attraversato lo specchio, essersi
sentiti rivoltati e riversati dall’altra parte e aver guardato,dunque, il mondo
all’incontrario, come l’Orlando pazzo per amore, come l’Appeso diIl castello dei destini incrociati di Calvino,
il rito del peyotldiventa il momento
dell’illuminazione in cui, pur non riaggregandosi immediatamente la nuova
identità dell’iniziato, si focalizza il centro di gravità intorno al quale essa
prenderà forma. Tornato in Europa Artaud subirà anche la reclusione in un
ospedale psichiatrico e l’elettroshock, esperienze che in qualche modo lo
porteranno a rivedere i suoi scritti sul rito del Cigurie a evidenziare la
sostanziale differenza tra la frattura identitaria generata dal rito iniziatico
(esperienza di morte e rinascita all’insegna della luce e del senso) e quella
generata dall’elettroshock (esperienza di morte e rinascita all’insegna
dell’oscurità e del non senso).
Nell’ultimo capitolo del Viaggio, “Un’esistenza fallita”, Trevi prende in esame l’enorme
patrimonio di erudizione costituito dalle lezioni americane, le Haskell Lectures, di Mircea Eliade sui
simboli e riti d’iniziazione delle società primitive o tradizionali. Questi
riti sono quasi sempre praticati su adolescenti che vengono costretti ad
abbandonare il recinto (eden) delle
loro certezze, delle loro abitudini, ad abbandonare tutte le “madri” e il
consesso umano, per addentrarsi nella solitudine della natura e sperimentare il
senso del tremendum, del sacro.
“L'adolescente iniziato comincia con l'essere terrorizzato da una realtà soprannaturale,
di cui sperimenta per la prima volta la potenza, l'autonomia,
l'incommensurabilità; in seguito all'incontro con il terrore divino, il neofita
muore: muore all'infanzia, cioè all'ignoranza e all'irresponsabilità. Subentra
un nuovo modo d'essere, il modo d'essere dell'adulto: caratterizzato dalla
rivelazione, quasi simultanea, del sacro, della morte e della sessualità. Al
termine del processo rituale, si potrà definire l'iniziato come colui che
sa.". Le lezioni di Mircea Eliade rappresentano in pieno il paradosso
dell’uomo moderno che ha accumulato un’enorme quantità di conoscenze riguardo a
ogni forma di religiosità, ma per il quale “la quantità del sapere appare
direttamente proporzionale a un processo (forse irreversibile) di svuotamento”.
Il filo rosso del ragionamento che Trevi ha srotolato ora
ritorna al punto di partenza e viene riannodatoisolando il concetto che permea
di fatto tutta la sua narrazione: il viaggio iniziatico, con la sua morte e
rinascita simboliche, sia esso moto orizzontale nello spazio e nel tempo
delle civiltà tradizionali e antiche o moto verticale nella profondità
dell'essere, o entrambe le cose, oggi non appartiene più alla dimensione
collettiva e rituale del sacro e del divino, ma appartiene invece unicamente
alla dimensione individuale e psicologica della ricerca di se stessi attuata e
attuabile in special modo attraverso una “certa letteratura”. "La
modernità è il tempo storico nel quale la letteratura si carica sulle spalle le
esigenze più profonde del vecchio homo
religiosus. Sottraendole, però, a quella dimensione collettiva, fondata su
valori e credenze condivise, che è la condizione stessa dell'esperienza
religiosa, alla quale, in fondo, non sfuggono nemmeno le esplorazioni più
ardite dei mistici e le ribellioni degli eretici. Il terreno sul quale si muove
lo scrittore moderno, al contrario, è fondato sulla più irrimediabilmente
solitudine. (...) nascere un'altra volta, a costo di scuotere tutte le
fondamenta dell'identità, di mandare in frantumi le abitudini, i significati,
le protezioni che ci sostengono. Perché la vita è un fallimento. E se volessimo
formulare una definizione sintetica della letteratura moderna, ebbene dovremmo
ammettere che essa, nella strabiliante varietà delle sue forme e delle sue
invenzioni, è una grandiosa, enciclopedica, inesauribile scienza del fallimento
della vita umana.".
Il concetto di fallimento non è in questo caso da
intendersi in senso nichilista. Con esso l’autorevuole evidenziare il fatto che
le esperienze della vita umana contengono irrimediabilmente imperfezione,
inganno, caduta, errore e di conseguenza dolore che non possono e non devono essere
evitati e che vanno accettati e interiorizzati per permettere all’individuo di
compiere il proprio cammino in modo consapevole, altrimenti lo condurrebbero
solo alla crescente alienazione ed estraniamento da sé e dal mondo. "Un'esistenza
che, prima o poi, si rivela fallita. E, preso atto della mancanza di
significato che invade lo spazio aperto da questo fallimento, tenta o immagina
periodicamente di rinnovarsi, di accedere alle possibilità offerte da una
seconda nascita, da una nascita mistica.".
Prendiamo un uomo e la fiamma viva di un fuoco. Se
quest'uomo, per sbaglio o per volontà, mettesse una delle sue mani su quella
fiamma, proverebbe un dolore subitaneo e intenso che lo indurrebbe a
distogliere la mano per non ridurla in cenere. Quel dolore è l'unica difesa che
l'uomo ha per non bruciarsi e il suo ricordo il modo per non commettere di
nuovo quell'errore. Lo stesso vale per qualsiasi dolore: risveglia la coscienza
e incide nella memoria la cicatrice dell'esperienza fallimentare; ma se quel
dolore fosse vissuto come qualcosa di estraneo e non venisse interiorizzato in
alcun modo, rimarrebbe vano e quasi certamente verrebbe ripetuto. Allora,
forse, è proprio il dolore, anche il dolore totalmente esogeno che non ci
procuriamo con i nostri comportamenti, che, una volta interiorizzato, può
salvarci dall’autodistruzione innescando anche una rinascita più o meno
significativa.
Naturalmente la letteratura del viaggio reale o metaforico
(e non solo quella) ha sempre svolto questo ruolo di rottura e illuminazione
(si pensi solamente all’Odissea di
Omero o alla Divina Commedia di Dante
– che però contenevano comunque la dimensione del divino -, ma anche al laico Don Chisciotte di Cervantes). Quel che
avviene con l’avvento della modernità, con il progressivo accantonamento della
dimensione del sacro, lo svuotamento di significato della sua ritualità e,
infine, con la secolarizzazione del sapere, è che una “certa letteratura”rimane
pressoché l’ultimo e l’unico strumento alla portata di tutti (almeno di tutti i
lettori) per tentare il disvelamento dell’Essere e per compiere la propria
medesima iniziazione alla vita, poiché “la persuasione che la vita ha uno scopo
è radicata in ogni fibra dell’uomo, è proprietà della sostanza umana.” (Primo
Levi, Se questo è un uomo).
La letteratura moderna però, rispetto alla religione e
alla letteratura precedente, non offre affatto una visione d’insieme ordinata,
coerente e consolatoria, si limita al massimo a inchiodare un atomo nel caos
del cosmo, a far brillare una scheggia di verità nel buio dell’ignoranza, ad
alleviare in parte e per un istante il senso di solitudine e smarrimento dell’individuo.“Ma è bene se la coscienza
riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile a ogni morso.
Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il
libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve
leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo
anche se non avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo
eventualmente scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di
noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che era più
caro di noi stessi, come se fossimo respinti dai boschi, via da tutti gli
uomini, come un suicidio, un libro deve essere la scure per il mare gelato
dentro di noi. Questo credo.” (Franz Kafka, lettera a Oskar Pollak del
27.I.1904)
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