mercoledì 19 marzo 2014

Il viaggio visionario di Arturo Stalteri a Quarrata (PT)




Domenica 23 marzo  2014 ore 16

Villa Medicea La Magia, Salone Affrescato
Via Vecchia Fiorentina, I tronco 63
Quarrata (PT)

PIANETA STALTERI
Viaggio Visionario di uno speaker radiofonico

Arturo  Stalteri  pianoforte


Una trasmissione radiofonica dal vivo, un radio-concerto, con momenti d’interazione con il pubblico sfruttando nuove tecnologie sperimentali. Un percorso musicale tra i generi così come la carriera pianistica di Stalteri ne ètestimonianza : da Debussy a Glass, da Satie a Sakamoto, allo stesso Stalteri: un’unica visione musicale senza discriminazioni, così come chi conosce il suo approccio alla musica è abituato ad apprezzare.
Stalteri diventa così il conduttore di un’immaginifica diretta radio dove interpreta il duplice ruolo di speaker e di musicista.

Arturo Stalteri : La sua ricerca, come interprete e come autore, si è da sempre orientata verso la valorizzazione di un Novecento musicale vicino alla sensibilità post-moderna: una musica contemporanea come luogo d’incontro fra tradizione colta e musica di confine.Nonostante la sua formazione classica, Stalteri ha cominciato a farsi conoscere al grande pubblico con il gruppo Pierrot Lunaire, uno dei nomi storici del rock progressivo degli anni Settanta. Un gruppo che seppe mediare tra rock e classicismo e con il quale Stalteri ha registrato due album (“Pierrot Lunaire” e “Gudrun”). Nel 1997, in collaborazione con gli autori, comincia a lavorare a due nuovi album dedicati rispettivamente a musiche per pianoforte di Philip Glass e di Brian Eno. Nel 1998, per la collana NewClassics, esce “Circles” con brani per pianoforte di Philip Glass e nel 2000 “CoolAugustMoon - From The Music of Brian Eno”.Insieme a David Sylvian,Roger Eno, David Torn e Harold Budd partecipa al progetto “Marco Polo” di Nicola Alesini & Pier Luigi Andreoni.Ha collaborato a opere di Alvin Curran, Mario Castelnuovo, Amedeo Minghi, Grazia Di Michele e ai cd di Arlo Bigazzi, “Polvere Nella Mente” e “[2]”. Con Arlo Bigazzi ha poi prodotto l’album “Some Secrets” di Clare Ann Matz. È presente anche nel disco di Militia“Elvengamello” e “Hendrix” di Paolo Lotti.Nel 1998 esce per la MP Recordsil disco di Fabio Laboratori “Empire Tracks”, per il quale Stalteri compone ed esegue tre brani.Compone musiche di scena per balletto e teatro. Critico musicale e conduttore di molte trasmissioni di Rai Radio Tre e Rai Radio Due, a partire dalla fine degli anni Ottanta è uno degli “informatori musicali” di maggior successo e rigore nell’ambito della musica di ricerca.
Info e biglietti
I concerti sono riservati a 100 spettatori, Ingresso concerti €10,00, Posto unico non numerato.
Alla fine del concerto sarà offerto a tutti i partecipanti una degustazione di tè e di torte preparate dalle cuoche della mensa comunale.d I biglietti possono essere acquistati: Biblioteca Multimediale “Giovanni Michelucci” Piazza Agenore Fabbri Quarrata Tel. 0573 774500, Libreria Fahrenheit 451, Piazza Risorgimento Quarrata Tel. 3347186313

lunedì 17 marzo 2014

SEBASTIANO CAPUTO: Il "modello" Eataly -Farinetti e lo sfruttamento dell'immigrazione



Il Tempio globale del libero mercato si articola su deregolamentazione, disordine, diseguaglianze. È il luogo dove gli immigrati vengono sradicati e sfruttati da un capitale senza frontiere, dove soggetti forti e soggetti deboli della stessa nazionalità, ma anche agenti economici con lingua, tradizioni e costumi diversi vengono messi gli uni contro gli altri, dove i Paesi avanzati del cosiddetto Occidente non riescono a fare fronte alla concorrenza dei Paesi emergenti che basano la loro forza su un costo del lavoro bassissimo, dove l’iperclasse economico-impreditoriale delocalizza le industrie, dove i disoccupati occidentali acquistano i prodotti fabbricati dai nuovi schiavi del Terzo mondo.
Questo meccanismo benedetto dall’Unione Europea con il Trattato di Schengen si regge in realtà sulla sinistra e la destra italiana. La “sinistra borghese e catto-comunista” con la sua retorica umanista e benpensante (“gli immigrati fanno lavori poco qualificati che gli europei non vogliono più fare”) promuove l’arrivo di nuova manodopera, mentre la “destra padronale” con la sua politica ultra-liberale (anche se in fondo l’intera élite economico-imprenditoriale non ha un colore politico ben definito) crea un processo di dumping (riduzione salariale del lavoratore locale) – nella misura in cui l’immigrato viene sfruttato a basso costo senza contratto di lavoro – e di cancellazione dei diritti sociali dei lavoratori già integrati nella società.
Il popolo italiano (o l’intera classe media) vieni oggi di fatto schiacciato da due forze centrifughe e parassitarie, vale a dire l’elite cosmopolita e l’immigrazione clandestina (sottolineo: clandestina). “L’affaire Eataly” conferma questa analisi: il fenomeno migratorio di massa altro non è che un fenomeno padronale. Il patron del marchio Oscar Farinetti è finito nel mirino della Cisl lombarda che lo ha recentemente accusato di aver affidato i lavori a una ditta rumena di Suceatra (Cobetra Power). “Dietro al sistema dei distacchi si nascondono forme di sfruttamento, ed è quasi impossibile che gli operai stranieri facciano denuncia, c’è un’omertà assoluta” ha affermato il segretario del sindacato. I contratti che hanno firmato i 25 operai con Cobetra mediamente si aggirano tra i 500 e gli 800 ron (valuta rumena) di stipendio base lordo (dunque tra i 110 e i 176 euro) per 40 ore settimanali di lavoro. Tradotto: il modello Eataly è fondato sul lavoro di operai rumeni pagati tra i 2,75 e i 4,4 euro all’ora.

domenica 16 marzo 2014

ANTONELLO CRESTI: David Crosby torna con "Croz". Il dolce suono dell'utopia.



E’ un piccolo miracolo che nell’odierno panorama sociale e politico della nostra società torni a risuonare della nuova musica composta da David Crosby… Il mondo di cui è portatore questo grande musicista, protagonista assoluto della mitica scena West Coast degli anni sessanta, prima coi Byrds, poi col supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young, nonché da solista, ed autore di alcuni degli episodi più brillanti della utopia hippie tradotta in musica, pare infatti oggi così lontano, così inattuale, da immaginare impossibile che esso possa ancora compiere la magia di venir tradotto in ottima musica capace di aiutarci ad affrontare le complessità del presente.
Forse anche lo stesso Crosby avrà pensato qualcosa di simile in questi oltre venti anni che lo separano dall’ultimo lavoro discografico da solista, anni in cui ha preferito rifugiarsi nella dimensione più esplicitamente revivalistica delle esibizioni live, nell’inesausto tentativo di rivivere e far rivivere quell’idillio comunitario rappresentato da Woodstock e  dalla stagione dei grandi concerti tra anni sessanta e settanta. Ebbene, oggi, anno 2014, Crosby decide che è ora di tornare a interpretare il presente e lo fa con un album, Croz (in uscita per Blue Castle Records il 27 Gennaio), che è una straordinaria manifestazione di quanto anche la nostalgia possa trasformarsi in energia vitale e dinamica; Crosby infatti ritorna con undici brani che non concedono assolutamente nulla ai vezzi espressivi del mondo rock contemporaneo, in una sdegnosa e aristocratica riaffermazione di quello che è il proprio mondo espressivo ed ideale, senza concessioni di sorta; eppure è tanta la classe, la raffinatezza compositiva di questo artista che tutto suona fresco, eccitante, palpitante, come raramente capita alla musica che domina le classifiche odierne. Ancor più, ciò che sembra trasparire in questo pugno di nuove eccellenti canzoni è la grande sincerità di un musicista che non ha mai rinnegato nulla delle sue convinzioni e del suo mondo creativo (unico rimpianto dichiarato dell’artista i troppi anni sprecati a causa di una forte dipendenza dalle droghe), una dichiarazione di purezza che non può non avere un effetto rigenerante in tempi ambigui e pavidi come questi. Croz dunque,  col suo soffuso utopismo, con le sue cristalline armonie, col suo rock dalle calde venature acustiche, più che un semplice oggetto di consumo,  suona come un percorso trasformativo che l’ascoltatore deve intraprendere assieme all’artista, attraversando i territori della rivolta, come del mistico abbandono (come accade in Morning Falling, probabilmente la vetta compositiva dell’intero lavoro), per uscirne al contempo rinnovato e radicato in un passato che possa currae le ferite del presente.

E’ un piccolo miracolo, dunque, ma David Crosby ci è riuscito: i “tempi interessanti” da cui proviene sono un sogno ormai opaco e ingiallito dal tempo, ma capaci di far vibrare ancora oggi le corde dell’anima. Croz è un sicuro evento musicale di questo 2014 appena iniziato!

fonte: Il Manifesto 16/3/2014 

venerdì 14 marzo 2014

PIOTR ZYGULSKI: Papa Francesco, rivoluzionario o conservatore?



È trascorso un anno dall’elezione al soglio pontificio di Francesco, quel papa “preso quasi alla fine del mondo”, come lui stesso si è definito nel suo primo discorso ufficiale.
Soprattutto nei primi mesi di pontificato, è difficile – se non impossibile – scampare al confronto con un predecessore. Continuità o discontinuità? Questa è la domanda ricorrente, declinata in tutti i contesti e facendo uso della gamma completa dei registri verbali, sino a giungere al più volgare: “preferisci questo o quello di prima?” Preferisci questo, bene. Allora la macchina mediatica in breve tempo si dimentica di “quello di prima” per focalizzarsi su “questo”. Nel caso di Papa Francesco, dotato di un grande carisma riconosciutogli universalmente e di una eccezionale spontaneità, che costituisce un ingrediente fondamentale per qualsiasi comunicazione efficace, il gioco viene da sé.
Il pontificato francescano è all’insegna di uno stile semplice e familiare che, se proprio dobbiamo azzardare un paragone, ci ricorda vagamente quello del “papa buono” Giovanni XXIII. “Buonasera”, “buon pranzo”. Guardandolo più da vicino, la peculiarità dell’attuale vescovo di Roma sono le decisioni assunte spontaneamente, in taluni casi, sul momento.  I cambiamenti repentini di programma pare che abbiano creato non poche difficoltà persino all’entourage del Sommo Pontefice, compreso il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie Mons. Guido Marini. Questi ha iniziato a trovarsi in imbarazzo a partire dal momento dellavestizione pontificale quando, prima di affacciarsi per la prima volta dal balcone su Piazza San Pietro, Bergoglio non volle indossare la tradizionale mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d’oro.
A tal proposito, vanno segnalate anche le voci critiche di quanti osservano che i ricchi paramenti – sovente si tratta di vere e proprie opere d’arte – che Papa Francesco non intende portare, così come lo sfarzoso appartamento pontificio parimenti rifiutato, sarebbe meglio utilizzarli, anziché lasciarli ammuffire. Al momento non pare essere intenzione del Vaticanovenderli. Nel mentre, continuano ad andare a ruba i libri di (e su) Papa Francesco – sia quelli più recenti, sia quelli di quando era ancora cardinale, oggi ristampati con gran cigolio di torchi tipografici – e addirittura album di figurine, poster, calendari e settimanali dal titolo surreale come “Il mio Papa”, per citarne uno.
Principalmente è un gran pubblicitario”, commenta un uomo della gendarmeria vaticana. Sebbene sia sotto gli occhi di tutti che nell’ultimo anno la Chiesa Cattolica si è rafforzata con un ritorno d’immagine significativamente positivo, come essa auspicava, sarebbe riduttivo fermarsi a ciò; lo stesso Papa Francesco sembra non gradire molto il culto della sua personalità. A conferma di ciò, a luglio egli diede ordine di rimuovere immediatamente una statua che lo raffigurava, opera dell’architetto Fernando Pugliese, collocata nei giardini della cattedrale di Buenos Aires. Inoltre, molto più recentemente, nella sua ultima intervista apparsa sul Corriere della Sera il Vescovo di Roma ha detto che non gli piace “una certa mitologia di Papa Francesco”, che include la leggenda secondo cui uscirebbe “di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano”. Per essere ancora più esplicito, ha affermato che “dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo”.
Infatti, una delle novità di questo pontefice sono anche letelefonate a privati cittadini e le interviste rilasciate non solo a periodici religiosi come il quindicinale religioso dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, ma anche a quotidiani nazionali, al quale si spinge a rivelare gusti culturali ed esperienze personali. Una novità che ha contagiato anche il pontefice emerito Benedetto XVI, che a settembre ha voluto rispondere pubblicamente e con un’azzeccata vis polemica a quel “Caro Papa, ti scrivo” indirizzatogli dal matematico Piergiorgio Odifreddi.
È però dal tali interviste e dalla sovraesposizione mediatica che si originano i principali fraintendimenti, che generano presso quella che si suole chiamare “opinione pubblica” degli scambi di opinione truccati in partenza, che vengono poi, a loro volta, amplificati nuovamente dai mezzi di comunicazione e, come accade spesso, si entra in un circolo perverso.
Chi si illudeva di una immediata abolizione dello IOR o dell’intero Vaticano ovviamente è rimasto deluso. Ma questo non significa neppure che non vi siano stati segni di cambiamento, anche perché i cambiamenti di vertice e organizzativi nella curia romana, già iniziati con il precedente pontefice, si fanno di giorno in giorno sempre più significativi. Altrettanto scontenti sono rimasti quelli che, anziché tanti discorsi sulla giustizia sociale, avrebbero auspicato da Papa Francesco una difesa a spada tratta dei cosiddetti valori non negoziabili e dei temi bioetici. “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta”, dice Francesco. Per non parlare delle strumentalizzazioni sulla visita a Lampedusa o sul “chi sono io per giudicare” riguardo le persone omosessuali. Può essere giovevole ricordare che il Vangelo è sempre uno, anche se le voci narranti devono essere minimo quattro e dunque ciascun cristiano è chiamato a diffonderlo con la propria sensibilità e a seconda dei contesti.
Ad essere schematici, se nella fascia popolare tendono a prevalere le forme di culto della personalità, nel “ceto medio semicolto” gli atteggiamenti generalmente si possono suddividere a “destra” tra il tradizionalismo “soft”, che fa finta di non aver recepito il cambio di atteggiamento e il tradizionalismo “hard” che invece vi si oppone perché lo ha notato, e a “sinistra” tra chi mantiene una posizione irriducibilmente anticlericale (ogni tanto rispolvera le vecchie accuse, già smentite, di una collusione di Bergoglio con il regime militare di Videla) e ilprogressismo entusiasta, in molti casi da parte di “atei devoti de sinistra”, speculari ai teocondel decennio scorso. Se prima c’era Pera, ora c’è Scalfari.

Comunque sia, anche per evitare i fraintendimenti dei “discontinuisti”, uno dei primi segni di questo pontificato è stata la firma della lettera enciclica Lumen Fidei, che risente molto della stesura iniziale di Benedetto XVI. Per notare qualche novità, invece, bastano poche righe della sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, o qualche discorso, preferibilmente a braccio, oppure anche il solo gesto di recarsi a Lampedusa dopo l’ennesima tragica strage di migranti, per notare lo stile inconfondibile di Papa Francesco. Lo sforzo in favore della Siria, coniugando l’impegno spirituale di una giornata di digiuno con quello diplomatico, che ha compreso una lettera indirizzata al presidente russo Vladimir Putin in occasione del G20, ha contribuito ad evitare un conflitto di più ampie dimensioni e, seppur parzialmente, è riuscito dove altri –Giovanni Paolo II compreso – avevano fallito.
Senza dubbio molte altre sono state le occasioni di visibilità mondiale del Vescovo di Roma; una su tutte, la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio De Janeiro, che è stato un ritorno non solo in America Latina ma, più di ogni altra cosa, ad Aparecida, dove nel maggio 2007 si svolse la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano (CELAM) che elaborò uno storico documentoche continua ad essere il programma di lavoro per ogni singolo passo che sta compiendo il Santo Padre. Ritengo indispensabile questa mappa per comprendere, anche in anticipo, dove si dirigerà Papa Francesco; lì è possibile trovare il riferimento, ad esempio, a quelle “periferie più profonde dell’esistenza” (periferias más hondas de la existencia) cui continuamente egli si rivolge.
Per tornare alla diatriba tra i “continuisti” e i “discontinuisti” – per non utilizzare l’usuale dicotomia conservatori/progressisti, che ha ancora meno senso di esistere – ad osservarla con attenzione essa ne nasconde una più pregnante, e ben più antica, tra rigoristi e lassisti, evocata nei giorni scorsi. In altre occasioni Papa Francesco aveva parlato di “proposta pelagiana” e di “proposta gnostica”, criticandole duramente entrambe; non c’è qui lo spazio per valutare le singole sfumature ma, in un certo senso, si tratta di una contrapposizione analoga. Su questi punti continua a consumarsi l’equivoco redivivo tra coloro che propendono per un’applicazione farisaica e legalistica delle norme – siano esse mosaiche o catechistiche, poco importa – e coloro che invece si oppongono alla legge persino nella sua stessa essenza. Tuttavia l’autentico messaggio evangelico, e della tradizione paolina, è quello di un superamento della legge, presa come riferimento per gli uni e per gli altri, all’insegna della misericordia, l’unica in grado di farsi carico “della persona che incontra”.
Ed è appunto su questa apertura alla misericordia che pone costantemente l’accento Papa Francesco. Misericordia è la parola che ha voluto assumere nel suo motto nella forma del gerundio latino “miserando”, volutamente non traducibile in italiano né in spagnolo. Egli ritiene che le stesse istituzioni vaticane possono avere un senso nella misura in cui esse siano orientate alla carità e alla misericordia; diversamente, divengono superflue. Certamente sempre in quest’ottica si possono comprendere anche le dichiarazioni che vengono descritte come controverse. Il messaggio essenziale è che lo sguardo del cristiano non dovrebbe mai essere rivolto alla fattispecie astratta, ma dovrebbe guardare sempre, concretamente, al singolo uomo. Per chi ha familiarità con l’ambiente ecclesiastico, la figura più vicina al Vescovo di Roma, forse anche grazie alla sua formazione nell’ordine dei gesuiti, è quella del confessore, che infatti in svariate occasioni ha voluto valorizzare.
La Chiesa è così concepita come un “ospedale da campo” che deve premurarsi per accogliere e curare “ogni uomo ferito dal peccato”, senza selezioni all’ingresso. Ciò si può avere solamente prestando una grande “attenzione alle situazioni concrete”. Di fronte alle sfide della mondanità, questa è la risposta di Francesco, il quale fa capire che non intende “cambiare la dottrina”, ma vuole “andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare”. Perciò diviene facilmente intuibile quale sarà l’impostazione che avrà il sinodo straordinario sulla famiglia previsto per ottobre, i cui lavori preparatori hanno coinvolto – per la prima volta – tutte le diocesi del mondo, che nei mesi scorsi hanno potuto dire la loro su molte questioni delicate, dalla morale sessuale alla comunione ai divorziati risposati. Riguardo quest’ultimo punto, ne abbiamo già avuto un assaggio al Concistoro di febbraio con la relazione introduttiva del Cardinale Kasper che, invocando un “cambiamento di paradigma”, ha ricevuto le critiche di molti, ma è stato particolarmente apprezzato dal Sommo Pontefice.
In conclusione, nonostante i fraintendimenti si sprechino e ad essi l’attuale pontefice stia tentando di porre rimedio, in realtà, come avevamo intuito in sintonia con il Cardinale Dolan, se vi è un cambiamento, esso non è tanto nel contenuto, quanto in quello che si era definito “atteggiamento di apertura”. A un anno di distanza, il cammino di Papa Francesco pare mostrarci come sia possibile dare un volto a queste parole.

giovedì 13 marzo 2014

DIEGO FUSARO: Bergoglio è l'ultimo dei marxisti, Renzi un politico da Vanity Fair



Intervista di: Adriano Scianca
Fusaro, ha visto le prime proposte economiche di Renzi presentate in Consiglio dei ministri?
«Nihil novi sub soli. Sono le solite politiche neoliberiste camuffate da rivoluzioni. Rivoluzioni, sì, ma proprio in direzione dello smantellamento di tutto ciò che è etico, sociale e statale».
C’è il “jobs act”, però…
«Che però per adesso resta insondabile, al di là del nome, che ovviamente deve essere in inglese per il solito servilismo verso il lessico dell’impero. Quanto ai contenuti, ancora se ne sa poco. Io mi sono fatto un’idea, comunque. Credo che si tornerà man mano ai contratti a tempo indeterminato ma dando in compenso ai datori di lavoro totale discrezionalità circa i salari e la capacità di licenziare. Non mi pare un grande progresso».
Il progresso c’è stato nella comunicazione: slide, hashtag, slogan ad effetto. Non si era mai vista una conferenza stampa post Consiglio dei ministri di questo genere.
«Renzi usa un metodo di comunicazione postmoderno e anglofono. Ama le parole in inglese, i cinguettii su twitter, usa metodi mediaticamente accattivanti. È il politico di Vanity Fair, tutto centrato sulla logica dell’apparire. Io l’ho definito “il vuoto che avanza”. E in effetti sta avanzando. Io mi chiedo: a quale paradigma culturale fa riferimento Renzi? Nessuno lo sa».
Intanto la Bce bacchetta l’Italia perché “non ha fatto tangibili progressi rispetto alla raccomandazione della Commissione Ue”…
«Ma certo, noi siamo la periferia dell’impero eurocratico. Renzi è quello che Marx avrebbe definito “una maschera di carattere”. Non conta cosa dice o cosa fa, la sua funzione è quella di fare da burattino e i fili li tira sempre la Bce. E la sinistra è complice. Il Pd ma anche la lista Tspiras».
Non è un bel quadro…
«L’immagine che mi viene in mente è un po’ quella dell’Urlo di Munch e un po’ quella di Guernica. L’Urlo rappresenta la distruzione capitalistica dell’etica e dello Stato. Guernica rappresenta il sociale bombardato dalle politiche neoliberiste».
Renzi ha recentemente “bombardato” anche il sindacato. Si tratta davvero di una istituzione superata?
«Il sindacato ha avuto una funzione storica fondamentale ma oggi mi pare davvero assorbito nelle logiche di sistema. Non capisco a che serva, oggi, fare il solito sciopero del venerdì, per di più in Italia, mentre le decisioni fondamentali sono tutte prese a Bruxelles. Del resto lo sciopero dovrebbe bloccare la società, oggi è solo routine. Mi sembra chiaro che si tratti di una istituzione da ripensare».
Altro tema d’attualità: le quote rosa. Qual è la sua opinione?
«È una sciocchezza. Il merito va riconosciuto al di là del sesso. Le donne sono uguali agli uomini, punto. Non serve un razzismo rovesciato. Del resto questo tipo di femminismo contemporaneo mi sembra solo una forma perversa dell’individualismo. Non lotta più per i diritti, è solo uno dei tanti tentativi di frantumare l’unità del genere umano: gay contro etero, stranieri contro non stranieri, uomini contro donne etc».
Nel frattempo, mentre la politica arranca, la figura più popolare sembra essere Papa Francesco. Un filosofo marxista come vede il Pontefice argentino?
«Per dirla con un paradosso, Bergoglio mi sembra l’ultimo dei marxisti. Oggi è l’unica figura che parla di lotta all’alienazione, una parola che è scomparsa fra gli ex comunisti. Il mio giudizio sul Papa è complessivamente positivo, mi sembra che faccia parte di quella che il filosofo Enst Bloch definiva la “corrente calda” in difesa degli ultimi, mentre la sinistra mostra disprezzo per gli ultimi e per i lavoratori».
Lei è credente?
«Mi considero un credente nella misura in cui, con Hegel, ritengo che la religione sia un modo di darsi dello spirito assoluto».

STEFANO SANTACHIARA: Disinformazione: light, ordinary, shock (parte seconda)



Ringraziando i commenti al precedente post e i blog che l’hanno ripreso, ne approfitto per rispondere a Democraziaradicalpopolare di Gioele Magaldi, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico, nel cui sito compare la recensione al mini-saggio.
Il confronto dialettico è il sale della democrazia, ormai assente nell’Italia dei tre livelli di “light, ordinary e shock disinformation”. Dunque rispetto i giudizi e le critiche anche più dure a cui rispondo nel modo seguente.
TESTO CONTESTATO: “Il filosofo Salvatore Veca coniò il termine migliorista per descrivere la corrente comunista che non cercava di abbattere il capitalismo con la violenza ma di migliorarlo, quella di Giorgio Amendola, Gerardo Chiaromonte, Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano, un’area che negli anni ’80, al contrario, ha esemplificato la degenerazione morale della sinistra: collaterale al corrotto Psi di Craxi, finanziata tramite il settimanale Il Moderno dalle società del piduista Berlusconi. Lo scopo che si prefiggevano ontologicamente i miglioristi si era invece realizzato nel periodo di massimo sviluppo economico del Paese, negli anni ’70, in virtù del compromesso storico di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer…”
DEMOCRAZIARADICALPOPOLARE: Dobbiamo osservare che, al di là degli opportunismi di Napolitano ed altri (transitati concretamente da posizioni di bovino asservimento all’URSS che invadeva l’Ungheria nel 1956 a prospettive di dialogo ambiguamente socialdemocratico negli anni ‘70 – senza che potesse legittimamente definirsi tale, visto che i miglioristi permanevano nel PCI, un partito comunista – con l’establishment occidentale, per terminare in anni recenti con un nuovo acritico appecoronamento al pensiero unico neoliberista che egemonizza attualmente le istituzioni euro-tecnocratiche), il cosiddetto migliorismo aveva effettivamente il merito programmatico di volersi emancipare dall’orizzonte costitutivamente anti-capitalistico e rivoluzionario in senso marxiano del Comunismo italiano, europeo ed internazionale.
Inoltre, liquidare la storia del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi e dei suoi rapporti con gli ambienti miglioristi della “destra” PCI come coincidente con la “degenerazione morale della sinistra”, appare alquanto ingeneroso e superficiale.Gli anni ’80 saranno stati anche anni di esagerate tangenti e corruzioni (le stesse che avevano caratterizzato la storia italiana dal 1861 al Ventennio fascista- regime corrotto come pochi altri, checché ne pensino gli stralunati nostalgici del Duce e della mitologia in camicia nera- e poi dal Secondo Dopoguerra agli anni ’70; le stesse che sono connaturate ad ogni società industriale complessa, e che costituiscono anzitutto un problema di legalità e ordine pubblico, da arginare e prevenire mediante lungimiranti disposizioni legislative e prassi amministrative di controlli incrociati, non certo mediante “giaculatorie moralistiche”), ma furono anche un momento di straordinaria prosperità economica, di ampliamento pluralistico e modernizzazione del sistema mediatico sia entro la TV di Stato che oltre il monopolio RAI (pur con l’anomalia gradualmente realizzatasi dell’oligopolio privato berlusconiano), di consolidamento di un sistema repubblicano più maturo, forte e consapevole (dopo gli anni di piombo, con annessi e connessi) nel segno della democrazia dei partiti e delle correnti (essenziali al grado di pluralismo interno ai partiti stessi, anche se oggi va di moda demonizzarle), di progressiva emancipazione del PCI (dopo la morte di Berlinguer nel 1984 e l’avvento al potere di Gorbaciov in URSS nel 1985) dalle sue fisime di presunta “superiorità morale” e dalle sue ipocrite crociate contro la “democrazia liberale capitalista e imperialista”, magari nel segno del berlingueriano “eurocomunismo” austero e anti-consumista… (ricordiamo che Enrico Berlinguerpronunciò nel gennaio 1977 due importanti discorsi in “elogio dell’austerità”, raccolti e pubblicati nel 2010 da una casa editrice che si chiama significativamente Edizioni dell’Asino…: cfr. Enrico Berlinguer, La via dell’austerità. Per un nuovo modello di sviluppo, Edizioni dell’Asino, Roma 2010.) Quanto al “compromesso storico” di Berlinguer e Moro (vero precursore del consociativismo attuale benedetto dal Quirinale di Giorgio Napolitano), esso fu un poderoso e subdolo strumento per continuare a bloccare e a stabilizzare il sistema repubblicano italiano nel segno di una mancata dialettica tra forze alternative compiutamente democratiche. Il “compromesso storico” consentì il malinteso dell’”eurocomunismo” (formula ambigua e insensata che tanto piaceva a Enrico Berlinguer, ma che era priva di seria consistenza ideologica e politica entro un orizzonte democratico, liberale e libertario, incompatibile con qualunque prospettica comunista, europea o internazionale), ritardò l’evoluzione del PCI verso forme limpide e mature di socialdemocrazia, cristallizzò l’egemonia sulle istituzioni italiane della DC, impedì la prospettiva di una alternativa progressista che potesse portare al governo insieme PSI (+ altri partiti di centro-sinistra come PSDI, PRI, PR, etc.) e un PCI tramutato in qualcosa di diverso e migliore da sé.
MIA RISPOSTA ORA: Premessa. In un articolo siffatto, equivalente a 8 pagine Word scritte lunedì 3 marzo, ho necessariamente sintetizzato alcuni passaggi concentrandomi sugli aspetti che ritengo cruciali. Entrando nel merito, spiego subito che il migliorismo “non cercava di abbattere il capitalismo con la violenza ma di migliorarlo”, dunque era uno sbocco evolutivo fisiologico, condivisibile sic et simpliciter, aggiungendo che “lo scopo che si prefiggevano ontologicamente i miglioristi si era invece realizzato nel periodo di massimo sviluppo economico del Paese, negli anni ’70, in virtù del compromesso storico di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer…”. La frase però continuava con “…ma prima ancora per effetto della leale collaborazione tra il predecessore Luigi Longo e il presidente dell’Eni Enrico Mattei, vero pioniere della pubblica innovazione e della crescita sistemica nazionale. Tra molte ombre e vizi endemici (clientelismo, familismo amorale, malaffare e sprechi a livello politico-amministrativo) lo Stato italiano seppe declinare in senso progressista la propria rivoluzione industriale, sospinto da diverse istanze, soprattutto la presa di coscienza giovanile nel 1968 e la crescita elettorale del Pci”. Dunque parliamo di uno sviluppo che contempli anche il professo sociale. In questa differenza enorme risiede la risposta alle obiezioni seguenti, ad esempio relativamente alla modernizzazione del Paese attraverso le televisioni generaliste. A mio avviso questi mezzi di comunicazione di massa sono instrumentum regni del Sistema, adoperati cioè per inculcare modelli superficiali e distraenti in una cittadinanza maggiormente consapevole e politicamente attiva. Mi riferisco all’uso deformante di un settore peculiare per l’informazione e dunque basilare per la democrazia partecipata, non certo allo strumento in sè che come ogni innovazione tecnologica è un fattore positivo. Nota: il concetto di austerità-sobrietà espresso da Berlinguer per denunciare le storture del consumismo non ha nulla a che vedere con la dottrina dell’austerity imposta da tecnocrati privi di legittimazione elettorale.
TESTO: “Malgrado le differenze di condizioni economiche e storico-culturali di un popolo che ha conosciuto tardive unificazione, alfabetizzazione e democratizzazione, nell’ Italia del boom hanno avuto un ruolo analogo le forze sindacali, il movimentismo studentesco, il femminismo, i comunisti e alcuni intellettuali d’avanguardia. Il risultato di questo combinato disposto con la nuova coscienza delle classi lavoratrici, solidificatosi non senza difficili mediazioni tra i diversi strati della politica e dell’imprenditoria illuminata, è stato appunto il progresso sociale: l’obbligo scolastico fino a 14 anni, i diritti civili, il Servizio sanitario nazionale, l’evoluzione del Diritto finalmente depurato da disparità di genere, lo Statuto dei lavoratori e la Scala mobile, il meccanismo di automatico adeguamento dei salari all’inflazione…”
DPR: Ora, sarebbe più equo e rigoroso, sul piano storico, riconoscere che per il progresso dei diritti civili in Italia la parte del leone l’hanno recitata i radicali, i socialisti e altri esponenti del mondo laico e democratico, non certo i vertici comunisti, originariamente indifferenti se non ostili a quelli che percepivano come “fisime borghesi, lontane dalla sensibilità del proletariato”…
E anche sugli altri progressi sociali ed economici citati da Santachiara, parrebbe improprio disconoscere – accanto a quello dei “comunisti” – il ruolo dei socialisti, dei socialdemocratici, di svariate componenti della sinistra democratica laica e cattolica molto attive sia all’esterno che all’interno dei sindacati. Per quel che concerne le critiche che Santachiara rivolge successivamente ai governi del pentapartito (dunque con DC, PSDI, PRI e PLI, oltre che con il PSI) guidati da Craxi e Amato (esecutivi del 1984 e del 1992) in riferimento all’abolizione della scala mobile, la questione rimane controversa sulla bontà o meno di quello specifico meccanismo di adeguamento del lavoro salariato (non sul principio in sé di tutelare sempre il potere d’acquisto dei salari, almeno per Noi che lo condividiamo), ma occorre anche notare che se nel 1984 anziché un pentapartito con la DC e il PLI avesse governato ad esempio un quadripartito con PSI, PSDI, PRI e un Partito della Sinistra già emancipato dalle ubbie comuniste e però saldo nella tutela dei ceti più deboli, magari anche la legislazione sul lavoro avrebbe risentito positivamente di una tale situazione…
RISPOSTA: Ammetto l’errore. Tra le spinte esogene dell’evoluzione della società italiana hanno avuto un ruolo importante anche i socialisti pre-craxiani e i radicali. Per quanto concerne la scala mobile permangono obiezioni pertinenti, ad esempio sull’effetto spirale relativo all’inflazione, ma il presidente Obama, benchè limitatamente ad alcuni settori pubblici, ha intrapreso questo percorso per rilanciare i consumi.
TESTO: “Lo scatto in avanti per il bene comune assume ancor più valore nel contesto storico in cui è maturato: l’emancipazione dell’Europa dallo strapotere degli Stati Uniti, tornati al 25% della ricchezza mondiale come negli anni ’20, e dunque indotti dal governo Nixon a svincolare le riserve auree dall’emissione del dollaro, il cui valore era legato fino al 1971 a quello dell’oro, e nei due anni successivi ad un rapporto di cambio fisso con tutte le valute mondiali; nella sfera geopolitica il gendarme del mondo, reduce da insuccessi politici e militari a Cuba e in Vietnam, fresco complice del golpe de estado del generale Augusto Pinochet in Cile, osservava con crescente preoccupazione, come d’altra parte l’Unione sovietica, l’anomalia italiana condizionata dall’unico partito “comunista democratico” che viaggiava oltre il 30% dei consensi, nel crocevia mediterraneo tra i blocchi della guerra fredda anche per lo snodo con il mondo arabo”
DPR: E qui ci permettiamo di osservare che se effettivamente in Cile la nera ombra dei “massoni neoaristocratici e reazionari” (copyright GOD) guidati da Henry Kissinger ed altri produsse la barbarie del regime di Pinochet e se nel Vietnam furono compiute nefandezze da tutte le parti in causa, almeno a Cuba saremmo stati (e ancora saremmo) lieti di vedere affermata una democrazia liberale sostanziale, lontana sia dal modello dispotico di Fulgencio Batista (fino al 1959) che dalla successiva dittatura dinastica pseudo-comunista della Famiglia Castro. Inoltre, ogni qual volta si evochino gli USA, sarebbe apprezzabile rammentare che se l’Italia e altre nazioni europee hanno potuto compiere negli anni ’60 e ’70 “uno scatto in avanti per il bene comune”, ciò è dovuto proprio al fatto che gli Stati Uniti hanno protetto le nazioni occidentali del Vecchio Continente prima dalla barbarie nazi-fascista e poi da quella sovietica, per di più implementando – a partire dal Piano Marshall – un fondamentale supporto economico e finanziario per la ripresa industriale e commerciale dei territori europei. Infine, ci si permetta di osservare che un qualunque Partito Comunista (compreso il PCI), fintanto che sia rimasto tale e non sia evoluto in senso compiutamente socialista riformista- abbandonando il massimalismo palingenetico della sua dottrina- può anche presentarsi come “democratico” tatticamente, in previsione di una rivoluzione futuribile che i tempi ancora non consentono, ma la sua weltanschauung strategica di fondo (comprensiva di lotta classista alla borghesia, abbattimento del capitalismo, annullamento della proprietà privata dei mezzi di produzione, dittatura del proletariato, formazione di una burocrazia di Stato onnipotente, unica interprete autorizzata di una presunta volontà generale e di un bene popolare astratto) rimane incompatibile con una organizzazione sociale libera, pluralista e democratica.
RISPOSTA: Non ho mai negato i fondamentali meriti degli Stati Uniti nella storia del Novecento ed è un bene che a seguito delle Politiche del 1948 l’Italia non sia finita nell’orbita del Patto di Varsavia giacchè avremmo perduto libertà e democrazia. E’ altrettanto scontato concordare sui crimini dell’Unione sovietica e della dittatura cubana ma non colgo il nesso con la ricostruzione del periodo storico preso in esame. Passando all’argomento successivo, mi chiedo perchè considerare il massimalismo palingenetico come una condizione permanente, almeno fintanto che non si è realizzata la svolta, forse tardiva, dell’ultimo segretario del Pci e primo del Pds Achille Occhetto. Secondo questa interpretazione, manichea e superficiale, non sarebbe possibile neppure descrivere quella mutazione antropologica di cui trattiamo nel libro I panni sporchi della sinistra.
Da un punto di vista storico, se ogni cambiamento concreto dettato da forze e soggetti diversi fosse da assimilare come un fattore ininfluente rispetto ai principi originari – quelli deteriori, ossia antidemocratici- della dottrina comunista, diverrebbe inutile qualsiasi analisi, anche sull’involuzione di etica civile e progettuale della sinistra italiana. In altri termini, nel caso specifico, come si possono ignorare le scelte democratiche e gli strappi che Enrico Berlinguer ha faticosamente maturato e consumato rispetto all’Unione sovietica, attribuendo dunque ai comunisti italiani tout court una visione di fondo ancorata all’ “annullamento della proprietà privata e all’instaurazione della dittatura del proletariato”?
TESTO: “Con la scomparsa di condottieri come Moro e Berlinguer l’involuzione della sinistra, della politica italiana e della società ha subìto un’ impressionante accelerazione. I keynesiani forniscono una chiave di lettura importante sul “divorzio” tra ministero del Tesoro e Bankitalia. Nel 1981, per volere del governatore Carlo Azeglio Ciampi e del ministro Beniamino Andreatta, mentore di Prodi, Enrico Letta e tuttora stella polare di Renzi, la banca centrale non poté più presentarsi come acquirente di prima istanza di Bot e Cct, consentendo agli istituti di credito di stabilire il prezzo del rendimento dei titoli di Stato, ovvero tassi d’interesse favorevoli per i loro bilanci e dannosi per i conti pubblici, in modo esponenziale e permanente. Il mutamento ha prodotto una buona fetta dell’indebitamento dello Stato italiano, soggetto inoltre, sempre per la mancata protezione di Bankitalia, all’assalto degli speculatori stranieri che nel 1992 costrinsero l’Italia a svalutare uscendo dal sistema monetario europeo.”
DPR: Tutto giusto e sacrosanto quello che viene osservato a proposito del divorzio (truffaldino, ai danni dell’interesse generale) tra Ministero del Tesoro e Bankitalia. Meno pregevole e condivisibile definire “Moro e Berlinguer” (pace all’anima loro) condottieri schierati contro l’involuzione della sinistra italiana o assimilarne la lezione a quella di due baluardi della visione keynesiana della società. Proprio Beniamino Andreatta deve la sua ascesa politica sin dagli anni ‘60 ad Aldo Moro (di cui fu autorevole consigliere economico) e il Berlinguer eurocomunista, anti-capitalista, anti-consumista ed elogiatore della via dell’austerità ha pochissimo in comune con quel sincero democratico e liberale progressista che fu John Maynard Keynes (difensore del libero mercato in armonia complementare con un ruolo stabilizzatore e regolatore dei poteri pubblici) appartenente a quel Liberal Party britannico che con il Rapporto Beveridge “sulla sicurezza sociale e i servizi connessi” (1942) tracciò la via maestra di ogni moderno sistema di welfare. Dalla stessa fucina democristiana morotea e andreattiana venne quel Romano Prodi cui giustamente Santachiara imputa la cattiva privatizzazione di molte aziende dell’IRI.
RISPOSTA: Anche Moro e Berlinguer hanno commesso errori. Apprezzo gli scritti di Keynes, che non ho associato a protagonisti del mini-saggio, leggo con attenzione gli studiosi che diffondono tale policy rispetto al ruolo decisivo dei poteri pubblici nell’ambito di un’economia ovviamente (repetita juvant) di libero mercato.