Vent’anni. Si sono perduti vent’anni nella guerra civile a bassa intensità senza vinti né vincitori che ha portato l’Italia dalla crescita zero degli anni Novanta alla recessione; che ha incancrenito istituzioni, consolidato privilegi, bloccato la mobilità sociale, incattivito la società civile e ridotto la qualità della vita degli italiani a livelli che ognuno può empiricamente constatare ogni giorno sul lavoro, sui trasporti, nel campo dell’istruzione come in quello della sanità. Persino nell’aria che si respira, tra le più velenose d’Europa. L’Italia ha almeno 57 siti inquinati. I loro veleni hanno ucciso 1.200 persone all'anno negli ultimi sette anni. Quasi diecimila morti. Un bollettino di guerra. Del resto il nostro Paese non sembra conoscere la prassi delle bonifiche: continua a procrastinare gli interventi di risanamento, aggravando così i costi per le spese mediche. Secondo uno studio di Favo (Federazione italiana delle associazioni volontariato oncologico) e del Censis, l'Italia avrebbe speso 8,4 miliardi di euro per le patologie tumorali: lo 0,58 per cento del Pil. Non basta. Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia dell’ Ambiente (Aea) sulla qualità dell’aria nel Vecchio continente, tra le prime dieci città più inquinate d’Europa ben otto sono italiane: Pavia, Reggio Emilia, Treviso e Parma, Verona e Varese, Modena, Udine e Novara. Dati scioccanti. Che rivelano l’arcaicità d’un modello di sviluppo assimilabile ai parametri di una nazione emergente. Delegata ai verdi o ad associazioni ambientaliste l’ecologia semplicemente non figura, se non nominalmente, tra gli interessi dei principali partiti politici italiani che dettano l’agenda del paese. Eppure una visione politica che pretende di investire una società complessa contemporanea dovrebbe contemplare l’ecologia come sottofondo ad ogni scelta strategica. I conservatori inglesi, che hanno una tradizione politica alle spalle e dunque una visione della società, hanno fatto esattamente questo. Ponendosi due anni fa l’ambizioso obiettivo di traghettare l’economia nazionale verso un futuro eco-sostenibile. Ad oggi molte delle mete che Cameron si era prefissato – dalla riduzione di emissioni alle bonifiche ambientali - non sono state raggiunte, come era prevedibile; delle ventinove proposte inserite nel patto di governo, solo sette sarebbero state realizzate a pieno. Del resto anche la Gran Bretagna è investita dalla crisi internazionale e le risorse scarseggiano - ma è stato messo in moto un processo. Che ha coinvolto tutto l’arco politico inglese: i tre principali partiti – tories, laburisti e liberali hanno trovato sul green una sintonia d’intenti su una serie di misure mirate a riformare il tessuto energetico-industriale del paese. La green revolution è così diventato uno dei temi centrali del dibattito britannico, l’ecologia è diventato un impegno qualificante per ogni schieramento politico. Un’intelligenza politica di rispondere alle esigenze dei tempi che ha portato e porterà col tempo e progressivamente dei benefici agli inglesi in termini di salute e di qualità della vita. Non si tratta di destra o di sinistra, né di essere inglesi. Si tratta di visione politica, di classi dirigenti, di sensibilità culturale. Cose che non si mangiano come direbbe un ex ministro della repubblica italiano ma che fanno respirare e vivere meglio.
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