Che cos’è la mondializzazione? E’ un fenomeno ineluttabile
oppure si tratta di qualcosa di reversibile? L’unificazione monetaria europea è
stata vantaggiosa per i popoli del Vecchio Continente o al contrario li ha
immiseriti? A questi quesiti tenta di dare una risposta Alain De Benoist nel
suo ultimo libro La fine della sovranità.
Come la dittatura del denaro toglie il potere ai popoli, Arianna Editrice,
p. 128. In quest’opera che si pone
come completamento del suo precedente volume Sull’orlo del Baratro il pensatore francese analizza le cause della
depressione che sta colpendo l’economia europea le quali vanno ricercate in una
crisi generale del capitalismo globalizzato affermatosi in tutto il mondo a
partire dalla caduta del muro di Berlino e la fine degli ultimi stati
socialisti. Quella che sta affrontando l’Europa spiega De Benoist non è una
semplice recessione economica ma una vera e propria perdita della sua sovranità.
In passato infatti il potere dei singoli
stati nazione poggiava su alcuni principi fondamentali: la sovranità economica,
quella militare ed infine quella culturale. La prima è stata eliminata
attraverso la liberalizzazione dei mercati finanziari che ha reso impossibile
alle autorità politiche di influire sulle decisioni di natura economica. Se
esse prendessero misure controcorrente come la nazionalizzazione del sistema
creditizio e delle leve fondamentali dell’economia indurrebbero gli investitori
stranieri a portare i propri capitali altrove provocando il collasso economico
del paese.
Attraverso la NATO e le molteplici basi militari americane
sparse per il proprio territorio l’Europa non gode più, almeno dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale, di una sovranità politico-militare.
Per ciò che riguarda l’aspetto culturale la globalizzazione
non ha fatto altro che accelerare il processo di americanizzazione dell’Europa.
La lingua inglese in alcuni paesi, soprattutto in quelli Scandinavi, è parlata
più dell’idioma nazionale. Attraverso i film di Hollywood o programmi televisivi
come MTV gli Stati Uniti hanno plasmato
il nostro modo di fare erodendo pian piano gli usi e i costumi dei popoli
europei.
Che fare allora? Nel suo libro De Benoist abbozza un
programma che egli definisce di «demondializzazione» il quale consiste a detta
dell’autore nell’applicazione di un protezionismo su scala europea, nel ritorno
concordato alle singole monete nazionali, nella statalizzazione delle banche
(accompagnata dalla creazione di un credito socializzato), nella tassazione
delle transazione finanziarie, nel far scomparire i paradisi fiscali e
nell’annullamento del debito. Ma quali forze politiche attualmente potrebbero
farsi carico di un tale programma? Non certo le destra che ormai ha
interiorizzato a livello ideologico i dettami neoliberisti, ma nemmeno la sinistra
neanche quella radicale. Quest’ultima infatti pur opponendosi al liberalismo
economico ne difende quello societario che è alla base del primo. Confondendo
il protezionismo con l’autarchia essa difende la libera circolazione dei
capitali.
Per questo motivo categorie come
destra e sinistra secondo De Benoist vanno superate per dare vita a nuove
sintesi in grado di comprendere la realtà contemporanea.
L’odierno capitalismo infatti non
è né di destra né di sinistra o meglio è sia di destra che di sinistra. E’ di
destra nell’economia ma è a sinistra nel costume. Criticarne l’aspetto meramente
economico senza mettere in discussione quello sociologico è un po’ come pensare che la febbre sia la
causa della malattia.
Al contrario di quanto sostengono
gli odierni riformisti non esiste alcuna possibilità di trasformare l’attuale
U.E. in una confederazione solidale di popoli, in quanto essa sta svolgendo
benissimo il compito per la quale è stata fondata ovvero eliminare l’«eccezione
europea», basata su un modello misto di capitalismo stato-mercato, ed integrare
pienamente l’economie dei paesi membri nel modello americano fondato sul
liberismo selvaggio.
Privando gli stati dell’arma della
svalutazione monetaria per rilanciare l’economia, l’Unione Europea costringe le
nazioni facenti parte dell’area euro ad una politica deflazionistica messa in
pratica attraverso una pressione al ribasso sui salari la quale non può altro
che avere effetti negativi sulla domanda interna. I teorici dell’austerità hanno spesso controbattuto
a tale affermazione argomentando che gli introiti derivanti da una crescita
alimentata dall’esportazioni compenserebbe la caduta della domanda aggregata.
Tuttavia il proposito di trasformare l’Europa in una «grande Germania», ovvero
un enorme macchina produttiva trainata dal commercio estero è destinata a
fallire. Storicamente tale strategia ha funzionato solamente attraverso un
potente «motore» della domanda effettiva che nel caso di Berlino sono stati
paesi della periferia europea. Ma se anche questi ultimi iniziano a portare
avanti una politica di moderazione salariale e tagli alla spesa pubblica allora
l’intero continente andrà incontro a una recessione dagli effetti
potenzialmente devastanti.
Personalmente lo scrivente non si trova d’accordo con
l’affermazione del giornalista Marcello Veneziani secondo il quale il rischio della proposta di De Benoist «è che, alla fine, alla dittatura della tecno-finanza
resti a opporsi solo la rozza demagogia dei populismi che sanno inveire e
demolire, ma non saprebbero poi come costruire e selezionare» (cfr. Marcello
Veneziani, Idee forti per abbattere la monarchia finanziaria, Il Giornale, 26
maggio 2014).
Al
contrario a mio parere la demagogia e il populismo prosperano proprio laddove
il potere politico mostra la propria vulnerabilità. Quando le istituzioni si
mostrano deboli ed incapaci di affrontare l’influenza dell’economia sulla vita
pubblica si creano le condizioni affinché le masse popolari seguano i progetti di
leader megalomani e folli. La triste parabola della Repubblica di Weimar e
l’ascesa del nazismo ne sono un esempio. Al contrario di quanto è comunemente
pensato infatti a spianare la strada a Hitler non fu l’iperinflazione degli
anni venti, bensì la politica monetaria e fiscale iper-restrittiva del cancelliere Brüning.
Lo stesso discorso lo si potrebbe applicare al Movimento 5
Stelle in Italia. Il successo di Grillo è da addebitare integralmente ad una
classe politica corrotta ed incapace di dare risposte ai bisogni del paese.
Franklin Delano Roosevelt disse
una volta che «la vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed
indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le
dittature.»
Si
tratta di una frase molto attuale sulla quale i politici del nostro continente
dovrebbero riflettere attentamente.
Nessun commento:
Posta un commento