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venerdì 23 maggio 2014

ENRICO GALOPPINI: Cinque Stelle, ecco cosa fare dopo la vittoria.



Se c’è un obiettivo che un movimento politico “alternativo” dovrebbe perseguire sempre e comunque è quello della presa del potere.
In Italia sono decenni che nascono partitini di “estrema sinistra” e di “estrema destra” che a parole spaccano il mondo, ma poi – incapaci di attirare un consenso significativo -  si alleano regolarmente coi carrozzoni dei partiti maggiori della medesima area ideologica.
Non sono poi mancate proposte politiche che sembravano rappresentare “il nuovo che avanza” ma che, dopo un lusinghiero risultato, sono sparite nel giro di qualche anno (penso all’“Italia dei Valori”, letteralmente volatilizzatosi). Oppure movimenti che si sono sempre fatti vanto del fatto di starsene fuori dal “palazzo”, autoconvincendosi così della propria purezza mai messa al vaglio della prova dei fatti.
Ma stavolta non sembra la solita storia, perché il Movimento Cinque Stelle sta dicendo chiaramente di voler governare, e per giunta senza fare alleanze ed “inciuci”. Si ascolti per esempio l’ottavo minuto di quest’intervista di Enrico Mentana ad Alessandro Di Battista:https://www.youtube.com/watch?v=BEShWhuw4mw&
Di Battista ripete due volte: “Ci credo proprio che andiamo al governo!”
L’ha sparata grossa? Gliene si può fare una colpa? Lo si può accusare d’essere un illuso?
Solo chi non ha capito in quale grave situazione siamo può ancora pensare cose del genere.
Ma se un governo pentastellato sta nei destini di questa Nazione, mi permetto di ricordare ai futuri governanti che, al di là delle “tre cose che faremo subito” (reddito di cittadinanza, legge anticorruzione, legge sul conflitto d’interessi), ve ne sono altre, molto più urgenti ed importanti, per rimettere, come si suol dire, “il bamboccio in piedi”.

Ovviamente capisco benissimo che, una volta al governo, non si può partire immediatamente con una terapia d’urto, e che determinate epocali “riforme” hanno bisogno di essere ben preparate per non trovarsi ad affrontare problemi ancor peggiori.
Ma quello che segue è ciò che un governo finalmente italiano deve fare:
1)    Ristabilire la sovranità monetaria dello Stato, unico emettitore di una moneta dei cittadini esente da “debito”. Abolizione, in ogni forma, del prestito ad interesse, fonte d’ogni sciagura economica, sociale e politica. Lo Stato – fermo restando il valore della libera intrapresa quale elemento di elevazione della persona umana – deve essere posto di nuovo al centro dell’attività economica e bancaria.
2)    Ripristinare la completa sovranità sull’intero territorio nazionale, con immediata rescissione delle “alleanze” imposteci dopo la nostra sconfitta militare del 1945. Smantellamento, quindi, di tutte le basi Usa e Nato presenti in Italia. Simultaneo stabilimento di nuove alleanze strategiche con tutti quegli Stati parimenti impegnati nella lotta allo strapotere occidentale e al suo modello di “civiltà” distruttore di ogni identità, ogni differenza ed ogni elemento qualitativo.
Questi sono i primi due essenziali passaggi, che logicamente preparano il riordino degli altri settori che attualmente languono in una crisi spaventosa che non può che peggiorare se non s’interviene al più presto.
Tanto per fare un esempio, con la sovranità monetaria viene finalmente a godere di rinnovata salute sia l’imprenditoria pubblica e privata che la capacità di spesa delle famiglie italiane, le quali oltretutto cesserebbero di essere vessate da una fiscalità senza senso perché l’odierna tassazione è giustificata – si fa per dire – solo dal perverso meccanismo d’indebitamento dello Stato che è costretto a farsi prestare i soldi dai “signori del denaro”!
Una buona idea, capace di produrre un beneficio per la comunità, non andrebbe subito a morire come accade oggi perché “non ci sono i soldi”: lo Stato se ne farebbe garante e sostenitore proprio perché detentore della sovranità monetaria.
Ma facciamo anche un altro esempio facile da capire. Con la sovranità territoriale e la libertà di allearci con chi vogliamo, verrebbe inoltre risolto l’altro atavico problema italiano, ovvero quello del nostro coinvolgimento nella sistematica ed essenziale (per gli occidentali) serie di aggressioni a mano armata in giro per il mondo. Oltre a ciò, la perdita della “colonia-Italia” sia come fornitrice di truppe cammellate, sia come base da cui sferrare attacchi nel Mediterraneo ed oltre, minerebbe alle fondamenta la capacità d’azione militare dei nostri attuali padroni.
Dunque, ripristinati i due classici capisaldi della sovranità, l’Italia sarebbe finalmente libera dall’influenza nefasta di tutte quelle centrali della dissoluzione e dell’essere umano e della nostra comunità, sotto ogni punto di vista, quali sembrano piuttosto chiare nella mente di quelli che ancora qualche ritardatario chiama con aria di sufficienza “i grillini”.
Sotto quest’aspetto, l’intervento in aula della parlamentare del Movimento Cinque Stelle Tiziana Ciprini, di appena sei giorni fa, è letteralmente musica per le orecchie:https://www.youtube.com/watch?v=UVXb5w3cluI [1]
Certo, Lorsignori pensavano di aver definitivamente azzerato – coi loro media e i loro lacché infilati ovunque – ogni capacità di resistenza, anche solo critica, da parte di questa Nazione.
Invece no, ed è bene che se lo ficchino bene in testa.
Ma se il movimento guidato da Beppe Grillo, giunto al governo, continuasse a cincischiare con questioni di secondaria importanza come le “diarie” e i “rimborsi elettorali”, per non parlare dell’assurdo ed inapplicabile pseudo-principio per cui “uno vale uno”, è altrettanto bene porsi sin d’ora il problema di far emergere, da questa medesima Nazione italiana, una forza che al primo posto della sua azione politica ponga i predetti elementi costitutivi di ogni sovranità, libertà ed indipendenza.
Grillo afferma sovente che se non ci fosse stato il Cinque Stelle oggi avremmo “il fascismo”. Ma l’Italia fascista - stabilito che stiamo parlando di una realtà di quasi un secolo fa e che il “fascismo”, più che un’ideologia, è una prassi – non era un Paese succube degli stranieri, né della finanza apolide. Anzi, era all’avanguardia in ogni campo ed erano gli altri a guardare a noi come ad un modello cui ispirarsi.
Per farla breve, ai Cinque Stelle, che per molti aspetti ammiro e riscuotono la mia simpatia, dico questo: chiamate le cose come volete, ma non scambiate la sostanza con la facciata. Se negli anni Venti e Trenta le chiavi di casa le avevamo noi, e pure i nostri soldi non dovevamo implorarli ad una tipografia camuffata da istituto d’emissione; se, insomma, dello “spread” ce ne potevamo tranquillamente fregare e le cose da fare si facevano, alla svelta, e pure con un avanzo di cassa (le famose bonifiche, tanto per dirne una), un motivo ci sarà.
Quindi, prima di esaltarsi per una “questione morale” posta a suo tempo dal PCI berlingueriano (o berlinguer-innegato?), che risuona di continuo nei comizi del Cinque Stelle come se si trattasse della pietra angolare d’ogni buona azione politica, ci s’interroghi se, piuttosto, una Nazione libera, indipendente e sovrana non sia invece il risultato di un sistema che, lungi dal considerare “tutti uguali”, premia le eccellenze e fa in modo che queste si adoperino, oltre che per la loro soddisfazione personale, per il bene comune e l’interesse nazionale.
Altrimenti, esiste il concreto rischio che ad una pagina nera della nostra storia vada ad aggiungersene un’altra: la farsa, dopo la tragedia, di una sorta di “Repubblica giacobina” che, in un’orgia di “processi popolari” di cui quello “in rete” che si profila è solo l’antipasto, darà solo l’illusione di una vera “rivoluzione” ad un’Italia che, forte della sua storia e della sua civiltà millenarie, non meriterebbe l’ennesima presa in giro.






[1] La trascrizione si trova da p. 37 (in fondo) a p. 40 (in cima) di questo documento tratto dal sito della Camera dei Deputati:
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0229&tipo=stenografico#sed0229.stenografico.tit00060.sub00010.int00250

fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=48503

domenica 12 gennaio 2014

ANTONELLO CRESTI: A Chianciano si è riunita la sinistra che vuole andare “oltre l’euro”. E che riscopre la questione nazionale.



Sebbene sapientemente silenziato dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, il convegno “Oltre L’Euro”, che si concluderà nella odierna giornata, promosso da una serie di sigle ed associazioni della estrema sinistra italiana e della controeconomia, è stato un successo, tanto da costringere gli organizzatori a spostare la location dell’evento all’ultimo momento, optando per una sala più ampia di quella precedentemente prevista e prenotata.


Cerchiamo di comprendere i motivi di questo successo e, al contempo, di questa forma di boicottaggio mediatico: i primi sono senza dubbio da rintracciare nel fatto che, raramente, nell’ambito degli ambienti di politica radicale, soprattutto negli ultimi anni, si è avuto la capacità di concentrarsi in maniera organica su un problema assolutamente centrale per la popolazione italiana, finendo per perdersi in discussioni sterili, settarie e, spesso, campate in aria. Una discussione organica sull’uscita dall’euro, per quanto ad alcuni potrà sembrare eresia, è, ad ogni modo, un tentativo di confrontarsi con un tema che, progressivamente, comincia ad affacciarsi anche nell’agone mediatico del politically correct, tanto è vero che, anche senza far riferimento alle uscite più o meno propagandistiche della Lega o del M5S, numerosi degli intervenuti al convegno sono apparsi spesso anche in televisione a sostenere simili argomentazioni. D’altra parte è pur vero che gli organizzatori lanciando questa iniziativa hanno sfidato tabù ben più profondi, in quanto radicati proprio nella cultura politica della sinistra, di quello della “questione euro”, ossia in primis l’importanza di una presa di posizione sovranista , ad avviso degli organizzatori vitale in un simile momento storico, tanto più, affermano, che l’unico risultato di sfuggire a simili problematiche è quello di consegnare definitivamente tale ambito di rivendicazione alle destre e al puro populismo (come puntualmente sta avvenendo…).
Da un punto di vista di riflessione politica questo è stato senza dubbio il contributo centrale e più spinoso: sappiamo infatti come per molti degli ambienti organizzati della sinistra le questioni nazionalitarie e sovraniste siano spesso bollate come infrequentabili, in quanto evocatrici di memorie fasciste, dimenticando però, e questo è un fatto storico, che la questione dell’autodeterminazione ha animato da sempre tutti i movimenti di liberazione di discendenza marxista e socialista, non ultima proprio la Resistenza italiana.
Nell’epoca della dittatura del pensiero debole qualsiasi riflessione che riconduca ad una riappropriazione di identità (in tutte le molteplici accezioni che questo termine può rivestire…) è rifiutata in maniera sdegnosa dai manovratori e dai teorici del potere, ma proprio per questo è impossibile pensare di ricreare le basi di una teoria anticapitalistica e di liberazione individuale e collettiva senza mirare alla piena ri-identificazione.
Su questo i numerosi economisti, filosofi, attivisti intervenuti (tra di essi anche l’economista statunitense Warren Mosler, il sindacalista Giorgio Cremaschi, il filosofo Diego Fusaro) pur nella, benvenuta e benefica, molteplicità di provenienze, sono sembrati concordare.
Certo è, come gli stessi organizzatori hanno apertamente affermato, che se occasioni come queste non diverranno in tempi brevissimi l’humus per un movimento di sollevazione popolare il senso dell’iniziativa sarà inevitabilmente smarrito.

Se però ci è concessa una piccola valutazione speranzosa il clima attento e assieme sorridente della sala in questo due giorni di convegno, così come l’età media piuttosto bassa degli spettatori, possono essere interpretati come segnali di un interesse che potrebbe tramutarsi in azioni conseguenti.