Occorrerebbe prende coscienza di
due cose, guardando da due parti come Giano – ma non come Gano – due cose che
andrebbero prese in esatta e pienamente reale considerazione: 1) il mondo
moderno è finito. Le sue basi si sono esaurite, gli atti compiuti in
quest’ultimo decennio l’hanno terminato, ma, quando venisse un cambiamento, le
forze che ci han qui portato non avrebbero più alcuna forza di condizionamento.
2) Le supposte (di quelle che si mettono nel didietro per curarsi ma talvolta
non sono efficaci) ricette per “‘uscire’ dalla crisi” sono stantie cose vecchie
che occultano il punto 1) “di cui sopra”.
Un’età di chaos: questa è
la nostra epoca, priva di un lume, ma piena d’illuminazioni posticcie e
fasulle, quasi scene di teatro. Scene oscene, nessun dubbio su questo, e questo
laido immondo teatrino presto si volta in farsa, con il riso appiccicato sul
viso, per di più molto ma molto mal cotto. Le differenti tendenze e le varie correnti
mentali contemporanee appaiono totalmente succubi delle forze dominanti, ed
hanno prodotto un fallimento pressoché completo nel cambiare l’Agenda di marcia
e cioè gli obiettivi, i fini, gli assunti basilari dominanti. Che spettacolo
dell’errore. Le false vedute imperano e condizionano su direzioni dalle quali
nulla di reale potrà mai venire. Chi comanda le correnti mentali del mondo,
comanda effettivamente il mondo. Il reale si sostiene sul presupposto
irreale. Se tu non modifichi “il modo di pensare”, modificare le istituzioni è
pressoché impossibile. Ogni cosa ha il suo “modello” nascosto, l’occulta
intelaiatura: è lì che ci sono le radici ed i semi delle cose future. Ma il
nascosto deve diventar palese, il palese nascosto. Tu puoi dar forma
ad un qualcosa solo a partire da un modello: che sia esterno o interno fa la
differenza, ma non cambia il punto di cui stiam parlando qui. Vi è come uno
stato psichico delle civiltà, che occorre
ben considerare.
Si parla delle similarità e delle
differenze fra questa crisi e quella, molto simile, degli Anni Trenta del
secolo scorso, un’epoca comunque di creatività: quel che oggi manca è il
desiderio di una risposta creativa alle crisi, ormai da
molto tempo in atto. Uno spunto interessante potrebbe ritrovarsi nel ripensare
le avanguardie degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, come spirito,
non come “ricerca linguistica”, che ha fatto il suo tempo, e da molto
tempo. Lasciamo la seduzione della ricerca linguistica fine a se stessa a chi
ama seguire le sirene o non può farne a meno: che mai noi si sia fra costoro.
Desidero portare al centro
dell’attenzione lo scritto Evola dadaista, Vozza editore Casolla
(Caserta), 21 dicembre 2011, costo contenuto (Euro 10,00, pp. 54). Il libro si
compone di due parti: il secondo intervento, di F. Franci, parla proprio
dell’aspetto specificamente pittorico di Evola “dadà”; nel primo intervento, invece porto avanti una riflessione su taluni temi di fondo, come la
chiusura basilare degli ambienti culturali e la loro illusione che basti
dichiarare la “proprietà” su di uno spazio mentale per aver fatto chissà che,
quando il padrone della terra non lo metti in questione: ma a che serve, in
definitiva e fatto salvo l’interesse personale? Domanda retorica.
Certo che “l’interesse personale”
esiste ed è anche legittimo, ma come pretendere di opporsi con l’interesse
personale al mondo basato e costruito sul dominio assoluto
dell’interesse personale? E’ una contraddizione in termini.
Dunque fine del mondo moderno? In
che senso? Nel senso della realizzazione effettiva delle sue premesse di base;
ma, quando un processo raggiunge il suo scopo, per ciò stesso cessa e non può
continuare oltre. Altro tema di fondo è:
Bene male – mondo tradizionale - [1].
Detto altrimenti, l’altro tema
del libro (del primo intervento, “Andar oltre” il titolo) è che troppo
spesso si cerca di unire certe tematiche ad un “conservativismo” semplicistico
e becero: le cose, anche dal punto di vista storico, sono ben più
complesse.
Occorre riflettere davvero sulle
prospettive di fondo, e il caos dominante oggi di certo non favorisce questo
fatto, ma solo dal ri-porre al centro le prospettive generali e su distanza più
lunga dell’immediato potrà, forse, venir fuori una soluzione vera.
[1] Cfr., su
questo tema, anche Il problema della tradizione demolita:
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/06/il-problema-della-tradizione-demolita.html.
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