venerdì 24 gennaio 2014

FABRIZIO TESTA: Simone Cattaneo, l'ultimo poeta metropolitano



Esiste una Milano fatta di stradoni vuoti ed infiniti, cavalcavia, periferie, paeselli adorni di tetri capannoni industriali, fabbriche, vapori, campagne lacerate e mercatoni. Esiste la provincia di Milano, inquietante e fitta di nebbia, fatta di piccoli, piccolissimi centri; Buccinasco, Corbetta, Limbiate, Corsico, Saronno, tanto per fare alcuni esempi.

E dentro questi paeselli ci si accorge che vivono persone più o meno normali, sciatte, grigi, cattive. L’italiano medio, che corre a Milano il sabato pomeriggio per l’aperitivo, che si scopa le puttane, che lavora nei cantieri, stanco della moglie grassa e sciatta consuma cocaina per dimenticare, balla al centro della discoteca guardando il culo delle minorenni, ama il calcio più del proprio Dio e non crede in niente, nemmeno in Gesù Cristo. E’ un essere egocentrico, l’italiano medio, duro e spietato che ormai ha esaurito qualsiasi sogno o ideale e finalmente spera di non sperare.

Sono questi i personaggi delle poesie di Simone Cattaneo, giovane di provincia con la passione per la narrativa, il cinema e la musica americana, nato a Saronno nel 1974 si avvicina poco più che ventenne a questa forma d’espressione, anomala per un tipo come lui; alto due metri, capellone selvaggio, muscoli al posto giusto. Non ha il fisico del poeta, non frequenta l’ambiente degli intellettuali, non raggiunge il cocktail party per conoscere il potente di turno che potrà parlare bene di lui. Cattaneo se ne fotte, entra nel suo girone dantesco fatto di ladri, figli di puttana, ubriachi e disperati, si taglia e si ferisce con loro riportando in tutta la sua scrittura asciutta e per niente lirica, la verità rabbiosa di quello che effettivamente siamo, pietosi e dolenti, schifosi e terribilmente bastardi.

Basta leggere l’inizio d’una poesia come questa, assolutamente incredibile, per capire:

Non mi importa niente dei bambini del Burchina Faso che muoiono di fame,
non ne voglio sapere delle mine antiuomo,
se si scannassero tutti a vicenda sarei contento.
Voglio solo salute,soldi e belle fighe. Giovani belle fighe, è chiaro (.....)

Simone Cattaneo, dopo un primo libro nel 2001 - Nome e Soprannome (atelier) – (già una chiara dichiarazione d’intenti anche se impregnato ancora d’un lieve lirismo di fondo) scrive il suo capolavoro nel 2008, Made in Italy (atelier) trentasette scatti impetuosi su questa maledetta italietta provinciale (Cattaneo vive a Saronno e si concentra molto sulla geografia del suo territorio e soprattutto su quella Milano reduce dagli anni ’80 e da mani pulite) che puzza di tristezza, di solitudine, di disperazione.
Le poesie di Cattaneo non cercano la rima, sembrano piccoli racconti, come soggetti di qualche film con Pacino o De Niro. Paralizzano il fruitore, lo trascinano negli inferi della sciatta periferia del nord, lo prendono a cinghiate in un bagagliaio di un Alfa, lo portano nei cessi della Stazione Centrale, a bere al bar un campari parlando delle linee di Versace, pensando a chi scopare, quale crema abbronzante usare e soprattutto come fare per dimenticarsi di tutto.

Forse per qualche radical-chic del cazzo (il tipico milanese?) le poesie di Cattaneo potranno sembrare solo furberia. Lo scimmiottare qualche autore americano, il pavoneggiarsi d’esser l’ennesimo maledetto tra i tanti messi in fila e mitizzati dalla storia.
Ma Simone ha pronta la risposta per zittire anche loro,  dimostrando a tutti la sua serietà e la sua totalizzante passione.
Il 10 settembre del 2009, a soli 35 anni, si lancia dal settimo piano di casa sua, in una palazzina di Saronno, diventanto forse egli stesso personaggio-vittima della sua produzione lirica.
Uscirà postumo nel 2012 Peace and Love, il terzo libro che aveva pronto nel cassetto, ancora più delirante e cattivo, ancora più incredibile perchè terribilmente vero.


Sono in pochi a saper scrivere davvero!

ANTONELLO CRESTI: I Beach Boys e la "mistica della California"



Il 2012, che segnava i primi cin­quanta anni della sto­ria della «ame­ri­can band» per eccel­lenza, i Beach Boys, ha riba­dito ancora una volta gran­dezze e mise­rie di que­sto gruppo che, nato quasi come gioco tra parenti e amici in una pic­cola cit­ta­dina della Cali­for­nia, ha finito per risul­tare tra i più amati e noti della intera sto­ria del rock. Il 2012, infatti, ha ripor­tato, in stu­dio, con un nuovo album dopo circa venti anni di silen­zio disco­gra­fico, e sui pal­chi di tutto il mondo, i super­stiti di que­sta lunga avven­tura, apparsi ancora una volta all’altezza della loro leg­genda, ben­chè segnati senza mise­ri­cor­dia dal tempo e dalle nume­rose e vele­nose vicis­si­tu­dini legali che hanno messo per anni i «boys» uno con­tro l’altro. Il surf insomma ha potuto cele­brare una enne­sima gio­vi­nezza e quella «estate senza fine» can­tata da Wil­son e com­pa­gni è sem­brata ancora una volta realtà! Pec­cato però che, pro­prio a con­clu­sione del reu­nion tour, il front­man Mike Love, il sem­pli­ciotto dalla voce nasale e dalle sim­pa­tie repub­bli­cane, abbia pen­sato bene di tron­care il rin­no­vato soda­li­zio con il «genio» Brian Wil­son, per potersi di nuovo con­cen­trare sulla dimen­sione di puro revi­val a lui più con­ge­niale… Si è trat­tato, insomma, dell’ennesima pagina oscura di que­sta band cono­sciuta dai più per le «good vibra­tions», ma, para­dos­sal­mente, segnata invece da lutti, scon­tri e dolori assortiti…Que­sta dico­to­mia così forte tra la fan­ciul­le­sca feli­cità del pro­prio rifu­gio crea­tivo e le oscu­rità delle pro­prie vicende esi­sten­ziali, è pro­ba­bil­mente, pro­prio come fu per Mozart, l’ingrediente chiave che rende le com­po­si­zioni di Brian Wil­son espres­sioni asso­lute dell’arte della can­zone e dell’arrangiamento.Bene dun­que che si sia preso spunto da que­sto cin­quan­ten­nale per com­piere un nuovo salto nello scon­fi­nato archi­vio di regi­stra­zioni della band cali­for­niana e pub­bli­care un cofa­netto anto­lo­gico inti­to­lato Made in Cali­for­nia (6cd, Capi­tol Records) che, lungi dal voler ripro­porre ancora una volta il solito pugno di clas­sici con cui fare cassa, tenta di trac­ciare una visione alter­na­tiva dei Beach Boys attra­verso rarità, inci­sioni alter­na­tive e docu­menti live. Made in Cali­for­nia infatti suona esat­ta­mente non come una col­le­zione o un «grea­test hits», ma, come una «sto­ria» della più influente band ame­ri­cana di tutti i tempi, un tor­tuoso iti­ne­ra­rio che ci riporta indie­tro nel tempo fino al 1962, per poi riper­cor­rere tutte le fasi evo­lu­tive della band, sfug­gendo sem­pre da ste­reo­tipi con­so­la­tori. Quello che infatti emerge da que­sto box anto­lo­gico, bello quanto neces­sa­rio, è la pro­fonda dif­fe­renza, tal­volta reale incom­pa­ti­bi­lità, degli sti­moli crea­tivi appor­tati da cia­scun pro­ta­go­ni­sta del gruppo nell’arco degli anni… Un calei­do­sco­pio che stor­di­sce, può per­sino irri­tare, ma che alla fine non può non affa­sci­nare! Ecco dun­que come i primi inge­nui inni alla filo­so­fia surf si tra­mu­tano ben pre­sto in malin­co­nici qua­dretti di arti­gia­nato pop di squi­sita fat­tura, per poi toc­care i deliri psi­che­de­lici del leg­gen­da­rio album mai uscito Smile (nume­rosi gli estratti pre­senti in Made in Cali­for­nia) e infine sfo­ciare in una fram­men­ta­zione sti­li­stica frutto soprat­tutto della lunga fuga dalla realtà di Brian Wilson.Dagli anni set­tanta in poi infatti vedremo emer­gere da un lato il talento cri­stal­lino, ma sco­stante, del ribelle Den­nis Wil­son, che morì per anne­ga­mento, imbot­tito di alcool e cocaina, nel 1983, oppure quello del fra­tello minore Carl, morto invece per tumore nel 1998, e dall’altro il cir­cense car­roz­zone nostal­gico pro­mul­gato da Mike Love (suoi alcuni degli epi­sodi più imba­raz­zanti di decenni di altri­menti lode­vole pro­du­zione artistica).Inu­tile riba­dirlo, i Beach Boys ancora oggi sono uno strano oggetto della sto­ria della musica gio­vane, amati cer­ta­mente, ma tal­volta non com­presi fino in fondo o addi­rit­tura guar­dati con sospetto dal medio ascol­ta­tore rock. Que­sto Made in Cali­for­nia, con i suoi 470 minuti di musica, potrà final­mente ricon­se­gnare al pub­blico, non cen­su­ran­done affatto certe con­trad­di­zioni, le reali dimen­sioni di una leg­genda musi­cale che con­ti­nua a diver­tire e com­muo­vere milioni di per­sone con le pro­prie can­zoni, pro­ve­nienti ora­mai da un’epoca lontana…

fonte: Il Manifesto 10/01/2014

giovedì 23 gennaio 2014

MAURIZIO NERI: Comunismo comunitario





«Ma non scoppiano forse tutte le sommosse, senza eccezione, nel disperato
isolamento dell’uomo dalla comunità (Gemeinwesen)?» Karl Marx, 1844



Riflessioni e proposte per promuovere il dibattito.

Questo saggio vuole contribuire a delineare i tratti del pensiero del Comunismo Comunitario
inserendosi nel discorso iniziato nelle pagine di Comunitarismo diversi anni fa in due diversi saggi sul comunitarismo.
I due articoli in questione rappresentano una importante e lucida ricostruzione delle varie influenze del pensiero comunitarista italiano e riescono a cogliere come i termini «comunità» e «comunitarismo» siano stati utilizzati dalle più eterogenee forze politiche a dai più diversi Autori. Ritengo però che il volersi rifare ad analisi ed elaborazioni fatte da altri, o il voler ricondurre il proprio agire politico a quello di movimenti del passato, rappresentino entrambi un limite.

Ecco allora che emerge la necessità di tentare di formulare in positivo che cosa è la comunità.
Se ci soffermiamo sul significato della parola «comunità» ci accorgiamo che essa è riconducibile, indefinitiva, ad un duplice senso: ciò che è in comune ed essere-in-comune.
Se vogliamo, possiamo considerare ciò che è in comune come l’oggetto materiale del vissuto, la comunità stessa o, più precisamente, tutte le sue componenti che devono essere messe in comune. L’essere-in-comune rappresenta invece la modalità di esistenza del libero individuo che partecipa direttamente, insieme agli altri, a ciò che è in comune.
L'idea di comunismo comunitario toglie di mezzo anche un certo tipo di marxismo utopico come presupposto per una società di anime belle.
La comunità comunista non cerca l'Uomo come un certo tipo di marxismo scientifico confusionario lascia intendere, ma cerca il presupposto umano nelle varie forme di scambio sociale. Umane, non sovrumane; e l'umanità è data dalla consapevolezza che ogni costruzione sociale non si può basare sul profitto per il profitto ma deve tendere a un benessere inclusivo e non esclusivo.
L’esigenza della comunità, pensata esplicitamente come esigenza del comunismo, tema mai come ora inattuale e, nello stesso tempo, all’ordre du jour della storia. Il pensiero (e l’esigenza) della comunità è,infatti, ciò che dovrebbe caratterizzare una politica che, come quella comunista, volta marxianamente all’emancipazione degli individui, sia capace di fare un passo al di là delle politiche delle libertà e delle uguaglianze che, per quanto condizioni imprescindibili di emancipazione, restano pur sempre i cardini su cui poggia il dominio capitalista, e attraverso cui esso riproduce le sue ineguaglianze e le sue Ingiustizie.

E il Capitale stesso ci obbligherà sempre più a considerare ogni problema non tanto dal punto di vistadell'economia e della politica, per quanto "rivoluzionaria", ma immediatamentedal punto di vista dellacomunità umana futura.Ma facciamolo dire direttamente a Marx:

"Non scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato isolamento dell'uomo dalla comunità? Ogni rivolta non presuppone forse necessariamente questo isolamento? Avrebbe avuto luogo la rivoluzione del 1789 senza il disperato isolamento dei cittadini francesi dalla comunità? Essa era appunto destinata a sopprimere tale isolamento. Ma la comunità dalla quale l'operaio è isolato è una comunità di ben altra realtà e di ben altra estensione che non la comunità politica. Questa comunità, dalla quale il suo lavoro lo separa, è la vita stessa, la vita fisica e spirituale, la moralità umana, l'attività umana, l'umano piacere, la natura umana. La natura umana è la vera comunità umana. Come il disperato isolamento da essa è incomparabilmente più universale, insopportabile, pauroso, contraddittorio dell'isolamento dalla comunità politica, così anche la soppressione di tale isolamento – e anche una reazione parziale, una rivolta contro di esso – è tanto più infinita quanto più infinito è l'uomo rispetto al cittadino e la vita umana rispetto alla vita politica.La rivolta industriale, perciò può essere parziale fin che si vuole, essa racchiude in sé un'anima universale; la rivolta politica può essere universale fin che si vuole, essa cela sotto le forme più colossali uno spirito angusto"(Marx, Glosse di critica a 'un prussiano').

Comunità e lavoro

Parlando della prima categoria – cioè di ciò che è in comune– vorrei analizzare brevemente quali sono gli elementi di una comunità che considero essere in comune.
Il primo elemento è senza dubbio il lavoro. Ma, per chiarire il ruolo del lavoro in comune, bisogna innanzitutto capire quale è la critica delle dinamiche politico-economiche che riguardano l’ambito lavorativo ed essere coscienti di quali ostacoli intellettuali e materiali occorre superare.
In questo caso, può venire in nostro aiuto il buon vecchio Marx. «Immaginiamo un’associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale»;che decidano insieme quale parte del loro prodotto complessivo debba servire a sua volta da mezzo di produzione e con quali scopi, e quale parte vada consumata come mezzo di sussistenza dai membri della comunità. Immaginiamo anche (come voleva fare la Comune di Parigi del 1871) che al posto del sistema capitalista «delle associazioni cooperative unite debbano regolare la produzione nazionale secondo un piano comune».3
Questo vuol dire che i produttori devono impadronirsi dei mezzi di produzione, rovesciando i capitalisti. E vuol dire anche che essi devono rovesciare i concettidell’economia politica, quell’abitudine quotidiana che ci fa apparire ovvio che i rapporti fra persone siano rapporti fra cose, che produrre sia uguale a produrre merci.

Marx parla della necessità del formarsi di una comunità come coscienza di classe, ovvero di un soggetto completo che sappia cogliere l’importanza di ciò che avviene a livello di produzione non solo come conflitto tra operaio e padrone, ma tra operaio e merce. È nella merce che passa il valore dell’opera dell’uomo e quel valore diventa lo strumento indispensabile, per il capitalista, per il formarsi del soggetto capace di riprodurre quella merce in denaro. Solo un soggetto consapevole di quel passaggio può condurre una lotta politica a tutto tondo.
Se i produttori controllano la produzione, cioè se la regolano in anticipo decidendo cosa e quanto produrre, quanta parte del lavoro sociale dedicare ad ogni articolo in relazione all’estensione del corrispondente bisogno, i prodotti del lavoro non diventano merci, non vengono venduti. Non si produce più valore, ma valori d’uso, beni per determinati scopi.
L’abolizione della forma di lavoro capitalista, cioè come lavoro astratto che crea valore, ha delle immediate ripercussioni anche dal punto di vista politico. Alla morte del valore corrisponderà la fine della gestione indiretta, della politica separata: «quando tutta la produzione sarà concentrata in mano degli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico».4
Alla sovranità popolare espressione individuale dei cittadini che, separati da dove operano, non possono nulla nel meccanismo economico,subentra «l’autogoverno della comunità», in cui la politica diventa «amministrazione delle cose», controllo sulla produzione. E anche controllo sul proprio sviluppo, perché solo nella comunità può essere superata la divisione del lavoro:
«solo nella comunità con altri ciascun individuo ha i mezzi per sviluppare in tutti i sensi le sue disposizioni; solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale [...]. Nella comunità reale gli individui acquistano la loro libertà nella loro associazione e per mezzo di essa».



Comunità e questione nazionale

Fate della causa della Nazione la causa del popolo e
la causa del popolo sarà quella della Nazione” V.I. Lenin

Un altro importante elemento che è in comune consiste in quel complesso di usi, tradizioni, lingue, modi di vivere, modalità di approccio con il territorio e tipologie di sfruttamento di quest’ultimo che chiamiamo «nazione». Il sentimento nazionale è la prima scintilla, è il primo abbozzo embrionale che,sebbene oggi sia avvertito solo inconsciamente, permette agli strati popolari di sentirsi parte di qualcosa,di afferire ad una comunità.
Per il pensiero comunitario la «nazione» non è qualcosa di imposto ossia sovrastrutturale alla comunità,ma consiste nello stato aggregativo della comunità stessa: è proprio l’elemento nazionale che è oggetto della comunità e non il contrario, perciò lo considero come colonna portante di ciò che è in comune.
A questo punto occorre ribadire, ancora una volta, la differenza abissale che c’è tra elemento nazionale che è in comune e nazionalismo. Il primo è stato definito e tratteggiato brevemente all’inizio del paragrafo; il secondo, invece, è quell’ambizione sciovinista ed espansionista, propria di uno Stato forte che vuole ampliare la sua sfera di dominio al di fuori dei propri confini. Il nazionalismo non ha limiti, non ha misura: è incontinente. Tale visione presuppone la presunzione di superiorità di uno Stato nazionalista.
Tutti coloro che ragionano con la loro testa e che non hanno pregiudizi si renderanno conto della differenza tra questo nazionalismo e tra elemento nazionale che è in comune.
Un’ altra riflessione che bisogna fare è quella che il nazionalismo, in ultima analisi, è la negazione delle nazioni e delle loro differenti espressioni. Infatti, se la massima espressione del nazionalismo è l’impero(sia che si chiami impero americano esteso su tutto il globo, sia che si chiami impero eurasiatico), questa è anche la massima espressione dell’omologazione e della negazione delle differenze culturali all’interno di esso.
I comunisti comunitari si oppongono ed avversano fortemente il «nazionalismo militante borghese»,infatti «la borghesia di tutte le nazioni [...] sotto la parola d’ordine della “cultura nazionale” persegue di fatto la divisione dei lavoratori, l’indebolimento della democrazia, e realizza transazioni commerciali con i fautori del servaggio vendendo i diritti e la libertà del popolo».6

In questo senso i comunisti comunitari abbracciano «il programma nazionale della democrazia operaia: non concedere il minimo privilegio a nessuna nazione e a nessuna lingua; risolvere il problema dell’autodecisione politica delle nazioni, cioè della loro separazione statale, in modo
completamente libero e democratico; promulgare una legge generale dello Stato, in forza della quale ogni disposizione che assicuri in qualche modo un privilegio a una delle nazionalità, che violi la parità giuridica delle nazioni o i diritti di una minoranza nazionale, venga dichiarata contraria alla legge [...] e che si prendano sanzioni penali contro chi cerchi di applicarla».7

«Nel formulare la parola d’ordine della “cultura internazionale della democrazia e del movimento operaio mondiali” noi prendiamo da ogni cultura nazionale soltanto i suoi elementi democratici e socialisti, e li prendiamo soltanto e assolutamente in antitesi alla cultura borghese, al nazionalismo borghese di ogni nazione».8
Inoltre, l’elemento nazionale che è in comune è perfettamente compatibile con l’internazionalismo di classe, che considero come rapporto tra comunità nazionali basato sulla solidarietà e l’appoggio reciproco. Bisogna riflettere sul fatto, infine, che l’elemento nazionale che è in comune è l’unica difesa che una comunità può opporre alla globalizzazione omologante.

Comunità e autogestione

Un aspetto che viene spesso trascurato, e che tuttavia riveste un ruolo centrale, è quello
dell’organizzazione e della gestione pubblica dei servizi e dei beni sociali della comunità. Il problema è conciliare il bisogno di servizi comunitari efficienti, regolari e funzionali con la legittima gratuità degli stessi. Questi importanti elementi in comune comprendono la scuola, la sanità, i trasporti, le distribuzioni idrica ed elettrica, eccetera, che devono essere gratuiti, indipendenti ed organizzati in modo Autogestionario.
Il termine autogestione è relativamente recente, dato che è iniziato a circolare a partire dalla metà del secolo scorso. Tuttavia, anche nel secolo XIX erano stati affrontati argomenti del genere e, persino Marx, sebbene non abbia mai parlato di autogestione, si interessò a quello che questa parola designa, eche allora si chiamava «cooperativa di produzione». Egli arriva infatti ad affermare che «tutto comincia con l’autogoverno della comunità».9
Il discorso marxiano sulle cooperative operaie di produzione era però rivolto al sistema organizzativo autogestionario industriale alternativo al modo di produzione capitalistico classico. La sfida è Rappresentata dall’estensione della gestione diretta a tutto ciò che è in comune. A mio avviso, tale allargamento di campo può essere svolto dall’organizzazione consiliare, stavolta non rivolto solamente agli operai, ai soldati e ai contadini, ma a tutti i componenti della comunità. Si potrebbe a questo punto parlare di Comunità Comuniste.
I consigli sopprimono la distinzione tra azione politica e azione diretta ed appaiono come una rinascita della democrazia diretta; essi esercitano un controllo diretto e continuo sui loro delegati che sono revocabili in ogni momento. Mentre il partito riproduce nella sua organizzazione la struttura della società capitalistica che distingue tra dirigenti ed esecutori, il consiglio è l’immagine della società solidale ed omogenea che sola può rendere possibile la democrazia. Tuttavia le comunità comuniste non si devono sclerotizzare a loro volta e diventare strumenti di dominio permanente sulle altre parti della popolazione, ma essere organizzazioni transitorie, strumenti rivoluzionari per rompere l’apparato dello stato e realizzare la società senza classi.
Il sistema dei consigli è la rappresentazione non di un partito ma di un’idea: trasformare un popolo di oppressi e di sottomessi in una comunità di uomini liberi che si determinano con cognizione di causa e che diventano padroni del loro destino.

Essere-in-comune

Dopo aver tratteggiato brevemente quelli che possono essere considerati gli elementi importanti che una comunità deve mettere in comune, possiamo passare ad analizzare l’altra componente della comunità,che forse è ancora più importante della prima, dato che senza di questa non possiamo immaginarne nemmeno l’esistenza. L’essere in comune è appunto riferito ai componenti della comunità. Ma gli stessi componenti, sebbene fondamentali per l’esistenza della comunità, possono essere gli artefici di un ribaltamento dialettico che li condurrebbe da una modalità aggregativa ad un’altra disgregativa.
Occorre quindi prestare la massima attenzione all’individuo moderno, «anzi l’in-dividuo, questo atomo sociale non ulteriormente divisibile»,10 protagonista «in potenza» di una società-comunità ovvero comunista comunitaria.11
Il capitalismo reale che stiamo subendo può essere erroneamente interpretato come l’artefice principale d el meccanismo di individualizzazione che sarebbe da tempo in atto nelle nostre società. In effetti,sebbene il capitalismo possa essere visto come «la prima società degli individui della storia»,12 io loconsidererei piuttosto come una società costituita da soggetti autonomi.
«Soggetto» è il subjectus latino, cioè la condizione di chi è sottomesso: sottomesso al consumismo capitalistico, all’artificializzazione dei Rapporti umani, che diventano rapporti mediati dalle merci. «Autonomo» indica invece l’atomismo e la disgregazione del tessuto sociale.
Tutto un altro significato riveste il concetto di individualizzazione, che si ricollega (come è stato colto brillantemente da Preve) al concetto marxiano di Gattungswesen13 cioè di essenza umana generica e che implica l’impossibilità della costituzione di una «comunità solidale moderna senza un preventivo processo di individualizzazione».14
Questo processo deve però essere inteso come liberazione del Soggetto autonomo dal modo di produzione capitalistico. Infatti è lo stesso Marx che dice che «il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata
capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale».15A mio avviso, però, attendere che la «contraddizione dialettica di tipo antropologico» si realizzi tra gli individui della classe media globale e che questi individui riescano «magicamente» a liberarsi dalla morsa capitalistica si rivelerà molto probabilmente vano. Allo stesso modo, ipotizzare la costituzione dell’essere-in-comune, come individuo liberato, per mezzo di un’azione dall’alto, che proceda dapprima alla costituzione del «contenitore» comunità e poi al «contenuto» delle libere individualità è, secondo me, un grave errore ideologico.
Il soggetto autonomopuò raggiungere la libera individualizzazione soltanto se acquista coscienza dellapropria subordinazione al dominio reale del capitalismo. Tuttavia soltanto una crisi profonda del mododi produzione capitalistico potrà aprire la strada alla nascita dell’essere-in-comune.
Inoltre, il richiamo alla comunità non deve diventare un nostalgismo sterile per una comunità più
arcaica, con il rimpianto di una fratellanza e una convivialità perdute; e, semmai fossero esistite comunità ideali a cui ispirarsi, bisogna essere coscienti della irreversibilità della storia. Non si tratta quindi di recuperare nessuno spirito comunitario perduto. «La Gesellschaft non è venuta, insieme con lostato, l’industria e il capitale, a dissolvere una Gemeinschaft precedente».16
Siamo noi in prima persona che dobbiamo sentirci chiamati ad approfittare di ogni possibilità per costruire ed organizzare una comunità umana a partire dai legami sociali che viviamo quotidianamente.

Note:
1. F. Ronchi, Alla ricerca del comunitarismo italiano(prima e seconda parte), Comunitarismo, marzo 2004 e luglio 2005.
2. K. Marx, Il capitale, libro I, Editori Riuniti, Roma 1994.
3. K. Marx-F. Engels, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma 1974.
4. K. Marx-F. Engels, Il manifesto del partito comunista, Laterza, Roma-Bari 2002.
5. K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 2000.
6. V.I. Lenin, L’autodecisione delle nazioni, Editori Riuniti, Roma 1976.
7. Ibidem.
8. Ibidem.
9. K. Marx, Appunti sul libro di Bakunin «Stato e anarchia», in Marx-Engels,
Marxismo e anarchismo, Editori Riuniti, Roma 1971.
10. C. Preve, Individui liberati, comunità solidali, CRT, Pistoia 1998.
11. Per quanto riguarda il nazionalitarismo – o elemento nazionale che è in comune– ne ho già esposto brevemente le caratteristiche altrove in questo saggio. Per quanto riguarda invece la società comunista, considero molto importanti la lettura e l’interpretazione di questa fatta da Costanzo Preve, che la vede come «comunità di libere individualità» (C. Preve, Comunitarismo e comunismo, in Comunitarismo, ottobre 2002).
12. C. Preve, Individui liberati, comunità solidali, op. cit.
13. «Con questo termine, si intende dire che l’uomo, a differenza degli altri animali, non ha un’essenza specifica che si trasmette per eredità naturale, ma ha un’essenza aperta che gli permette di costituire forme diversissime di socialità» (C. Preve, Individui liberati...op. cit.).
14. C. Preve, Individui liberati...op. cit.
15. K. Marx, Il capitale, libro I, Editori Riuniti, Roma 1994, citato in C. Preve,
Individui liberati...op. cit.

16. J.L. Nancy, La comunità inoperosa, Cronopio, Napoli

fonte: http://www.comunismoecomunita.org/?p=1280

RICCARDO PARADISI: Italia eco-insostenibile






Vent’anni. Si sono perduti vent’anni nella guerra civile a bassa intensità senza vinti né vincitori che ha portato l’Italia dalla crescita zero degli anni Novanta alla recessione; che ha incancrenito istituzioni, consolidato privilegi, bloccato la mobilità sociale, incattivito la società civile e ridotto la qualità della vita degli italiani a livelli che ognuno può empiricamente constatare ogni giorno sul lavoro, sui trasporti, nel campo dell’istruzione come in quello della sanità. Persino nell’aria che si respira, tra le più velenose d’Europa. L’Italia ha almeno 57 siti inquinati. I loro veleni hanno ucciso 1.200 persone all'anno negli ultimi sette anni. Quasi diecimila morti. Un bollettino di guerra. Del resto il nostro Paese non sembra conoscere la prassi delle bonifiche: continua a procrastinare gli interventi di risanamento, aggravando così i costi per le spese mediche. Secondo uno studio di Favo (Federazione italiana delle associazioni volontariato oncologico) e del Censis, l'Italia avrebbe speso 8,4 miliardi di euro per le patologie tumorali: lo 0,58 per cento del Pil. Non basta. Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia dell’ Ambiente (Aea) sulla qualità dell’aria nel Vecchio continente, tra le prime dieci città più inquinate d’Europa ben otto sono italiane: Pavia, Reggio Emilia, Treviso e Parma, Verona e Varese, Modena, Udine e Novara. Dati scioccanti. Che rivelano l’arcaicità d’un modello di sviluppo assimilabile ai parametri di una nazione emergente. Delegata ai verdi o ad associazioni ambientaliste l’ecologia semplicemente non figura, se non nominalmente, tra gli interessi dei principali partiti politici italiani che dettano l’agenda del paese. Eppure una visione politica che pretende di investire una società complessa contemporanea dovrebbe contemplare l’ecologia come sottofondo ad ogni scelta strategica. I conservatori inglesi, che hanno una tradizione politica alle spalle e dunque una visione della società, hanno fatto esattamente questo. Ponendosi due anni fa l’ambizioso obiettivo di traghettare l’economia nazionale verso un futuro eco-sostenibile. Ad oggi molte delle mete che Cameron si era prefissato – dalla riduzione di emissioni alle bonifiche ambientali - non sono state raggiunte, come era prevedibile; delle ventinove proposte inserite nel patto di governo, solo sette sarebbero state realizzate a pieno. Del resto anche la Gran Bretagna è investita dalla crisi internazionale e le risorse scarseggiano - ma è stato messo in moto un processo. Che ha coinvolto tutto l’arco politico inglese: i tre principali partiti – tories, laburisti e liberali hanno trovato sul green una sintonia d’intenti su una serie di misure mirate a riformare il tessuto energetico-industriale del paese. La green revolution è così diventato uno dei temi centrali del dibattito britannico, l’ecologia è diventato un impegno qualificante per ogni schieramento politico. Un’intelligenza politica di rispondere alle esigenze dei tempi che ha portato e porterà col tempo e progressivamente dei benefici agli inglesi in termini di salute e di qualità della vita. Non si tratta di destra o di sinistra, né di essere inglesi. Si tratta di visione politica, di classi dirigenti, di sensibilità culturale. Cose che non si mangiano come direbbe un ex ministro della repubblica italiano ma che fanno respirare e vivere meglio.

mercoledì 22 gennaio 2014

LEONARDO MAZZEI: Renzi, Berlusconi e l'idea della legge elettorale più antidemocratica di Europa!



L'avevamo scritto a caldo che qualcosa non tornava. Che il meccanismo annunciato dopo l'incontro Renzi-Berlusconi sembrava un punto di equilibrio assai improbabile tra gli interessi - in parte convergenti, in parte no - di questi due asfaltatori della democrazia e della Costituzione. C'era infatti una carta coperta, il tassello che doveva produrre la famosa quadratura del cerchio: il doppio turno di coalizione.

Con l'annuncio, a scoppio ritardato, del doppio turno, l'opera devastatrice del duo renzusconiano si è completata. E così, se non al primo al secondo turno, un sistema iper-maggioritario produrrà i suoi effetti, trasformando comunque in maggioranza di governo anche la più piccola maggioranza relativa.

I giochi però non sono ancora fatti. Alcuni commenti di politologi e costituzionalisti, apparsi sui quotidiani di questa mattina, dimostrano quanto sia grande la mostruosità formalizzata sabato scorso nella sede nazionale del Pd. Per rendersene conto basta leggere la rassegna proposta dal sito dell'Huffington Post. Un sito per niente proporzionalista, così come non sono proporzionalisti i commentatori citati... ma evidentemente quando è troppo è troppo.

Sui meccanismi del ri-porcellum peggiorato, confezionato dalla coppia Pd-Forza Italia, abbiamo già scritto a sufficienza. Qui mi soffermerò soltanto su un aspetto che è più che sufficiente a descrivere la mostruosità di quanto proposto. E cioè gli effetti del combinato disposto rappresentato dal mix premio di maggioranza-soglie di sbarramento. Effetti rispetto ai quali il Porcellum impallidisce. 

Di cosa si tratta è presto detto. Con il premio di maggioranza, ed ancor di più con il doppio turno, potrebbe determinarsi un quadro in cui una coalizione vince con il 35% dei voti, ma con un solo partito al proprio interno che supera la fatidica quota del 5%, magari raggiungendo a malapena il 20% dei consensi. Cosa succede in questo caso? Succede che le liste che non arrivano al 5% non ottengono alcun seggio, ma i voti che hanno comunque conseguito servono a far raggiungere alla coalizione il 35%, e dunque a far scattare il premio di maggioranza del 18%. Ma chi si aggiudicherebbe quel 53% di seggi? Se li aggiudicherebbe tutti l'unico partito della coalizione ad aver superato il 5%, quello che abbiamo ipotizzato possa essersi fermato al 20%. Un 20% di voti si trasformerebbe così in un 53% di seggi. Come è possibile non sollevarsi contro una simile mostruosità. E come è possibile che in tanti tacciano, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale?

Guardate, che l'ipotesi fatta non è meramente teorica. Anzi! Pensiamo alla destra: se Forza Italia (così dicono i sondaggi) è attorno al 20%, l'aggiunta dei voti di Lega, Ncd, Fratelli d'Italia, La Destra, e magari una parte dei cosiddetti "centristi", potrebbe portare quello schieramento alla soglia decisiva. Probabilmente Salvini, Alfano, Storace e La Russa (e magari Casini) - non raggiungendo il 5% - farebbero solo i portatori d'acqua, ma alla fine Forza Italia avrebbe vinto le elezioni. Avete capito perché Berlusconi gongola?

Naturalmente, una simulazione simile è possibile anche sull'altro versante, dove i maggioritaristi del Pd si fanno forti anche del doppio turno. 

Altro che Italicum, come vorrebbe Renzi! Quello congegnato è il sistema più antidemocratico d'Europa. Prendiamo la soglia di sbarramento all'8% per chi sta fuori dalle coalizioni. Il modello Renzi-Berlusocni è peggiore perfino di quello francese. Volete una prova? Nel 2012, in Francia ilFront de Gauche con il 6,91% ha ottenuto 10 seggi. Molti di meno di quanti gliene sarebbero spettati, ma comunque 10 rispetto allo zero tondo che toccherà a chi in Italia si fermerà al 7,99%.

Di fronte a tutto ciò lasciamo perdere il latino e chiamiamo una volta per tutte quella proposta con il suo nome: Legge Truffa.

Una Legge Truffa che ha quattro precisi obiettivi: 1) trasformare una modesta maggioranza relativa [di votanti] in maggioranza assoluta [di seggi]; 2) favorire sfacciatamente non tanto i maggiori partiti (il primo partito italiano alle ultime elezioni politiche è stato infatti il Movimento Cinque Stelle) quanto i due partiti sottoscrittori dell'accordo (Pd e Forza Italia); 3) costringere le formazioni minori all'integrazione, alla subalternità e comunque all'irrilevanza; 4) sbarrare la strada a nuove forze che potrebbero emergere soprattutto in un momento come questo.

Quel che si vuole ottenere è chiaro: solo la casta dominante deve contare, mentre l'opposizione popolare alle politiche dei sacrifici dev'essere relegata a mero dissenso politicamente non rappresentabile. Tutto il potere alle oligarchie!, questo è il loro slogan. Ed è talmente vero che, in barba alla stessa Consulta, non hanno inteso mollare neppure il privilegio di nominare direttamente i parlamentari.

Che fare, adesso?




Chiarita la portata dell'imbroglio, non resta che pensare alla mobilitazione. Che nessuno creda che la cosa non ci riguarda. Certo, non è che con le leggi elettorali di questi ultimi vent'anni ci fosse da stare allegri. Ma qui c'è un salto di qualità. Un salto che va letto in parallelo a quello che il blocco dominante vuol compiere sul piano economico e sociale. Come sempre, le strette autoritarie ed antidemocratiche servono a colpire i diritti e gli interessi delle classi popolari. Dietro a questa nuova Legge Truffa c'è dunque la volontà di erigere mura inaccessibili, dietro le quali le forze dominanti possano portare a termine il macello sociale già in atto.

Dietro a Renzi ci sono potenti forze dell'economia, e soprattutto della finanza. Forze che vogliono accelerare sulle privatizzazioni, sulla svendita del patrimonio pubblico, sull'attacco ai diritti dei lavoratori. La necessaria battaglia democratica è perciò battaglia politica e sociale. Tutto si tiene, come aveva ben compreso anche il grosso del Movimento del 9 dicembre, la cui piattaforma originaria metteva insieme la questione sociale e quella democratica, tenuta non a caso agganciata al dettato costituzionale.

Con le dimissioni di Cuperlo il decisionismo renziano ha già prodotto una prima spaccatura nel Pd. Spaccatura, beninteso, del tutto insufficiente, perché ancora interna ad una logica comunque maggioritaria. Spaccatura tuttavia positiva, perché segnala quanto sia entrato in fibrillazione il sistema politico, ed in particolare il partito sul quale in buona parte si regge (oltre al governo) l'intero sistema politico. 

Fra qualche tempo la Legge Truffa andrà in Parlamento. Lì, possiamo esserne certi, scoppieranno mille contraddizioni che qui non possiamo esaminare nel dettaglio. Di certo ci sarà la ferma opposizione del M5S, che ci auguriamo tanto forte quanto fortemente orientata in senso proporzionalista. Questa opposizione va aiutata, sostenuta ed incoraggiata in tutti i modi.
Solo un potente movimento, non solo d'opinione, potrà sconfiggere il disegno autoritario renzusconiano. Tante volte abbiamo visto le piazze italiane riempirsi in nome della Costituzione. E troppe volte è avvenuto in modo rituale, istituzionale e politicamente inefficace. Bene, mai come questa volta l'attacco alla democrazia è forte e pesante, in un certo senso "definitivo". Riempiamole allora le piazze, ma facciamolo in modo efficace, avendo chiaro che difendere oggi la Costituzione significa solo una cosa: bloccare la Legge Truffa, mandare a casa questo parlamento e votare con il sistema proporzionale così come è uscito dalla sentenza della Corte Costituzionale.


martedì 21 gennaio 2014

FULVIO ABBATE: Il piacere di essere una "contestazione vivente"



Intervista a cura di: Davide Gonzaga

-Abbate e la Patafisica.
Abbate e l'arte.
Abbate e Teledurruti.
Abbate e la sinistra.
Da dove cominciare?
Cominciamo da “Intanto anche dicembre è passato”, uscito per Baldini &
Castoldi.
C'è una foto, vista su internet, che mi piace.
Lei e Pietrangelo Buttafuoco.
Se non fossimo un paese “di tengo famiglia”, dico io, verrebbero entrambi
letti nelle scuole.
Che ne dice? E' così?

Posso rispondere per me stesso, mi basterebbe che avesse l’ascolto da parte di
un pubblico non banale e neppure conformista, un pubblico in grado di sapere che 
narrare è soprattutto invenzione e non una fotocopia entusiasta della realtà, 
per quello c’è già il
giornalismo, c’è il rotocalco, c’è il luogo comune dei trentenni che aderiscono
all’esistente con entusiasmo glamour, come si percepisce nel 90 per cento dei 
commenti su Twitter.


-Restiamo sul libro. Sulla copertina, che mi piace molto. Un lettore
incuriosito è già rapito. Capisce che c'è lei, che c'è tutta la sua famiglia.
Un libro dove lei si racconta, dove racconta a noi di tutti voi.
Una sorta di mausoleo non cupo, mi deve perdona re l'apparente contraddizione,
che si chiude con la cremazione di mamma Gemma che tutti abbiamo imparato a
conoscere su Teledurruti.
Ce ne parli un po'.

E’ un romanzo sull’infanzia e la morte. Spero, senza retorica, senza
sentimentalismi, non è un romanzo familiare in senso stretto, piuttosto si
tratta di un racconto dove l’invenzione sta accanto al reale, ho cercato di
salvare i miei familiari dall’oblio della fine, ne ho fatto personaggi in grado
di competere, che so?, con un Don Chisciotte, con un Diabolik, con una Eva
Kant, come ha scritto Giorgio Vasta recensendolo ho cercato di “trasformare il
lutto in incanto” .


-Un libro che in questi giorni lei ha autocandidato al Premio Strega.
Dritto dritto nel cratere del veltronismo più paludato. Magari incontrando a
Villa Giulia la vestale dall'occhiale pensante Concita de Gregorio.
Sarà così?

Anni fa lessi un libro che si apriva con una citazione: “Se vuoi che t’aprano
conta fino a cinquantamilaquattrocentoventinove ma non chiedere mai permesso”.
Ecco, un artista non chiede il permesso per esistere, si prende da solo il
mondo, la realtà, e se è il caso sale sulla propria barricata poetica. Il resto è
clientelismo, magari dal volto umano trattandosi di personaggi di sinistra, 
sono soprattutto questi ultimi a gestire gli indirizi, appunto, culturali e mediatici. 
Verso Concita De Gregorio provo un senso di commiserazione, la stessa che si
può riservare a chi coltiva luoghi comuni edificanti, niente è più noioso dell’
idea del bene contrabbandata per sentire civile. D’altronde lei è lo specchio
di un pubblico privo di vero slancio liberatorio. L’unico argomento che certuni
hanno rispetto al mio mondo libero e radioso e colmo di eros esplicito è soltanto 
un 730 più consistente.


-Ma parliamoci chiaro in cosa consiste questa P2 della sinistra chiccosa? E' Il
Bilderberg delle coscienze linde, il volto umidiccio del vuoto pneumatico, la
polizza assicurativa di un ceto parassitario?
O che altro?

E’ un sistema a garanzia del proprio interesse particolare, vale così a
sinistra come a destra, nel caso specifico c’è l’aggravante di avere
trasformato un pensiero che dovrebbe essere se non proprio “rivoluzionario” 
comunque  "progressista" in conformismo ricattatorio in nome del consenso. 
Mentre dovere di un artista, di uno scrittore è d’essere, come diceva Pasolini, 
“una contestazione vivente”.


-Situazionismo e Libertà. La corsa per la segretaria del Pd. Tutto ciò molto
patafisico. Patafisica pure l'attenzione che da diverso tempo certi ambienti
(parola orrenda ma è tanto per capirci) riconducibili a un'area non proprio di
sinsitra le stanno riservando?
Lei sta per esempio parlando con me, già fascio senza partito (e pure
Patafisico dal 2002 direttamente nominato dal Grande Satrapo Enrico Baj), ma
personalità ben più autorevoli del sottoscritto hanno dedicato interesse per il
suo lavoro. Ricordo solamente la polemica sul programma televisivo di Parenzo e
Cruciani.
E' un caso? C'è una destra libertaria-libertina e in molti non se ne sono
ancora accorti?
Esagero?


Sì, c’è una destra libertaria che risponde a un cosiddetto pensiero “non
conforme”, le ragioni della sua esistenza spesso non vengono indagate o si
tende ad associarle con la destra “reazionaria”, c’è semmai da chiedersi come
mai un autore come Louis-Ferdinand Céline che muore nel 1961 tra l’indifferenza
della stampa del tempo sia una voce poetica che resiste molto più di altre.
Detto questo, nessuno ti regala nulla. Io mi sono fatto dono di me stesso, il
massimo che si possa ottenere, come spiega Nietzsche. E poi il titolo di
Commandeur Exquis de l’Ordre de la Grande Gidouille del Collège de
‘Pataphysique vale più di un Nobel. Come diceva il Barone Mollet: “Non basta
non essere accolti in seno all’accademia, bisogna essere sicuri di non avere
meritato l’invito”.


-Cosa ne pensa della nascita di ideeinoltre.blogspot.it/, lo spazio virtuale 
che ci ospita? Un blog che fa della ricerca del confronto la sua ragione d'esistere? 
Che rimette le idee al centroa prescindere da dove provengono?

Ogni volta che una gazzella vorrebbe essere assunta presso un giornale, una
testata, un settimanale, una televisione ufficiale, ecco che arriva il leone
(mi pare che l'apologo faccia così, o no?) proprio il leone stronzo e gli dà un 
pugno in culo e
in faccia e gli dice che se lo può togliere dalla testa. Bene, se non ci fosse
questo baracchino, questo blog ( o come cavolo si deve chiamare) saremmo tutti
più poveri e più soli, e il leone pugnalatore e inculatore della libertà espressiva e
perfino erotica sarebbe l'unico collocamento possibile, da oggi così non è più,
possiamo ritirare fuori il titolo de 'Avanti!' voluto all'indomani del varo del
governo di controsinistra (1963) - "Da oggi ognuno è più libero" - che poi le cose siano andate diversamente
 poco importa, anche questo blog idealmente adesso può fare proprio quel titolo.
P. S. A chi adesso dirà che avrebbe preferito un'altra citazione citazione,
tipo, che so?, da Deleuze o da Vaneigem o dai Van Halen, diciamo che la
rivoluzione non prende mai le forme della  prevedibilità più o meno spettinata, 
dunque: da oggi...


-Chiudo con Musil: senso della realtà o senso della possibilità.
Cosa buttiamo dalla torre?

Giù dalla torre butto me stesso, però non mi sfracello perché nel frattempo ho
imparato a volare con indosso il costume da moschettiere del Settimo cavalleggeri, me l’ha insegnato 
Gemma, mia madre, quando mi diceva: “Fulvio, sei ricco, hai la fantasia”.

LUCA NEGRI: Conservatorismo sterile di Roger Scruton




Siamo abbastanza curiosi di leggere l’ultimo saggio di Roger Scruton, il filosofo più famoso del Regno Unito, l’ideologo degli ormai, a dire il vero, un po’ appannati neo e teocon. Dovremo, però, aspettare, il libro uscirà in lingua originale solo nel prossimo aprile. Qualche indiscrezione sui contenuti è fortunatamente trapelata grazie ad un bella intervista pubblicata su Il Foglio. Leggendola, ci siamo fatti qualche idea preventiva su meriti e forse limiti dell’opera. The soul of the word, (“L’anima del mondo”) tratta di religione, soprattutto di cristianesimo, e ne lamenta la progressiva scomparsa nella società occidentale. Il titolo ci fa tornare in mente la nota definizione di Marx (“la religione è l’anima di un mondo senza cuore”), ma intento di Scruton è certo criticarla, dato che ha scritto un “manifesto contro il neo-ateismo”. Il problema dunque è l’ateismo montante, il rifiuto del sacro nella decadente società occidentale. Il bisogno di sacro è però talmente insito nell’uomo che, se il divino esce di scena, si finisce per sacralizzare qualcos’altro: la politica, l’economia, i diritti di uomini ed animali, le stelle dello sport, della musica e del cinema. Soprattutto, afferma Scruton, si sacralizza lo stesso laicismo, diventato una vera e propria religione con tanto di dogmi e scomuniche. Replicheremmo umilmente all’acuto pensatore britannico che l’ateismo, quando non diventa una fede intollerante, non è certo una colpa e che le stesse religioni hanno qualche responsabilità nel non riuscire più a trasmettere con convinzione il sacro. Scruton poi insiste sulla superiorità del cristianesimo sulle altre religioni, perché fondato non sul sacrificio cruento del prossimo, come il degenerato islam fondamentalista, ma sull’auto-sacrificio. Argomento, questo, sul quale il collega francese René Girard ha scritto diversi tomi, ma forse, ci spiace per Scruton, non solidissimo, almeno storicamente. A ben considerare, la messa a morte di eretici voluta dalla Chiesa cattolica (e ancor più dai protestanti) nei secoli passati può essere letta proprio come sacrificio rituale, espulsione del capro espiatorio per cementare la comunità e rinsaldare le strutture di potere. Se esiste una superiorità del cristianesimo, (spogliato dai dogmi delle diverse confessioni), noi la cercheremmo nella sua natura sincretica, o meglio ancora di sintesi, rispetto ai vari culti. Speriamo che Scruton lo abbia sottolineato nel suo libro. Anche perché convince poco quando afferma che il nichilismo europeo ha chiuso tragicamente la sua avventura fra le macerie di Stalingrado, dove si affrontarono i due sue volti comunista e nazista. Se così fosse, dovremmo considerare la storia cristiana finita altrettanto tragicamente sui campi insanguinati della Guerra dei Trent’anni. Ed aggiungeremmo che il nichilismo, liberatosi dalle vesti ideologiche indossate nel primo Novecento, è oggi ancor più subdolo. Infatti diamo ragione a Scruton quando esprime il concetto più controverso, quello che farà più rumore, dell’opera: la società secolarizzata si nutre di sacrifici umani con aborto selettivo ed alcune pratiche bioetiche. Preso atto di ciò, noi diremmo che il nichilismo non può essere affrontato con il lamento nostalgico, con la difesa dei vecchi pregiudizi cari ad Edmund Burke, il padre del pensiero conservatore. Come ben considerarono Ernst Jünger e Martin Heidegger, dopo aver ben meditato Nietzsche, il nichilismo va oltrepassato e il mondo va risacralizzato senza nostalgie reazionarie. Invece, il conservatorismo da cottage di Scruton ci pare del tutto inadeguato a sostenere la lotta contro il nichilismo, rappresentandone solo l’altra faccia della medaglia. Non si può, però, dar torto al filosofo inglese quando critica il fideismo darwinista (ben lontano dal pensiero dell’onesto agnostico Darwin) che vuole cancellare ogni differenza fra uomini ed animali. L’essere umano, ci ricorda il filosofo inglese, si pone domande, non accetta il mondo così com’è. La domanda distingue l’uomo dagli altri esseri viventi e questa domanda sul senso ultimo dell’esistenza è di origine e natura religiosa ma ha travalicato gli stessi contenuti della religione per trasferirsi nelle scienze umane. Domanda posta soprattutto dalla storia dell’Occidente, quindi negli ultimi due millenni dalla storia cristiana. Dunque lo stesso pensiero illuminista ha radice cristiana, lo stesso tentativo dell’uomo di uscire “da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso”, per usare la nota definizione di Kant, sgorga dal cristianesimo. Quest’ultimo, secondo noi, dovrebbe rivendicare pienamente questa eredità, abbandonando alcune chiusure e mostrando maggiore fiducia nelle risorse spirituali dell’essere umano, mentre i neo illuministi dovrebbero mostrare più rispetto per la scaturigine delle loro idee. E speriamo, infine, che Scruton difenda il cristianesimo non tanto per l’illustre passato, ma per le sue possibilità ancora inespresse. Come suggerirono altri pensatori, ad esempio Rudolf Steiner, Nikolaj Berdjaev, Dimitri Merežkovskij, Simone Weil, fino ad ora abbiamo sperimentato solo l’infanzia del cristianesimo. Il bello deve ancora venire.       

LUCA NEGRI
(articolo comparso, in versione più breve, su Il Giornale del 13 gennaio 2014)


sabato 18 gennaio 2014

FERNANDO ROSSI: Legge elettorale. Forza Italia e PD esultano: "Habemus Pappam"!



E' ufficiale ! Forza Italia e PD resteranno i  maggiori mangiatori di denaro pubblico e di sovranità popolare.

Dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale che, bocciando il Porcellum e la truffa del premio di maggioranza, ha indicato nel proporzionale puro e voto di preferenza, l'unico sistema elettorale possibile, in caso di voto ravvicinato, il terrore si era impossessato degli oligarchi che amministrano i due sebatoi in cui vengono "democraticamente" fatti confluire i voti degli italiani.

Un terrore che ha messo in secondo piano il classico repertorio mediatico delle false liti e false divisioni tra PD e Berlusconi (entrambi vincolati, come i loro complici minori, a mettere in atto le decisioni di Banca Mondiale, Banca Centale Europea e lobby delle grandi multinazionali). Le frenetiche consultazioni di queste settimane, sotto l'incalzare di Napolitano, hanno portato all'accordo tra Renzi e Berlusconi, sui punti chiave da inserire nella nuova truffa elettorale, che costringa a votare per loro ed i loro complici, tenendo fuori eventuali partiti e liste fuori controllo.

Avremo una bella "alternanza"; la clientela PD a guida renziana, diventerà la maggioranza e gestirà il sistema, mentre Berlusca (e i suoi eredi politici) ne saranno i co-gestori di minoranza, salvando le rispettive clientele.

Ma ci sono le varianti, anche se la grande finanza e le sue lobby faranno di tutto per scongiurarle.
1) I 5 stelle. Non è detto che sia vincente il disegno di ridurne il peso elettorale, alle ultime politiche i loro strateghi avevano erroneamente previsto un 15%, e potrebero sbagliarsi ancora. Ma anche il loro ambrosettiano lavorio per spingere i 5 stelle a restare senza "alleanze" con altri gruppi e movimenti, potrebbe fallire, facendo del 5 stelle una coalizione maggioritaria, che farebbe saltare tutti i loro piani elettorali .
2) Il formarsi di uno schieramento politico che proponga l'uscita dall'Euro e dall'Europa delle Banche, per dare la sovranità al popolo (attuando finalmente il primo articolo della nostra Costuituzione ) . Questa è la variante più improbabile, visto il lavorio dei servizi e dei media già all'opera, a livello europeo, nazionale e locale, tanto verso gruppi e movimenti "di destra", quanto "di sinistra", ma il livello di gravità e drammaticità raggiunto dalla disoccupazione, dalla chiusura delle attività produttive, e dalla povertà è ormai tale da produrre "risvegli" non facilmente controllabili dal loro sistema.  

C'è da augurarsi che, per stare al famoso detto e per il bene della nostra Patria e del nostro popolo, nel fare la pentola non gli riesca l'impresa politica di fare pure il coperchio. Dipenderà anche da ciò che farà ognuno di noi.