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lunedì 27 gennaio 2014

DIEGO FUSARO e ALDO GIANNULI: E se Tsipras fosse l'ennesimo bluff della neosinistra?



DIEGO FUSARO

Recentemente, in un’intervista pubblicata su un giornale greco, l’editorialista di Repubblica Barbara Spinelli ha preso posizione a favore della candidatura del leader di Syriza, Tsipras, a presidente della Commissione Europea. La Spinelli si augura la nascita di una lista di sostegno in Italia: “Non dovrebbe essere – ha detto – una coalizione dei vecchi partiti della sinistra radicale ma qualcosa per scuotere la coscienza della società con l’obiettivo di unire tutte le forze colpite dalla crisi”. Per un’altra Europa, contro l’austerity e i nuovi nazionalismi.

Le intenzioni sono buone, la via proposta è pessima. Quel che né la Spinelli né Tsipras mettono in luce è che l’Europa federale dei popoli fratelli e democratici non è possibile se non uscendo dall’odierno lager eurocratico. Riformarlo in corso d’opera non è possibile. Ciò che sembra sfuggire tanto alla Spinelli quanto a Tsipras è che solo uscendo dall’euro e dall’odierno incubo si può perseguire il sogno desto di un’altra Europa, ossia, appunto, l’Europa dei popoli fratelli e degli Stati democratici sovrani. Tutto il resto è chiacchiera politicamente corretta di sinistra. In poche parole, la Spinelli e Tsipras vogliono democrazia, giustizia sociale e libertà dei popoli e, insieme, vogliono mantenere ciò che le rende impossibili, appunto l’odierno dispositivo eurocratico.

Come giustamente ha rilevato Alberto Bagnai, la funzione della moneta unica non è servire i popoli, ma asservirli, rinsaldando il potere dell’oligarchia finanziaria e del grande capitale europeo, cifra macabra di un’Europa finanziaria in cui i popoli e le nazioni non contano più nulla né come soggetto politico, né come soggetto sociale. Se non si abbandona la dittatura della moneta unica, se non si riconquista la sovranità democratica dei popoli e delle nazioni, ogni tentativo di perseguimento della giustizia sociale è inevitabilmente votato allo scacco.

Il progetto eurocratico si rivela organico alla dinamica post-1989 a) di destrutturazione degli Stati nazionali come centri politici autonomi (con annesso disciplinamento dell’economico da parte del politico) e b) di “spoliticizzazione” (Carl Schmitt) integrale dell’economia, trasfigurata in nuovo Assoluto. Dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), la creazione del regime eurocratico ha provveduto a esautorare l’egemonia del politico, aprendo la strada all’irresistibile ciclo delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione forzata del lavoro e della riduzione sempre più netta dei diritti sociali. Spinelli e Tsipras vorrebbero rimuovere gli effetti lasciando però le cause. Il che, evidentemente, non è possibile.

Finché si permane sul terreno dell’odierna Europa spoliticizzata, non v’è spazio per manovre contro l’austerità e in difesa dei popoli oggi oppressi. Finché non si rimuove la causa dell’ingiustizia, non è possibile sopprimere neppure i suoi effetti. Quando lo capiranno la Spinelli e Tsipras? Quando capiranno che l’Europa dell’euro e del primato assoluto della finanza è esattamente ciò che impedisce e sempre impedirà la realizzazione dell’unione pacifica dei popoli, rispettosi delle differenze e delle tradizioni, delle lingue e delle culture, del valore assoluto degli individui inseriti nelle loro comunità di appartenenza? Quando capiranno quello che già a suo tempo aveva capito Ernst Bloch (cfr. Eredità del nostro tempo), ossia il fatto che l’idea di nazione e di sovranità non è di destra (forse che le grandi rivoluzioni comuniste non sono sorte nel Novecento da questioni nazionali?), ma lo diventa quando la sinistra la abbandona alle destre stesse?


ALDO GIANNULI
Come si sa, un gruppo di intellettuali (Camilleri, Spinelli, Flores D’Arcais, Gallino, Revelli, Viale) ha proposto di dar vita ad una lista in appoggio alla candidatura di Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea ed ispirata all’esperienza unitaria della sinistra greca espressa dalla lista di Siriza. L’appello propone un impegno per un’Europa diversa che, pur mantenendo la moneta unica, respinga le politiche di austerità ed il fiscal compact perché: “È nostra convinzione che l’Europa debba restare l’orizzonte, perché gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista, impoverirsi sempre più.”
Si propone un  “piano Marshall dell’Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento e (che) colmi il divario tra l’Europa che ce la fa e l’Europa che non ce la fa”. Inoltre si propone che l’Europa divenga unione politica dandosi una Costituzione scritta dal suo Parlamento in sede costituente. Si chiede cha la Bce abbia poteri simili a quelli della Fed (essenzialmente di emettere liquidità a discrezione e comperare titoli di debito dei paesi membri).
Per questo si auspica di “rimettere in questione due patti-capestro. Primo, il fiscal compact e il patto di complicità che lega il nostro sistema politico cleptocratico alle domande dei mercati”.
A questi fini si propone di dar vita ad “una lista promossa da movimenti e personalità della società civile, autonoma dagli apparati partitici, che candidi persone, anche con appartenenze partitiche, che non abbiano avuto incarichi elettivi e responsabilità di rilievo nell’ultimo decennio, che sostiene Tsipras ma non fa parte del Partito della Sinistra Europea che lo ha espresso come candidato”.
Devo dire che la proposta ha molti aspetti condivisibili: l’aperta collocazione di sinistra, il sostegno dato al leader della sinistra greca dopo il vergognoso isolamento in cui è stata lasciata la Grecia di fronte all’aggressione della “troika”, l’invito a superare la frammentazione della sinistra, il richiamo alla lotta in difesa dell’ambiente e contro la Mafia. Ed ho anche apprezzato il richiamo ai centri sociali riconosciuti come soggetto politico con cui dialogare. Dunque, non mancano i motivi che ispirano simpatia. Detto questo, è il caso di fare qualche rilievo critico.
In primo luogo non convince affatto l’impostazione politica che riprende l’abusata litania europeista, per cui è impensabile il ritorno alla sovranità monetaria nazionale perché “gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista”. E infatti, tutto il resto del Mondo (dagli Usa alla Cina, dal Brasile all’Inghilterra, dal Sudafrica al Giappone, dal Vietnam al Canada) ha monete nazionali e l’Europa è l’unica ad avere una moneta sovranazionale.
Perché un autorevole sociologo come Gallino, che ha scritto libri molto importanti sulla crisi in atto, sottoscrive una sciocchezza del genere? Si può preferire una moneta come l’Euro ad una moneta nazionale, ma non si può ragionare come se la moneta sovranazionale fosse la norma e quelle nazionali l’eccezione, quando la realtà concreta è esattamente l’opposto.
Veniamo al sodo: le prossime elezioni europee saranno un referendum su questa Europa e sulla sua moneta, ripeto: su “questa Europa”, non su un ideale astratto di unità europea che potremmo anche condividere, ma che non è il tema all’ordine del giorno. La proposta parla di cose che non stanno né in cielo né in terra (Piano Marshall per l’Europa debole, Unione politica, Assemblea Costituente…) ed, in nome di questi sogni, chiama a non rimettere in discussione QUESTA Europa. L’Euro non è una qualsiasi moneta che può essere utilizzata per politiche economiche differenti. E’ una precisa operazione politica funzionale a certi rapporti di forza ed a determinate politiche economiche, e non è piegabile a piacimento: se vuoi l’Euro ti devi tenere le politiche di austerità, il fiscal compact, il veto berlinese alla Bce, e tutto il resto.
Torneremo a parlarne presto su questo blog. Unione politica di Europa, Assemblea Costituente ecc? Ma di che state parlando, della Luna? Oggi non ci sono neppure le più lontane premesse di tutto questo ed i motivi per cui in sessanta anni (dico sessanta) l’unione politica non si è fatta sono ancora tutti presenti ed, anzi, sono aumentati. O pensate che domani Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Spagna ecc. siano disposte a sciogliere i propri stati nazionali per confluire gioiosamente in uno stato comune europeo? Dove si vede questo film?
Dunque, tutto questo è fumo e la scelta è tenersi la Ue e l’Euro così come sono o bocciarli, trovare una via d’uscita. Il resto è fumo negli occhi. La stessa fumosa astrattezza la trovo nella proposta di lista “della società civile” disposta ad ospitare partiti ed organizzazioni esistenti, ma con candidati scelti dal comitato dei saggi, che non si candideranno in prima persona. Anche qui, basta con i sogni e siamo concreti:
a- per presentare la lista occorrono 30.000 firme per ciascuna circoscrizione, e di queste almeno 3.000 devono essere iscritti in ciascuna regione della circoscrizione (e vi voglio a raccoglierle in Val d’Aosta, pena l’esclusione della lista nell’Italia nord ovest). Dunque, occorre avere un’ organizzazione capillarmente presente in ogni regione. C’è già una rete del genere che prescinda dai pur piccoli partitini della sinistra radicale?
b- Poi occorre preparare le candidature e corredarle con la documentazione necessaria;
c- Poi bisogna fare la campagna elettorale e far conoscere un simbolo ed una sigla nuovi nel giro di una manciata di settimane;
d- Infine, occorre raccogliere il 4% per entrare nel Parlamento Europeo;
Vale la pena di ricordare che siamo al 23 gennaio, si vota esattamente fra 4 mesi e 4 giorni ed ancora non sappiamo se ci sarà questa lista e che simbolo avrà, poi occorrerà scegliere i candidati, raccogliere le firme, fare la campagna elettorale. Sapete come andrà a finire? Con l’ennesima riedizione di Rivoluzione Civile, sinistra Arcobaleno, Nuova sinistra Unita… Un film visto troppe volte. I partitini, in ragione della loro presenza territoriale, si imporranno e faranno le liste a modo loro (ed il limite del non aver rivestito cariche istituzionali negli ultimi 10 anni, sempre che sia rispettato, produrrà al massimo che non candiderete il segretario del tale partitino, ma la fidanzata, l’amico del cuore o il portaborse). Verranno fuori liste indecenti, come fu l’anno scorso, ci sarà pochissimo tempo per far conoscere il nuovo simbolo (a meno che non pensiate che basti il richiamo al magico nome di Tsipras per fare il miracolo) e, manco a dirlo, l’obbiettivo sarà bucato per l’ennesima volta. Abbiamo già dato.
Questa operazione politica ha due punti deboli che la condannano sin d’ora: nasce troppo tardi ed è politicamente non significativa, perché non coglie il punto di fondo: mettere fine all’esperienza fallimentare dell’Euro. Per di più siamo in un momento di forte polarizzazione anche maggiore dell’anno scorso. A fine dicembre 2012 scrissi che lo spazio della “sinistra di sistema” era occupato dal Pd, quello dell’opposizione antisistema dal M5s e non c’era spazio intermedio. Mi pare di aver avuto ragione: Sel è andata sotto il 4 e se l’è cavata solo perché era sotto l’ombrello del Pd, Rivoluzione civile è impietosamente affondata. Ora le cose stanno messe anche peggio, sia perché al governo c’è il Pd, sia per la questione della legge elettorale: lo scontro si è radicalizzato, Sel si sta frantumando, e la cosa si pone come una conta diretta fra Pd e M5s, per gli altri c’è meno spazio di un anno fa.
Non è che in assoluto non ci sia spazio per un partito di sinistra classista in questo paese, soprattutto con la crisi che infuria, ma queste cose non si fanno in quattro e quatt’otto, come se fossero una pizza capricciosa.  Oggi, se proprio vogliamo, dovremmo stare preparando le liste per le amministrative del 2015 ed il tempo sarebbe già scarso. Per le europee i giochi sono già fatti.
Per cui, auguri compagni ed amici, vi auguro il migliore successo possibile, ma, stanti così le cose, io non ci credo.

domenica 5 gennaio 2014

ALEXIS TSIPRAS: Ecco cosa vuole l'Europa!


Anticipazione della prefazione di Tsipras al volume di Slavoj Žižek e Srećko Horvat, “Cosa vuole l’Europa?” (Edizioni Ombre Corte), in libreria dal 10 Gennaio.
La figura di Alexis Tsipras sta suscitando grande curiosità tra i commentatori italiani, come testimoniato dal noto endorsement di Barbara Spinelli, di Toni Negri, ma anche da questo recente messaggio di Giulietto Chiesa. Vi sono però anche forti dubbi, come quelli manifestati da Leonardo Mazzei. Vedremo quale consenso aggregherà la figura del politico greco, e, soprattutto, con quali risultati, ma intanto leggiamo le sue parole...
La distruzione della Grecia: un modello europeo
Dalla metà degli anni Novanta, e per quasi tutto il decennio del 2000, la Grecia era in piena crescita. Questa espansione economica aveva due caratteristiche principali: un gigantesco aumento dei profitti non tassabili per i ricchi, un sovraindebitamento e un aumento della disoccupazione per i poveri. Il denaro pubblico è stato depredato in molti modi diversi, e il sistema economico si è limitato essenzialmente a favorire il consumo di beni importati dai paesi europei ricchi. Il modello “denaro a buon mercato, manodopera a basso costo” è stato presentato dalle agenzie di rating come un esempio da seguire per ogni economia emergente dinamica.
Ma la crisi del 2008 ha cambiato tutto. Le banche, dopo le loro scommesse speculative, si sono trovate pericolosamente indebitate, e hanno potuto salvarsi solo grazie al denaro pubblico; ma è sulle loro società che gli Stati hanno poi scaricato il peso del salvataggio di queste banche. Il distorto modello di sviluppo della Grecia è crollato e il paese, non potendo più chiedere prestiti sul mercato, si è trovato a dipendere dai prestiti del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea, accompagnati da misure draconiane.
Tale programma, che i governi greci hanno adottato senza battere ciglio, è composto di due parti: quella della “stabilizzazione” e quella delle “riforme”. Termini la cui connotazione positiva è destinata a mascherare la catastrofe sociale che essi producono. Così, la parte della “stabilizzazione” prevede una fiscalità indiretta devastante, tagli alla spesa pubblica senza precedenti, smantellamento dello stato sociale, in particolare nel campo della sanità, dell’istruzione e della sicurezza sociale, così come numerose privatizzazioni, comprese quelle di beni pubblici di base come l’acqua e l’energia. La parte delle “riforme”, invece, invoca la liberalizzazione dei licenziamenti, l’eliminazione dei contratti collettivi, la creazione di “zone economiche speciali” e, in generale, l’istituzione di regolamenti che dovrebbero permettere a potenti interessi economici di investire in Grecia in modo propriamente coloniale, degno del Sud Sudan. Tutto questo è solo una piccola parte di ciò che prevede il “memorandum” greco, vale a dire l’accordo firmato dalla Grecia con il Fondo monetario internazionale, l’Unione europea e la Banca centrale europea.
Queste misure avrebbero dovuto aprire la strada a un’uscita dalla crisi. Il rigoroso programma di “stabilizzazione” doveva condurre a un avanzo di bilancio – consentendo alla Grecia non solo di non aver bisogno di chiedere prestiti, ma anche di ripagare il proprio debito pubblico; mentre le “riforme” dovevano permettere di riconquistare la fiducia dei mercati che, vedendo smantellato lo stato sociale e il mercato del lavoro riempito di lavoratori a basso costo, disperati e senza protezione, si sarebbero precipitati a investire i loro capitali in Grecia. Così si sarebbe determinata una nuova “crescita” – quella che non esiste da nessuna parte, se non nei libri sacri e nelle menti più perverse del neoliberismo globale.
Questo programma doveva essere applicato in modo rapido e immediato, per permettere alla Grecia di ritrovare velocemente la strada della crescita. Ma tre anni dopo la firma del memorandum, la situazione va di male in peggio. L’economia sprofonda nella crisi e, naturalmente, le tasse non vengono pagate – semplicemente perché le persone non hanno i soldi per farlo. I tagli di spesa hanno raggiunto il cuore stesso della coesione sociale, creando le condizioni per una vera e propria crisi umanitaria. Per essere chiari, stiamo parlando di persone che rovistano tra i rifiuti per mangiare e che dormono sui marciapiedi, di pensionati che non possono nemmeno comprare il pane, di famiglie senza elettricità, di pazienti che non hanno accesso né ai farmaci né alle cure. E tutto questo, all’interno dell’eurozona.
Gli investitori, evidentemente, non si sono visti, dal momento che un “default disordinato” del paese rimane ancora possibile. E gli autori di questo memorandum, di fronte a ogni tragico fallimento, tornano a imporre sempre più tasse e tagli alle spese. L’economia greca è entrata in un circolo vizioso di recessione incontrollata, che non porta a nulla se non al completo disastro.
Il piano di “salvataggio” greco (un altro bel termine per descrivere la devastazione in corso) ignora un principio fondamentale: l’economia è come una mucca. Si nutre di erba e produce latte. È impossibile ridurre la sua razione d’erba di tre quarti e pretendere che produca quattro volte più latte. Essa ne morirebbe, semplicemente. E questo è esattamente ciò che accade oggi all’economia greca.
La sinistra in Grecia ha capito fin dall’inizio che l’austerità avrebbe peggiorato la crisi, invece di curarla. Quando qualcuno sta annegando, gli si lancia un salvagente, non dei pesi. Quanto ai talebani del neoliberismo, insistono nel dire, ancora oggi, che tutto andrà bene. Mentono, e lo sanno – tranne i più stupidi di loro, naturalmente. Ma non si tratta di stupidità o di dogmatismo. Alti dirigenti dello stesso fmi hanno parlato di “errore” nel concepimento del programma di rigore greco: non può portare da nessuna parte, dal momento che la recessione che esso genera è semplicemente incontrollabile. Eppure si continua ad applicare quel programma con una tenacia e una caparbietà che non ha precedenti, e si inasprisce sempre di più. È dunque d’altro che si tratta.
La realtà è che la crisi dell’economia greca non è ciò che interessa all’Europa, né al fmi. Il loro obiettivo principale è di fare del programma imposto alla Grecia il modello da seguire per tutte le economie europee in crisi. Questo programma mette definitivamente fine a ciò che, nell’Europa del dopo guerra, era conosciuto come “contratto sociale”. Non importa se la Grecia alla fine fallisce e sprofonda nella miseria. Ciò che conta è che, in un paese della zona euro, ora si discuta apertamente di salari alla cinese, di abolizione del diritto del lavoro, di dissoluzione della sicurezza sociale e dello stato sociale, e di completa privatizzazione dei beni pubblici. Con il pretesto di combattere la crisi, il sogno neoliberista delle menti più perverse – che, dopo gli anni Novanta, ha dovuto affrontare una forte resistenza da parte delle società europee – diventa finalmente realtà.
La Grecia, comunque, è solo il primo passo. Già la crisi del debito si è estesa ad altri paesi dell’Europa meridionale e penetra sempre più in profondità nel cuore dell’Ue. Ecco dunque cosa significa il grande esempio greco: l’unica cosa di cui sono capaci coloro che fanno fronte agli attacchi speculativi dei mercati è di distruggere completamente ogni traccia dello stato sociale, come è oggi il caso della Grecia. In Spagna e in Portogallo, i rispettivi memorandum già stanno promuovendo cambiamenti di questo tipo. Ma è nel “Trattato europeo di stabilità”, che la Germania vorrebbe vedere applicato all’intera Ue, che questa strategia si rivela in tutta la sua portata: gli Stati membri non sono più liberi di scegliere la loro politica economica, le principali istituzioni dell’Unione hanno ora il diritto di intervenire nelle scelte di bilancio e di imporre drastiche misure fiscali per ridurre i deficit pubblici. Tanto peggio per le scuole, gli asili, le università, gli ospedali pubblici, i programmi sociali. E se i popoli usano la democrazia come uno scudo contro l’austerità, come recentemente in Italia, tanto peggio per la stessa democrazia.
Cerchiamo di essere chiari. Questo modello europeo generalizzato non è il salvataggio della Grecia, ma la sua distruzione. Il futuro europeo, fatto di banchieri felici e di società infelici, è già programmato. In questo modello di sviluppo, il capitale è il cavaliere e le società il cavallo. Si tratta di un progetto ambizioso – ma che non andrà molto lontano, perché nessun progetto può essere realizzato senza il consenso della società e le garanzie per i più deboli. Questo, l’attuale classe dirigente europea sembra averlo dimenticato. Essa tuttavia vi si scontrerà prima di quanto non pensi.
La fine del “capitalismo neoliberale reale” – vale a dire del capitalismo più aggressivo che abbia mai conosciuto l’umanità, e che trionfa da due decenni – è già iniziata. Dopo il naufragio di Lehman Brothers, due strategie opposte di uscita dalla crisi offrono due approcci diversi all’economia globale: la strategia dell’espansione finanziaria, dell’aumento della massa monetaria, della nazionalizzazione delle banche e dell’aumento delle tasse ai ricchi; e quella dell’austerità, del trasferimento del peso del debito bancario agli Stati – e sulle spalle delle classi medie e popolari, sovratassate per consentire ai più ricchi di eludere il fisco. I leader europei hanno scelto la seconda strategia, ma sono già di fronte ai vicoli ciechi ai quali essa conduce, e al conflitto storico che essa provoca in Europa. Questo scontro assume una parvenza geografica – Nord contro Sud – ma è fondamentalmente uno scontro di classe, che si riferisce alle due strategie opposte sopra descritte. La seconda strategia, infatti, difende il dominio assoluto, incondizionato, del capitale, senza preoccuparsi della coesione e del benessere sociale; la prima difende l’Europa della democrazia e dei bisogni sociali. Lo scontro è già iniziato.
Di fronte alla crisi, vi è dunque un’alternativa: le società europee devono proteggersi contro la speculazione del capitale finanziario, l’economia reale deve emanciparsi dall’imperativo del profitto, il monetarismo e la politica fiscale autoritaria debbono finire, la crescita deve essere ripensata secondo il criterio dall’interesse sociale, va inventato un nuovo modello di produzione basato su un lavoro dignitoso, sull’espansione dei beni pubblici e sulla protezione dell’ambiente. Questa prospettiva, ovviamente, non è all’ordine del giorno delle discussioni dei leader europei. Spetta ai popoli, ai lavoratori europei, ai movimenti degli “indignati” imprimere il loro marchio al corso della storia, e impedire il saccheggio e la distruzione su larga scala.
L’esperienza degli anni precedenti porta alla seguente conclusione: c’è un’etica della politica, e un’etica dell’economia. Dopo il 1989, l’etica dell’economia ha cominciato a dominare l’etica della politica e della democrazia. Tutto ciò che era nell’interesse di due, cinque, dieci gruppi economici potenti è stato considerato come legittimo, anche se si dimostrava contrario ai più elementari diritti umani. Oggi, il nostro dovere è di ripristinare l’egemonia dei principi etici politici e sociali, contro la logica del profitto.
Come ci arriveremo? Grazie alla dinamica delle lotte sociali. In primo luogo, spezzando una volta per tutte le catene della passività sociale sulle quali si è fondata la costruzione europea dopo il 1989. Il coinvolgimento attivo delle masse in politica è proprio ciò che temono le élite al potere in Europa e nel resto del mondo. Facciamo in modo allora che le loro paure diventino realtà.
La direzione scelta dagli ambienti economici dominanti è chiara; elaboriamo dunque il nostro orientamento politico e sociale. E difendiamolo con tutti i mezzi, sia a livello centrale sia a livello locale. Dai luoghi di lavoro, dalle università, dai quartieri, fino all’azione congiunta e coordinata in tutti i paesi europei. È una lotta di resistenza, che avrà successo solo se porterà a un programma alternativo per l’Europa. Oggi l’opposizione non è tra paesi in deficit e paesi in surplus, né tra popoli disciplinati e popoli ansiosi. L’opposizione è tra gli interessi delle società europee e l’esigenza del capitale di realizzare costantemente profitti.
Dobbiamo difendere l’interesse sociale europeo. In caso contrario, il futuro, per noi e per i nostri figli, si rivelerà infausto, incerto, e supererà tutte le nostre paure dei decenni precedenti. Il modello di sviluppo costruito sulla “libertà dei mercati” è fallito. Ora le forze dominanti attaccano la società, le sue conquiste e la sua coesione. Questo è ciò che sta accadendo in questo momento in Grecia, e questo è il piano voluto per il resto dell’Europa. Cerchiamo quindi di difenderci con tutti i mezzi necessari. E trasformiamo le resistenze sociali che continuano a emergere e a crescere in una occasione di solidarietà e di strategia collettiva per tutti i popoli d’Europa.
Il futuro non appartiene al neoliberismo, né ai banchieri, né a qualche dozzina di potenti multinazionali. Il futuro appartiene ai popoli e alle società. E il momento di aprire la strada a una Europa democratica, sociale e libera. Perché questa è l’unica soluzione sostenibile, realistica e realizzabile per uscire dalla crisi attuale