Il 2012, che segnava i primi cinquanta anni della storia della «american band» per eccellenza, i Beach Boys, ha ribadito ancora una volta grandezze e miserie di questo gruppo che, nato quasi come gioco tra parenti e amici in una piccola cittadina della California, ha finito per risultare tra i più amati e noti della intera storia del rock. Il 2012, infatti, ha riportato, in studio, con un nuovo album dopo circa venti anni di silenzio discografico, e sui palchi di tutto il mondo, i superstiti di questa lunga avventura, apparsi ancora una volta all’altezza della loro leggenda, benchè segnati senza misericordia dal tempo e dalle numerose e velenose vicissitudini legali che hanno messo per anni i «boys» uno contro l’altro. Il surf insomma ha potuto celebrare una ennesima giovinezza e quella «estate senza fine» cantata da Wilson e compagni è sembrata ancora una volta realtà! Peccato però che, proprio a conclusione del reunion tour, il frontman Mike Love, il sempliciotto dalla voce nasale e dalle simpatie repubblicane, abbia pensato bene di troncare il rinnovato sodalizio con il «genio» Brian Wilson, per potersi di nuovo concentrare sulla dimensione di puro revival a lui più congeniale… Si è trattato, insomma, dell’ennesima pagina oscura di questa band conosciuta dai più per le «good vibrations», ma, paradossalmente, segnata invece da lutti, scontri e dolori assortiti…Questa dicotomia così forte tra la fanciullesca felicità del proprio rifugio creativo e le oscurità delle proprie vicende esistenziali, è probabilmente, proprio come fu per Mozart, l’ingrediente chiave che rende le composizioni di Brian Wilson espressioni assolute dell’arte della canzone e dell’arrangiamento.Bene dunque che si sia preso spunto da questo cinquantennale per compiere un nuovo salto nello sconfinato archivio di registrazioni della band californiana e pubblicare un cofanetto antologico intitolato Made in California (6cd, Capitol Records) che, lungi dal voler riproporre ancora una volta il solito pugno di classici con cui fare cassa, tenta di tracciare una visione alternativa dei Beach Boys attraverso rarità, incisioni alternative e documenti live. Made in California infatti suona esattamente non come una collezione o un «greatest hits», ma, come una «storia» della più influente band americana di tutti i tempi, un tortuoso itinerario che ci riporta indietro nel tempo fino al 1962, per poi ripercorrere tutte le fasi evolutive della band, sfuggendo sempre da stereotipi consolatori. Quello che infatti emerge da questo box antologico, bello quanto necessario, è la profonda differenza, talvolta reale incompatibilità, degli stimoli creativi apportati da ciascun protagonista del gruppo nell’arco degli anni… Un caleidoscopio che stordisce, può persino irritare, ma che alla fine non può non affascinare! Ecco dunque come i primi ingenui inni alla filosofia surf si tramutano ben presto in malinconici quadretti di artigianato pop di squisita fattura, per poi toccare i deliri psichedelici del leggendario album mai uscito Smile (numerosi gli estratti presenti in Made in California) e infine sfociare in una frammentazione stilistica frutto soprattutto della lunga fuga dalla realtà di Brian Wilson.Dagli anni settanta in poi infatti vedremo emergere da un lato il talento cristallino, ma scostante, del ribelle Dennis Wilson, che morì per annegamento, imbottito di alcool e cocaina, nel 1983, oppure quello del fratello minore Carl, morto invece per tumore nel 1998, e dall’altro il circense carrozzone nostalgico promulgato da Mike Love (suoi alcuni degli episodi più imbarazzanti di decenni di altrimenti lodevole produzione artistica).Inutile ribadirlo, i Beach Boys ancora oggi sono uno strano oggetto della storia della musica giovane, amati certamente, ma talvolta non compresi fino in fondo o addirittura guardati con sospetto dal medio ascoltatore rock. Questo Made in California, con i suoi 470 minuti di musica, potrà finalmente riconsegnare al pubblico, non censurandone affatto certe contraddizioni, le reali dimensioni di una leggenda musicale che continua a divertire e commuovere milioni di persone con le proprie canzoni, provenienti oramai da un’epoca lontana…
fonte: Il Manifesto 10/01/2014
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