Ignoriamo se Madonna si stia ancora dedicando allo
studio della Kabala, il lato esoterico della tradizione ebraica. Certo la
notizia di questo suo impegno ci stupì un poco, non era così naturale accostare
la bionda popstar con i profondissimi saggi di Gershom Scholem. Ma, a ben
vedere, nel mondo della musica rock non sono mai mancate le passioni per
discipline e personaggi dell’occulto. Un artista indubbiamente un po’ più serio
e credibile di Madonna, Peter Gabriel, è da anni un seguace del mistico armeno
Georges Gurdjeff, ad esempio. E scendendo di livello, sono tanti i gruppi o
gruppuscoli metal che si lasciano ispirare da un satanismo più o meno
fumettistico. Altra figura che ha esercitato una notevole suggestione è quella
del mago Aleister Crowley, punto di riferimento per Jimmy Page, chitarrista dei
Led Zeppelin e, almeno alla fine degli anni ’60 di Mick Jagger dei Rolling
Stones. Anche i Beatles subirono il fascino di Crowley, tanto dall’inserirlo
fra i personaggi amati nella copertina dell’epocale “Sgt. Pepper's
Lonely Hearts Club Band”. Ma il grande innamoramento
dei quattro scarafaggi di Liverpool fu per lo yogi indiano Maharishi, l’uomo
che portò in Occidente la “meditazione trascendentale”. Si è già scritto
parecchio sull’esperienza di Lennon e compagnia con il mistico indiano, ma
abbiamo finalmente una testimonianza molto fedele di quei giorni in Nessun
uomo è un Maestro di Joyce Collin-Smith (Spazio
Interiore, pag. 286, euro 19, traduzione di Mariavittoria Spina, introduzione
di Colin Wilson). L’autrice, defunta novantenne nel 2010, era
un’astrologa di riconosciuta fama ed una scrittrice di romanzi fantastici. Fin
dall’infanzia si sentì spinta dal “desiderio di una realtà più vasta”, poi
frequentò diversi ambienti esoterici, soprattutto quelli legati a Gurdjeff e
poi al mistico indonesiano Pak Subud. Cercava un maestro d’esoterismo. Rimase
più o meno delusa da tutti e, dopo una seria crisi più psichica che mistica,
arrivò alla stessa conclusione del saggio Pitagora: “Non chiamate nessun uomo
Maestro. Il Maestro è in voi stessi”. Prima di capirlo, però, dedicò tempo ed
energie al Maharishi appena arrivato a Londra con la missione di convertire gli
occidentali, piombati nel materialismo, alle virtù della meditazione. Lo scopo
pareva buono, addirittura favorire la pace nel mondo. E così ci cascarono anche
i Beatles. A dar credito alla Collin-Smith, il mistico perse gran parte della
sua seraficità quando si accorse che non riusciva a conquistare abbastanza
fedeli. Si scoprì addirittura che la missione se l’era data da solo, non
l’aveva ricevuta da sconosciuti maestri asiatici. Ben presto gli “iniziati” dal
guru cominciarono ad avere serie difficoltà a vivere una normale vita da
cittadino di una metropoli europea, con tutti i doveri che ne conseguono. Non
mancarono anzi “esperienze allarmanti, non dissimili dalla trance catalettica”.
La notizia, però, più sconvolgente del rapporto fra Beatles e Mahairishi è
un’altra: il manager dei fab four, Brian Epstein, era parecchio infastidito
dalla passione esotica dei suoi protetti, e voleva impedire il loro viaggio in
India in compagnia del mistico. Ebbene, Epstein si suicidò senza un preciso
motivo nell’agosto del 1967. Quando i Beatles riferirono, sconvolti, la notizia
al guru, lui rispose, senza batter ciglio: “Adesso potete venire con me in
India”. Insomma, fra le righe, la Collin-Smith ci lascia col dubbio che il
santone indiano abbia influenzato con i suoi poteri la psiche di Epstein,
portandolo al suicidio, e potersi così servire del gruppo pop più famoso al
mondo per i suoi scopi. Comunque, il rapporto fra Beatles e Maharishi durò
poco. Tornarono dall’India pesantemente disillusi. “Dopotutto anche lui è un
essere umano”, dichiararono, “per un po’ avevamo pensato che non lo fosse, ma
continuiamo a meditare”. Avevano capito anche loro che nessun uomo è un
Maestro.
LUCA NEGRI
(pubblicato, in versione più breve, su Il Giornale del 7 gennaio 2014)
(pubblicato, in versione più breve, su Il Giornale del 7 gennaio 2014)
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