Recensendo se stesso, su Il Fatto Quotidiano
(19/04/2014), Massimiliano Griner dice che: "La molla principale alla
realizzazione di questo libro è un stata l'indignazione verso un ambiente
spesso arrogante e protetto" e ancora: "un complesso di complicità,
silenzi, falsa coscienza, opportunismo, che fanno di questa storia un momento
l'ipocrisia di massa". Messa così sembrerebbe che l'operazione costituisca
niente di più di una postuma resa dei conti all'interno determinati ambiti
professonali e intellettuali. Quindi nulla di utile, anche perché qui la
"zona grigia" viene degradata a "civetteria" da parte di
soggetti che non si sono negati "il brivido di un sanpietrino, il crepitio
di una molotov o il fragore di una vetrina infranta" prima di rientrare
nell'alveo di una esistenza conforme. In realtà, tralasciando la questione, ben
più pertinente, della ampiezza dell'adesione di massa da parte di settori
operai e proletari, almeno fino al sequestro Moro (usato qui come spartiacque
ben sapendo che si tratta di una semplificazione), va detto che la medesima
contiguità palesata da ambienti non proletari non era riconducibile ad
atteggiamenti "civettuoli" quanto al peso esercitato, in termini di
AUTORITÀ SOCIALE, della opzione rivoluzionaria che contemplava al proprio
interno anche la pratica della violenza. Se Prima Linea nel 1976 teneva le riunioni
del proprio comando nazionale negli uffici di presidenza della Facoltà di
Architettura a Milano o se le FCC stampavano i loro volantini di rivendicazione
col ciclostile della FILM CISL non era perché qualcuno in quegli ambienti
"civettava" ma perché, allora, non c'era alcun ambiente politico
impenetrabile, in termini di autorità e influenza politica, per le formazioni
combattenti. Quindi l'utilità di riprendere il dibattito su quegli anni,
compreso l'affrontamento della zona grigia, per me consiste nel comprendere
come proprio la separazione arbitraria effettuata fra i 4200 condannati per
reati connessi al terrorismo e la ben più vasta area di riferimento sia stato
il macigno posto sulla liquidazione di una storia che non a caso lo stesso
Griner definisce "stagione di follia". Molti, anche impensabili,
hanno contribuito a questo. Penso al
Manifesto a cui si deve la formulazione della differenza fra "area
della sovversione sociale" e
combattenti, proprio loro che discutevano la unificazione con Potere Operaio,
il Partito dell'insurrezione, dove la notizia non sta nel fatto che poi
l'unificazione non si fece ma nel fatto che se ne discutesse come possibile. Fino a Rifondazione Comunista
che, in silenzio, ha tesserato molti ex terroristi ma che per viltà e
opportunismo ha commissariato la sua sezione di Modena che aveva osato
organizzare un dibattito sui '70 con la presenza di Gallinari .
Ora, ognuno si prende le proprie responsabilità, ma io
chiedo chi di voi negli anni '70 non abbia urlato almeno una volta "morte
al fascio" e se poi qualcuno, per esempio io, passava alle vie di fatto,
proprio sulla base di questa legittimazione di massa, perché mai solo su questi
debba cadere l'ostracismo politico e sociale?
Io non ritengo sia stata una "stagione di follia",
per lo meno NON solo questo è in ogni caso NON opera di pochi pazzi. E allora
la discussione sulla dimensione di massa del fenomeno deve servire non solo a
ridefinire correttamente il dibattito storiografico ma anche a rimuovere la
pena accessoria dell'ostracismo politico e sociale che ha confinatobuna parte
consistente di una generazione nella zona grigia (questa sì ) della privazione
del diritto di parola.
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