Un drumming che
eludeva le asperità dei tempi dispari non portando il tempo, smentendo il
compito primario di ogni batterista “rispettabile”… Questa voce che, durante i
’60, nelle prime band di Robert, prima dei Soft, inclinava ai contorcimenti di
un Van Morrison, preso a modello delle cover nei locali da ballo, voce acerba,
che Robert non ama riascoltare nei nastri. Una voce con cui non si identifica,
e che è sempre cambiata, dal momento in cui ha scritto lui stesso le canzoni;
il lavoro di Robert nelle cover resta ancora oggi appassionante e sentito, come
nella sua struggente versione di What A Wonderful World, dove predomina questa
voce malinconica, e anche gaia a tratti, dove il miscuglio tra i due sentimenti
è talmente forte da non poterli distinguere. Come ricorda Nietzsche nella Gaia
scienza, dove c’è un grande piacere c’è un grande dolore, e viceversa, non
potendo mai darsi la loro assoluta separazione. Una voce che, anche nelle
occasionali stonature live, nelle prime esecuzioni dei Soft Machine, è sempre
convincente e incisiva. "Mi piace sapere come suonano le note, come sono le
parole di una canzone e il modo più efficace per accostarvisi. È determinante
che io non aspiri a una performance di tipo attoriale (in an actor kind of way)" [...]
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