«Ma non
scoppiano forse tutte le sommosse, senza eccezione, nel disperato
isolamento
dell’uomo dalla comunità (Gemeinwesen)?» Karl Marx, 1844
Riflessioni
e proposte per promuovere il dibattito.
Questo saggio vuole contribuire a delineare i tratti
del pensiero del Comunismo Comunitario
inserendosi nel discorso iniziato nelle pagine di
Comunitarismo diversi anni fa in due diversi saggi sul comunitarismo.
I due articoli in questione rappresentano una
importante e lucida ricostruzione delle varie influenze del pensiero
comunitarista italiano e riescono a cogliere come i termini «comunità» e
«comunitarismo» siano stati utilizzati dalle più eterogenee forze politiche a
dai più diversi Autori. Ritengo però che il volersi rifare ad analisi ed
elaborazioni fatte da altri, o il voler ricondurre il proprio agire politico a
quello di movimenti del passato, rappresentino entrambi un limite.
Ecco allora che emerge la necessità di tentare di
formulare in positivo che cosa è la comunità.
Se ci soffermiamo sul significato della parola
«comunità» ci accorgiamo che essa è riconducibile, indefinitiva, ad un duplice
senso: ciò che è in comune ed essere-in-comune.
Se vogliamo, possiamo considerare ciò che è in comune come l’oggetto materiale del vissuto, la
comunità stessa o, più precisamente, tutte le sue componenti che devono essere
messe in comune. L’essere-in-comune rappresenta
invece la modalità di esistenza del libero individuo che partecipa
direttamente, insieme agli altri, a ciò
che è in comune.
L'idea di comunismo comunitario toglie di mezzo anche
un certo tipo di marxismo utopico come presupposto per una società di anime
belle.
La comunità comunista non cerca l'Uomo come un certo
tipo di marxismo scientifico confusionario lascia intendere, ma cerca il
presupposto umano nelle varie forme di scambio sociale. Umane, non sovrumane; e
l'umanità è data dalla consapevolezza che ogni costruzione sociale non si può
basare sul profitto per il profitto ma deve tendere a un benessere inclusivo e
non esclusivo.
L’esigenza
della comunità, pensata esplicitamente come esigenza del comunismo, tema mai
come ora inattuale e, nello stesso tempo, all’ordre du jour della storia. Il pensiero (e l’esigenza) della
comunità è,infatti, ciò che dovrebbe caratterizzare una politica che, come
quella comunista, volta marxianamente all’emancipazione degli individui, sia
capace di fare un passo al di là delle politiche delle libertà e
delle uguaglianze che, per quanto condizioni imprescindibili di emancipazione, restano
pur sempre i cardini su cui poggia il dominio capitalista, e attraverso cui esso
riproduce le sue ineguaglianze e le sue Ingiustizie.
E il Capitale stesso ci obbligherà sempre più a
considerare ogni problema non tanto dal punto di vistadell'economia e della
politica, per quanto "rivoluzionaria", ma immediatamentedal punto di vista dellacomunità umana futura.Ma
facciamolo dire direttamente a Marx:
"Non
scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato isolamento
dell'uomo dalla comunità? Ogni rivolta non presuppone forse necessariamente
questo isolamento? Avrebbe avuto luogo la rivoluzione del 1789 senza il
disperato isolamento dei cittadini francesi dalla comunità? Essa era appunto
destinata a sopprimere tale isolamento. Ma la comunità dalla quale l'operaio è
isolato è una comunità di ben altra realtà e di ben altra estensione che non la
comunità politica. Questa comunità, dalla quale il suo lavoro lo separa, è la
vita stessa, la vita fisica e spirituale, la moralità umana, l'attività umana,
l'umano piacere, la natura umana. La natura umana è la vera comunità umana.
Come il disperato isolamento da essa è incomparabilmente più universale,
insopportabile, pauroso, contraddittorio dell'isolamento dalla comunità
politica, così anche la soppressione di tale isolamento – e anche una reazione
parziale, una rivolta contro di esso – è tanto più infinita quanto più infinito
è l'uomo rispetto al cittadino e la vita umana rispetto alla vita politica.La
rivolta industriale, perciò può essere parziale fin che si vuole, essa
racchiude in sé un'anima universale; la rivolta politica può
essere universale fin che si vuole, essa cela sotto le forme più colossali uno
spirito angusto"(Marx, Glosse di critica a 'un prussiano').
Comunità
e lavoro
Parlando della prima categoria – cioè di ciò che è in comune– vorrei analizzare brevemente quali
sono gli elementi di una comunità che considero essere in comune.
Il primo elemento è senza dubbio il lavoro. Ma, per
chiarire il ruolo del lavoro in comune, bisogna innanzitutto capire quale è la
critica delle dinamiche politico-economiche che riguardano l’ambito lavorativo
ed essere coscienti di quali ostacoli intellettuali e materiali occorre
superare.
In questo caso, può venire in nostro aiuto il buon
vecchio Marx. «Immaginiamo
un’associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e
spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola
forza-lavoro sociale»;che decidano insieme quale parte del
loro prodotto complessivo debba servire a sua volta da mezzo di produzione e con
quali scopi, e quale parte vada consumata come mezzo di sussistenza dai membri
della comunità. Immaginiamo anche (come voleva fare la Comune di Parigi del
1871) che al posto del sistema capitalista «delle
associazioni cooperative unite debbano regolare la produzione nazionale secondo
un piano comune».3
Questo vuol dire che i produttori devono impadronirsi
dei mezzi di produzione, rovesciando i capitalisti. E vuol dire anche che essi
devono rovesciare i concettidell’economia politica, quell’abitudine quotidiana
che ci fa apparire ovvio che i rapporti fra persone siano rapporti fra cose, che
produrre sia uguale a produrre merci.
Marx parla della necessità del formarsi di una
comunità come coscienza di classe, ovvero di un soggetto completo che sappia
cogliere l’importanza di ciò che avviene a livello di produzione non solo
come conflitto tra operaio e padrone, ma tra operaio e merce. È nella merce che
passa il valore dell’opera dell’uomo e quel valore diventa lo strumento
indispensabile, per il capitalista, per il formarsi del soggetto capace di
riprodurre quella merce in denaro. Solo un soggetto consapevole di quel
passaggio può condurre una lotta politica a tutto tondo.
Se i produttori controllano la produzione, cioè se la
regolano in anticipo decidendo cosa e quanto produrre, quanta parte del lavoro
sociale dedicare ad ogni articolo in relazione all’estensione del corrispondente
bisogno, i prodotti del lavoro non diventano merci, non vengono venduti. Non
si produce più valore, ma valori d’uso, beni per determinati
scopi.
L’abolizione della forma di lavoro capitalista, cioè
come lavoro astratto che crea valore, ha delle immediate ripercussioni anche dal
punto di vista politico. Alla morte del valore corrisponderà la fine della
gestione indiretta, della politica separata: «quando tutta la produzione sarà concentrata in mano degli individui
associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico».4
Alla sovranità popolare espressione individuale dei
cittadini che, separati da dove operano, non possono nulla nel meccanismo
economico,subentra «l’autogoverno della comunità», in cui la politica diventa
«amministrazione delle cose», controllo sulla produzione. E anche controllo sul
proprio sviluppo, perché solo nella comunità può essere superata la divisione
del lavoro:
«solo nella
comunità con altri ciascun individuo ha i mezzi per sviluppare in tutti i sensi
le sue disposizioni; solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà
personale [...]. Nella comunità reale gli individui acquistano la loro libertà
nella loro associazione e per mezzo di essa».
Comunità
e questione nazionale
“Fate della
causa della Nazione la causa del popolo e
la causa del
popolo sarà quella della Nazione” V.I. Lenin
Un altro importante elemento che è in comune consiste in quel complesso di usi, tradizioni,
lingue, modi di vivere, modalità di approccio con il territorio e tipologie di
sfruttamento di quest’ultimo che chiamiamo «nazione». Il sentimento nazionale è
la prima scintilla, è il primo abbozzo embrionale che,sebbene oggi sia
avvertito solo inconsciamente, permette agli strati popolari di sentirsi parte
di qualcosa,di afferire ad una comunità.
Per il pensiero comunitario la «nazione» non è
qualcosa di imposto ossia sovrastrutturale alla comunità,ma consiste nello
stato aggregativo della comunità stessa: è proprio l’elemento nazionale che è
oggetto della comunità e non il contrario, perciò lo considero come colonna
portante di ciò che è in comune.
A questo punto occorre ribadire, ancora una volta, la
differenza abissale che c’è tra elemento
nazionale che è in comune e nazionalismo. Il primo è stato definito e
tratteggiato brevemente all’inizio del paragrafo; il secondo, invece, è
quell’ambizione sciovinista ed espansionista, propria di uno Stato forte che
vuole ampliare la sua sfera di dominio al di fuori dei propri confini. Il
nazionalismo non ha limiti, non ha misura: è incontinente. Tale visione
presuppone la presunzione di superiorità di uno Stato nazionalista.
Tutti coloro che ragionano con la loro testa e che non
hanno pregiudizi si renderanno conto della differenza tra questo nazionalismo e
tra elemento nazionale che è in comune.
Un’ altra riflessione che bisogna fare è quella che il
nazionalismo, in ultima analisi, è la negazione delle nazioni e delle loro
differenti espressioni. Infatti, se la massima espressione del nazionalismo è
l’impero(sia che si chiami impero americano esteso su tutto il globo, sia che
si chiami impero eurasiatico), questa è anche la massima espressione
dell’omologazione e della negazione delle differenze culturali all’interno di
esso.
I comunisti comunitari si oppongono ed avversano
fortemente il «nazionalismo militante borghese»,infatti «la borghesia di tutte
le nazioni [...] sotto la parola d’ordine della “cultura nazionale” persegue
di fatto la divisione dei lavoratori, l’indebolimento della democrazia, e
realizza transazioni commerciali con i fautori del servaggio vendendo i diritti
e la libertà del popolo».6
In questo senso i comunisti comunitari abbracciano «il programma nazionale della democrazia
operaia: non concedere il minimo privilegio a nessuna nazione e a
nessuna lingua; risolvere il problema dell’autodecisione politica delle nazioni,
cioè della loro separazione statale, in modo
completamente
libero e democratico; promulgare una legge generale dello Stato, in forza della
quale ogni disposizione che assicuri in qualche modo un privilegio a una delle
nazionalità, che violi la parità giuridica delle nazioni o i diritti di
una minoranza nazionale, venga dichiarata contraria alla legge [...] e che si
prendano sanzioni penali contro chi cerchi di applicarla».7
«Nel formulare
la parola d’ordine della “cultura internazionale della democrazia e del
movimento operaio mondiali” noi prendiamo da ogni cultura nazionale soltanto i
suoi elementi democratici e socialisti, e li prendiamo soltanto e assolutamente
in antitesi alla cultura borghese, al nazionalismo borghese di ogni nazione».8
Inoltre, l’elemento nazionale che è in comune è
perfettamente compatibile con l’internazionalismo di classe, che considero come
rapporto tra comunità nazionali basato sulla solidarietà e l’appoggio reciproco.
Bisogna riflettere sul fatto, infine, che l’elemento
nazionale che è in comune è l’unica difesa che una comunità può opporre alla
globalizzazione omologante.
Comunità
e autogestione
Un aspetto che viene spesso trascurato, e che tuttavia
riveste un ruolo centrale, è quello
dell’organizzazione e della gestione pubblica dei
servizi e dei beni sociali della comunità. Il problema è conciliare il bisogno
di servizi comunitari efficienti, regolari e funzionali con la legittima
gratuità degli stessi. Questi importanti elementi in comune comprendono la scuola, la sanità, i trasporti, le
distribuzioni idrica ed elettrica, eccetera, che devono essere gratuiti,
indipendenti ed organizzati in modo Autogestionario.
Il termine autogestione è relativamente recente, dato
che è iniziato a circolare a partire dalla metà del secolo scorso. Tuttavia,
anche nel secolo XIX erano stati affrontati argomenti del genere e,
persino Marx, sebbene non abbia mai parlato di autogestione, si interessò a
quello che questa parola designa, eche allora si chiamava «cooperativa di
produzione». Egli arriva infatti ad affermare che «tutto comincia con l’autogoverno della comunità».9
Il discorso marxiano sulle cooperative operaie di
produzione era però rivolto al sistema organizzativo autogestionario industriale
alternativo al modo di produzione capitalistico classico. La sfida è Rappresentata
dall’estensione della gestione diretta a tutto ciò che è in comune. A mio avviso, tale allargamento di campo può
essere svolto dall’organizzazione consiliare, stavolta non rivolto solamente agli operai, ai soldati e ai contadini, ma a tutti i componenti
della comunità. Si potrebbe a questo punto parlare di Comunità Comuniste.
I consigli sopprimono la distinzione tra azione
politica e azione diretta ed appaiono come una rinascita della democrazia
diretta; essi esercitano un controllo diretto e continuo sui loro delegati che
sono revocabili in ogni momento. Mentre il partito riproduce nella sua
organizzazione la struttura della società capitalistica che distingue tra
dirigenti ed esecutori, il consiglio è l’immagine della società solidale ed
omogenea che sola può rendere possibile la democrazia. Tuttavia le comunità comuniste non si
devono sclerotizzare a loro volta e diventare strumenti di dominio permanente
sulle altre parti della popolazione, ma essere organizzazioni transitorie,
strumenti rivoluzionari per rompere l’apparato dello stato e realizzare la
società senza classi.
Il sistema dei consigli è la rappresentazione non di
un partito ma di un’idea: trasformare un popolo di oppressi e di sottomessi in
una comunità di uomini liberi che si determinano con cognizione di causa e che
diventano padroni del loro destino.
Essere-in-comune
Dopo aver tratteggiato brevemente quelli che possono
essere considerati gli elementi importanti che una comunità deve mettere in comune, possiamo passare ad analizzare
l’altra componente della comunità,che forse è ancora più importante della
prima, dato che senza di questa non possiamo immaginarne nemmeno l’esistenza. L’essere in comune è appunto riferito ai
componenti della comunità. Ma gli stessi componenti, sebbene fondamentali per
l’esistenza della comunità, possono essere gli artefici di un ribaltamento
dialettico che li condurrebbe da una modalità aggregativa ad un’altra
disgregativa.
Occorre quindi prestare la massima attenzione
all’individuo moderno, «anzi l’in-dividuo,
questo atomo sociale non ulteriormente divisibile»,10 protagonista «in potenza» di una società-comunità
ovvero comunista comunitaria.11
Il capitalismo reale che stiamo subendo può essere
erroneamente interpretato come l’artefice principale d el meccanismo di individualizzazione
che sarebbe da tempo in atto nelle nostre società. In effetti,sebbene il
capitalismo possa essere visto come «la prima società degli individui della
storia»,12 io loconsidererei piuttosto come una
società costituita da soggetti autonomi.
«Soggetto» è il subjectus latino,
cioè la condizione di chi è sottomesso: sottomesso al consumismo capitalistico,
all’artificializzazione dei Rapporti umani, che diventano rapporti mediati dalle
merci. «Autonomo» indica invece l’atomismo e la disgregazione del tessuto
sociale.
Tutto un altro significato riveste il concetto di
individualizzazione, che si ricollega (come è stato colto brillantemente da
Preve) al concetto marxiano di Gattungswesen13 cioè di essenza
umana generica e che implica l’impossibilità della costituzione di una
«comunità solidale moderna senza un preventivo processo di individualizzazione».14
Questo processo deve però essere inteso come
liberazione del Soggetto autonomo dal
modo di produzione capitalistico. Infatti è lo stesso Marx che dice che «il
modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione
capitalistico, e quindi la proprietà privata
capitalistica, sono la prima negazione della proprietà
privata individuale, fondata sul lavoro personale».15A mio avviso, però, attendere che la «contraddizione
dialettica di tipo antropologico» si realizzi tra gli individui della classe
media globale e che questi individui riescano «magicamente» a liberarsi dalla
morsa capitalistica si rivelerà molto probabilmente vano. Allo stesso modo,
ipotizzare la costituzione dell’essere-in-comune,
come individuo liberato, per mezzo di un’azione dall’alto, che proceda
dapprima alla costituzione del «contenitore» comunità e poi al «contenuto» delle
libere individualità è, secondo me, un grave errore ideologico.
Il soggetto
autonomopuò raggiungere la libera individualizzazione soltanto se acquista
coscienza dellapropria subordinazione al dominio reale del capitalismo.
Tuttavia soltanto una crisi profonda del mododi produzione capitalistico potrà
aprire la strada alla nascita dell’essere-in-comune.
Inoltre, il richiamo alla comunità non deve diventare
un nostalgismo sterile per una comunità più
arcaica, con il rimpianto di una fratellanza e una
convivialità perdute; e, semmai fossero esistite comunità ideali a cui ispirarsi,
bisogna essere coscienti della irreversibilità della storia. Non si
tratta quindi di recuperare nessuno spirito comunitario perduto. «La Gesellschaft non è venuta, insieme con
lostato, l’industria e il capitale, a dissolvere una Gemeinschaft precedente».16
Siamo noi in prima persona che dobbiamo
sentirci chiamati ad approfittare di ogni possibilità per costruire ed
organizzare una comunità umana a
partire dai legami sociali che viviamo quotidianamente.
1. F. Ronchi, Alla ricerca del
comunitarismo italiano(prima e seconda parte), Comunitarismo, marzo 2004 e
luglio 2005.
2. K. Marx, Il capitale, libro I,
Editori Riuniti, Roma 1994.
3. K. Marx-F. Engels, La guerra civile
in Francia, Editori Riuniti, Roma 1974.
4. K. Marx-F. Engels, Il manifesto del
partito comunista, Laterza, Roma-Bari 2002.
5. K. Marx-F. Engels, L’ideologia
tedesca, Editori Riuniti, Roma 2000.
6. V.I. Lenin, L’autodecisione delle
nazioni, Editori Riuniti, Roma 1976.
7. Ibidem.
8. Ibidem.
9. K. Marx, Appunti sul libro di
Bakunin «Stato e anarchia», in Marx-Engels,
Marxismo e anarchismo, Editori Riuniti, Roma 1971.
10. C. Preve, Individui liberati,
comunità solidali, CRT, Pistoia 1998.
11. Per quanto riguarda il nazionalitarismo – o elemento nazionale che è in
comune– ne ho già esposto brevemente le caratteristiche altrove in questo
saggio. Per quanto riguarda invece la società comunista, considero molto
importanti la lettura e l’interpretazione di questa fatta da Costanzo Preve,
che la vede come «comunità di libere individualità» (C. Preve, Comunitarismo e comunismo, in
Comunitarismo, ottobre 2002).
12. C. Preve, Individui liberati,
comunità solidali, op. cit.
13. «Con questo termine, si intende dire che l’uomo, a differenza degli altri
animali, non ha un’essenza specifica che si trasmette per eredità naturale, ma
ha un’essenza aperta che gli permette di costituire forme diversissime di
socialità» (C. Preve, Individui liberati...op.
cit.).
14. C. Preve, Individui liberati...op.
cit.
15. K. Marx, Il capitale, libro I,
Editori Riuniti, Roma 1994, citato in C. Preve,
Individui liberati...op. cit.
16. J.L. Nancy, La comunità inoperosa,
Cronopio, Napoli
fonte: http://www.comunismoecomunita.org/?p=1280
fonte: http://www.comunismoecomunita.org/?p=1280
Sarebbe forse ora, ma dico per dire eh, che nel 2013 ci si renda conto, ma non vorrei sbagliare eh, che si è nel XXI° secolo, e che certe cose, davvero, andrebbero “rottamate”, ma **non nel senso che tale termine ha preso comunemente.
RispondiEliminaAffrontare il XXI° secolo con le idee del XX° forse forse, ma dico forse forse, presenta qualche innocente, inutile, vano, probabilmente inefficace, eppur presente, probleminno, signori mièi ... ...