lunedì 22 settembre 2014

MANFREDI SCANAGATTA: Israele e Palestina. Una proposta.




Il problema è che ognuno di noi sente la necessità di schierarsi; non si riesce ad uscire dall'inganno della dicotomia; o si è buoni o si è cattivi e tendenzialmente la parte in cui tutti si sceglie di stare è sempre quella dei buoni.
Ecco che ci troviamo subito davanti ad un primo problema di ordine logico, se ambo le due parti si schierano dalla parte del bene, dov'è il male?
Uso termini semplici perché è nella semplicità che è necessario ritrovare l'origine del nostro pensare.
Il nuovo, violento, atroce, conflitto israelo-palestinese si sta giocando mediaticamente sulla creazione di due fronti, apertamente contrastanti, dove l'impossibilità del dialogo è il perno su cui si mantiene l'equilibrio dell'ignoranza.
Pensiamo davvero che si possa comprendere qualcosa della situazione che sta sconvolgendo la Palestina se prima non proviamo a comprendere cosa sia la Palestina? Vedere video di manifestanti israeliani che urlano cori inneggiando alla morte di tutti gli arabi mi fa capire come troppo spesso non si abbia idea della propria storia. Gli ebrei sono anche arabi, come gli arabi sono musulmani, cristiani e ortodossi.
Ma non ci sbagliamo, la natura di questo conflitto non è religiosa, lo so, è sorprendente.
1890 Nathan Birbaum conia il termine Sionismo, un movimento nazionalista che vuole il ritorno del popolo ebraico nella propria terra. La collina di Sion, nella Bibbia gli israeliti vengono spesso definiti figli di Sion. Nella Bibbia vengono spesso definiti, il conflitto non è religioso, ma una delle radici del problema si.
Chi appartiene a questa terra? No, la domanda è sbagliata, come posso pensare di trovare una risposta. Chi vive in questa terra? Ecco, meglio, chi vive in questa terra?
La tregua tra Hamas e Israele è fallita, l'Egitto, un tempo fiero sostenitore di tutte le questioni arabe sembra non voglia prendere una posizione, sembra dire, questo confine è mio, ma la terra è vostra.
La terra è vostra, non di palestinesi, non di israeliani, la terrà è di chi in quel momento su quella terra ci sta vivendo, lavorando, coltivando, costruendo. Non ci può essere altro metro per definire la proprietà di qualcosa.
Quanto sarebbe bello se si potesse davvero pensare la vita in questi termini, ma non si può, perché Hamas non riconosce lo stato di Israele, dunque non attribuisce agli israeliani il diritto di esistere.
Come se un essere umano possa realmente avere il diritto di riconoscere o permettere l'esistenza di un altro. L'essere è. Parmenide ci mette davanti all'inevitabilità della semplicità.
L'errore sta nel voler osservare questo conflitto senza ascoltare i richiami della storia.
Torniamo lì, dichiarazione di Balfour, anzi no, 1948, lo stato di Israele sorge lì dove dove gli ebrei hanno la loro più antica origine, è la terra Santa.
Lì dove Erode fece costruire una sinagoga sotto richiesta dell'impero romano per placare le rivolte della popolazione ebraica, un tempio che accogliesse la tomba di Abramo, Hibrahim, un profeta la cui vita si trova scritta nell'Antico Testamento e nel Corano, perché è in questa terra che le tre grandi religioni monoteiste trovano le proprie radici.
Ma tutto ciò è troppo difficile da raccontare, è molto più semplice usare delle categorie, creare delle curve da cui fare il tifo.
E allora continuiamo a Parlare di Gaza dimenticandoci che la Palestina esiste ed è uno stato riconosciuto dalle Nazioni Unite. Gaza è una prigione, da lì non si entra e non si esce. Gaza si bombarda mentre nel resto del territorio palestinese coloni ebrei continuano a costruire insediamenti illegali, continuano ad abbattere case e villaggi. Non è lo stato di Israele, non può farlo, con i suoi organi giuridici ha confermato che quelle terre appartengono ai palestinesi. È l'ignoranza che fa muovere i bulldozer ed è la fatica del riconoscere l'altro che permette la distruzione di pozzi, il controllo dell'acqua.
Levare l'acqua è levare la vita e su questo non ci possono essere obiezioni.
Continuiamo pure a dire che Israele ha bisogno di difendersi, che uno degli eserciti più armati e meglio addestrati del mondo abbia la possibilità di compiere atti inumani, mandare un sms per avvertire che entro pochi minuti la tua vita sarà completamente sconvolta da un bombardamento serrato su un mucchio di rovine. Hamas ha le mani sporche di sangue, ma non possiamo continuare a credere che la resistenza palestinese sia solo Hamas e che sia necessariamente islamizzata, è un popolo che non può e non deve accettare i soprusi di una forza che si presenta come colonialista.
C'è chi parla di genocidio, di pulizia etnica, di apartheid, tutti termini che si perdono nell'onda d'urto di un missile che colpisce una scuola; non ci servono, se non a creare sempre più serrate fazioni. Esseri umani stanno morendo. Io sto morendo, le vostre famiglie stanno morendo, mio sorella, mio padre sono già morti.
Non è una guerra, altrimenti ci sarebbero due eserciti, lo stato della Palestina non ha un esercito.
Rappresaglie, rancori, rapimenti, omicidi. La Palestina è in un costante stato d'assedio, se sei palestinese non sei proprietario della tua vita, non puoi autodeterminarti, se sei israeliano vivi nel terrore del terrorismo.
Il problema non risiede nell'esistenza di Israele, ogni popolo ha diritto ad uno stato, ma in chi non riconosce la possibilità a chiunque di vivere libero su un territorio dove ha la sua storia, le sue radici.
I muri, lunghi, alti resistenti; un sistema meraviglioso per preservare non la pace, non la sicurezza, ma solo l'ignoranza. Ostruire la vista, impedire di comprendere; ecco come si mantiene il controllo su un popolo: dandogli solo una voce da ascoltare.
Ma le voci sono tante e anche se non le si vuole sentire non le si può far tacere, così basta poco per scoprire che esistono realtà come Hagar, una scuola bilingue che ha sede a Be'er Sheva, in Israele, con classi miste di bambini ebrei e arabi, fondata da genitori che volevano dare ai propri figli la possibilità di conoscere “l'altro”; o organizzazioni come Parent Circle, composta da chi ha perso dei parenti in un conflitto che dura da sessantasei anni; c'è il fratello di chi è morto fuori da una discoteca a Telaviv in seguito ad un attentato suicida o la madre di chi non è riuscito a scappare da una bomba che arrivava dal cielo, uniti insieme nella follia della perdita. Nel loro ultimo comunicato sono stati chiari, non vogliono che l'organizzazione cresca, il sogno è che presto non debba più esistere.
Riportiamo il tutto nell'uno, abbattiamo i muri, abbandoniamo la strada del terrorismo, chiudiamo i check point, alziamo due bandiere. Un territorio, due popoli, due stati.

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