Tutto è eccesso. Max Fontana
stesso, il protagonista de “Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler”,
non ha scrupoli a porsi al di là del culturalmente consentito; ma eccedere e
dunque provocare non risulta così semplice, quando tutto sembra essere stato
fatto, detto, scritto. Allora, anche programmare un suicidio dalla Tour Eiffel
non darà fama e originalità a Max, artista fallito, rassegnato all’anonimato e
al non-riconoscimento dalla cultura “ufficiale” e da una madre quasi ostile
alla sua stessa esistenza. Diventare artista (e famoso) si può, se ti trovi al
posto giusto nel momento giusto, e se sai approfittarne. Max Fontana, al Musée
d’Orsay, davanti al dipinto di Coubert L’origine
del mondosi sbottona i pantaloni e si masturba sino ad eiaculare sulla
tela. Il suo gesto clamoroso attira ogni media: Max Fontana, da artista fallito,è
ora il più grande artista del mondo.
Dopo Adolf Hitler. Max Fontana non è nazista, ma nelle sue riflessioni
sull’arte e sull’Artista, si dipana per tutto il romanzo, l’eterno confronto
con il Führer, visto come Autore della più estrema installazione di sempre: i campi di concentramento. “In ogni caso, come dittatore Hitler è un
criminale dell’umanità, ma come artista è il più grande artista dell’umanità.
Nessun artista è riuscito a fare cinquanta milioni di morti. Hermann Nitsch ha
ucciso qualche mucca, forse. Damien Hirst ha messo sotto formalina squali e capre
e mucche, ma uccisi da altri, non ha avuto neppure il coraggio di uccidersele
lui le sue opere d’arte. Hitler, tra guerra e lager, ha mandato a morire
cinquanta milioni di persone.
Non so se mi spiego: grazie a Hitler, a causa sua, cinquanta milioni di
persone sono morte”, riflette Max Fontana, a poche pagine dalla fine del
libro.
Per essere il più grande del
mondo, non ci si può conformare alla società nella quale si ha la sfortuna di
vivere; per Max Fontana basta vivere la sua vita da normale sociopatico, da
provocatore suo malgrado. Il romanzo di Parente, infatti, è una satira precisa
del mondo dello spettacolo che coincide troppo pericolosamente col nostro
mondo. Le superficialità di Max Fontana sono le superficialità del mondo dello
spettacolo, dell’arte, degli intellettuali di professione, dei cittadini/spettatori
per cui tutto è giostra di sensazioni preconfezionati. Tutto diventa di facile
consumo, e per l’artista Fontana basta giocare come bambino col suo immaginario
pop per usare il simbolo della svastica, o la
figura stessa del Führer, immagine e nome stesso ormai tabù nella
società massificata. Per Fontana Hitler non è un Mito o un modello da
eguagliare, ma solo simbolo pop, appunto, svuotato del suo significato
originario. Più che Hitler, il Tabù di Hitler.Dunque ecco che la prima parte
del romanzo ci illustra, in prima persona, la nascita e lo sviluppo di una vita
artistica particolare più di altre.
Al fine di non togliervi il
gusto della lettura, eviterò di rivelare alcuni momenti dell’intreccio. Max
Fontana, ad un certo punto, sparisce, ma ritorna nella terza parte del romanzo,
più invisibile, etereo ma allo stesso tempo piùpresente più che mai. L’ultima
parte del romanzo abbandona la forte ironia iniziale e si inoltra nella malinconia,
nella rassegnazione a far parte di un campo di concentramento più grande,
terribile e spietato che è l’Universo stesso: "Mi è sembrato tutto chiarissimo, almeno in quell'istante era
tutto così lampante, ecco, sì, lampante. Ho pensato alla finzione di una
puttana, alla finzione di Doctor House, alla finzione della religione, a tutte
le finzioni del mondo per ingannarci, e è pazzesco quanto basti poco perché gli
eventi precipitino e la vita diventi simile a un film, come quando Louise spara
all'uomo che stava per violentare Thelma e la loro vita cambia così,
irreversibilmente, come quando rompi un uovo e non puoi più rimetterlo nel
guscio: è l'entropia, è il caos verso cui precipita tutto l'universo, non c'è
soluzione. Forse è per questo che Duchamp diceva: "Non ci sono problemi
perché non esistono soluzioni". L'universo è già la Soluzione Finale a
qualsiasi cosa".
Il nuovo romanzo di
Massimiliano di Parente abbandona il linguaggio dal periodare complesso e
ricercato de “La macinatrice” (2005) e di quel capolavoro che è “Contronatura”
(2008), le due parti di una trilogia conclusasi nel 2012 con “L’inumano”, in
cui il periodare ritornava già a semplificarsi – a semplificarsi, non a
rendersi superficiale.
Con Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, Parente trova la
forma perfetta in uno stile di scrittura di totale leggerezza, capace di tenere
desta l’attenzione del lettore per quasi quattrocento pagine.
Lo stile di Parente e a dir la
verità anche la psicologia del suo protagonista, sembra richiamare molto il
mondo di Bret Easton Ellis, autore non solo di “American Psycho”, ma anche del
“Glamorama” da cui questo romanzo sembra dovergli molto.
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