sabato 18 gennaio 2014

ANTONELLO CRESTI: Gli anni '70 di Franco Battiato




Intervista a cura di: Valerio D'Onofrio - Psycanprog


Valerio D’Onofrio: Franco Battiato è un musicista molto originale nel panorama italiano. Dopo i suoi esordi degli anni sessanta ancora legati ad un beat semplice e commerciale, cambia radicalmente aspirazioni ed obiettivi negli anni settanta proponendo una serie di album che vengono ricordati come il suo periodo sperimentale, che è quello di cui vogliamo parlare. Da dove nasce l’idea di Battiato di abbandonare il pop tradizionale per avventurarsi in suoni più colti e quali sono le sue influenze?
Antonello Cresti: A quanto ci è dato sapere la svolta sperimentale di Battiato affonda le radici in una forte crisi esistenziale attraversata dal musicista alla fine degli anni sessanta, che portò con sé anche l’esigenza sempre più forte di ripensare criticamente alla propria produzione “leggera”, che a parte il brano “Iloponitntsoc”, rimasto peraltro inedito all'epoca, aveva dimostrato di galleggiare in territori piuttosto convenzionali.
Essenziale fu poi l’incontro col sintetizzatore VCS3, acquistato durante un viaggio in Inghilterra e che Battiato utilizzò in maniera ossessiva per anni, immaginandone un ruolo addirittura terapeutico… Il synth per Battiato era il veicolo per compiere viaggi regressivi all’interno della propria psiche. Il bagaglio di conoscenze, anche musicali, di Battiato alla fine degli anni sessanta non mostrava nessuna eccezionalità e credo che il percorso evolutivo dell’autore sia iniziato proprio in corrispondenza con la scoperta della dimensione sperimentale del far musica.
NdR - Il produttore Pino Massara ha affermato di aver acquistato lui il VCS3. Se qualcuno ritenesse importante questo dettaglio ai fini della nostra riflessione globale, lo riportiamo a scanso di equivoci.
Valerio D’Onofrio: Diciamo qualche parola sui singoli album. Il primo è Fetus che rimarrà famoso oltre che per la musica anche per la copertina che venne anche censurata. Cosa puoi dirci di quest’album?
Antonello Cresti: “Fetus” è un album assolutamente pionieristico per la scena italiana. Certamente, in esso compaiono numerosissime ingenuità, ma forse il suo fascino risiede proprio nel proiettare brani tradizionali, che per molti versi rappresentano una ennesima declinazione del verbo battistiano, in territori inusitati ed avanguardistici. Battiato utilizza il collage, anticipa la tecnica del campionamento, mostra una fascinazione per il mondo spaziale evidentemente dedotta dalla scena space rock anglosassone… E personalmente giurerei che uno dei riff di “Meccanica” deriva da un brano di “Mice and Rats in the Loft” degli Jan Dukes De Grey…
Valerio D’Onofrio: Pollution del 1973 continua la svolta elettronica. Quali sono le differenze con Fetus?
Antonello Cresti: “Pollution” è forse l’album più interno ad una forma di estetica rock pubblicato da Battiato. Certamente, i contenuti sperimentali ed elettronici vengono qui amplificati, ma in esso vi è una logica dell’eccesso e della provocazione che fa pensare a Bowie a Alice Cooper etc. I concerti del periodo sono entrati nella storia dell’underground italiano, con preservativi giganti gonfiati sul palco e, in conclusione, la distruzione della croce cristiana… In molti neanche immaginerebbero una simile furia iconoclasta da un personaggio poi noto per condurre una vita ascetica e meditativa…
Valerio D’Onofrio:  Dopo Pollution Battiato suona in concerti facendo supporto a grandi artisti come Brian Eno, Magma, Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, John Cale e Nico. Dopo queste esperienze pubblica Sulle corde di Aries, da molti considerato il suo album migliore. Lo pensi anche tu? Quanto sono state importanti le conoscenze di Eno e gli altri per la produzione di questo album?
Antonello Cresti: Ritengo “Sulle Corde di Aries” il capolavoro in senso assoluto di Battiato… in esso, più che l’influenza di Eno, ravvedo, forte l’interesse verso Riley ed il minimalismo, il tutto però proiettato in una dimensione più mediterranea e “cinematografica”, come fa pensare anche il testo introduttivo di “Sequenze e Frequenze”. Qui il compositore siciliano è impeccabile nel rendere umane le intricate partiture di synth inserendo ritagli acustici, come avviene nella splendida “Da Oriente a Occidente”, che sembra una trasposizione in chiave italiana della Third Ear Band. Un album in grado di competere coi capolavori dei maestri americani, certamente.

Valerio D’Onofrio:  Clic e M.elle Le “Gladiator” sono gli ultimi album che fanno parte della fase sperimentale di Battiato. Negli anni successivi sperimenterà un pò di tutto, ottenendo anche inattesi successi pop. Quale giudizio dai della sua carriera dagli anni ottanta ad oggi?
Antonello Cresti: Battiato ha dimostrato di essere uno dei pochissimi autori dal profilo internazionale provenienti dal nostro paese. Pur tuttavia all’estero egli è ancora conosciuto quasi unicamente per le sue opere sperimentali, che qui in patria sono patrimonio di pochi. Questo è avvenuto perché, per quanto intelligenti e creative siano state certe sue canzoni, gli aspetti di piena unicità erano stati già spesi nel periodo precedente. Ciò detto, molti album di Battiato sono sicuramente tra le cose da salvare della scena italiana, gli esempi sono molteplici… Come ogni autore l’artista siciliano ha attraversato momenti di piena ispirazione ed altri di calo creativo sino a “Gommalacca” (1998), ultimo vertice della sua produzione. Da allora, anche per colpa di una crescente, scarsa accuratezza in fase di produzione, gli album hanno segnato una più netta flessione qualitativa, accompagnata anche da alcune incoerenze di vario genere, cui gli aficionados di Battiato non erano ancora abituati. Tanto per fare un esempio, se prima quando Battiato collaborava con un artista si aveva la certezza di assistere ad una unione di stili e mondi affini, adesso è capitato di vedere il musicista prestarsi a lavorare un po’ con chiunque… Temo che, come è successo a McCartney e a tanti altri, il danno maggiore Battiato lo tragga da essere circondato da un codazzo di “yes men”, e tale tipo di umanità non ha mai giovato all’arte…

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